A 'j • A ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO : CI VICO DI' STORIA NATURALE IN MILANO — ^ — VOLUME LXXXVII Anno 1948 Milano 1948 Pavia — Premiata Tipografia Successori Fratelli Fusi — 1948 E DEL MUSEO CIVICO 1)1 STOIUA NATURALE IN MILANO — VK - VOLUME LXXXVII Fascicolo I-II i MILANO CONSIGLIO DIRETTIVO PER IL 1948 Presidente : Parisi Dott. Bruno, Museo Civico di Storia Natu¬ rale (1948-49). Grill Prof. Emanuele, Via Botticelli, 23 Vice -Presidenti , (1948-49). ! Moltoni Dott. Edgardo, Museo Civico di Storia Naturale (1947-48). Segretario : Mariani Dott. Giovanni, Via V. Poppa, 8 (1948-49). Vice-Segretario: Schatzmayr Arturo, Museo Civico di Storia Naturale (1947-48). Consiglieri: Magistretti Ing. Luigi, Via Carducci , 14 Mauro Ing. Francesco, Via C. Tencaì 33 Micheli Dott. Lucio, Via Carlo Goldoni, 32 Nangeroni Prof. Giuseppe, Viale Tunisia , 30 Sibilia Dott. Enrico, Minoprio {Como). Traverso Prof. G. B., Via Celoria , 2 o OC Ci Cassiere: Rusca Rag. Luigi, Viale Mugello, 4 (1947-48). Bibliotecario: N. N. ELENCO DELLE MEMORIE DELLA SOCIETÀ Vo! . J. Fase. 1-10; anno 1865. ri II. 7, 1-10 ; 77 1865-67. 77 HI. 77 1-5 ; 77 1867-73. 77 IV. » 1-3, h; 77 1868-71. li V. 1, i ; 77 1895 (Volume completo). 77 VI. « ■ i-3; 77 1897-1910. 77 VII. ' 7, i ; 77 1910 (Volume completo). 77 Vili. 7, 1-3; 77 1915-1917. 77 IX. ,7 1-3; 77 1918-1927. 77 X. 7, 13; 77 1929-1941. 77 XI. 77 1 t ; 77 1944. Pavia Premiala Tipografìa Successori FUSI - Via L. Spallanzani 11 1948 G. P. Moretti ISTITUTO DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA L. UNIVERSITÀ DI CAMERINO INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ PER ALCUNI ARTROPODI E VERTEBRATI ACQUATICI Premesse Nelle ricerche sul Fazione tossica di alcuni composti cloru¬ rati, entrati ormai nell’uso corrente quali insetticidi, abbiamo orientato le nostre indagini verso una sistematica analisi tossi¬ cometrica, volta a fornire più vaste e precise informazioni circa V entità e il modo di presentarsi di eventuali sintomi pato gno¬ monici, dalla loro comparsa fino al sopraggiungere della morte. Per poter seguire con precisione lo svolgersi del quadro tossico- logico si è creduto opportuno per lo più di limitare il numero dei soggetti di esperimento per ogni prova a valori esigui, pre¬ ferendo poi ripetere più volte le prove stesse fino ad averne un criterio informativo sufficientemente preciso. Abbiamo scelto un complesso di esponenti della vita acquatica che costituiscono un cenobio frequente a riscontrarsi anche in piccole raccolte d’acqua fatte ad arte e che sono in modo più o meno diretto vincolati l’uno all’altro da stretti rapporti ecologici e, per qualche termine, anche da un concatenamento alimentare che risulta per così dire consuetudinario. I risultati cui ci hanno condotto queste prove, pur essendo ancora incompleti e per ora puramente orientativi, sembrano lasciarci intravedere qualche informazione circa l’ef¬ fetto cui possono condurre le distribuzioni di polveri a base di disinfestanti organici clorurati su piccole raccolte di acqua ferme popolate da comuni limnobionti, autoctoni o di immissione. Lo studio, di stretto carattere sperimentale, è stato condotto sulla pura scorta di prove di laboratorio, le uniche che potessero for¬ nire criteri quantitativi validi agli effetti dell’interpretazione dei 6 G. P. MORETTI risultati. Queste potranno essere poi applicate in pratica dove, peraltro, i fattori che entrano in gioco sono ovviamente ben più numerosi e complessi. E stata saggiata la resistenza ai tossici clorurati di sintesi sui seguenti organismi animali: Lumbriculus variegatus Gr., Cypris sp., Cgclops sp., Daphnia pulex De Geer., Asellus aquaticus L. Chironomus sp. (gruppo thummi ), Culqx pipiens L., Carassius auratus Val., Gambusia holbrooki Grd., Molge cristata Laur. (v. Karelinii Strauk.), Rana escu¬ lenta L. (v. Lessonae Cam.). Per le ultime due specie sono state fatte solo prove isolate orientative, per le altre si è invece agito con dosi varianti e con intenti descrittivi circa la velocità e l’intensità con cui si in¬ staura e si sviluppa il quadro dei sintomi neurotossici. Notizie sulla composizione chimica, sulla stereostruttura dei loro isomeri, sulla natura neurotropa della loro azione tossica, sulla liposolùbilità e zimobiostasi possono leggersi in altri nostri lavori precedentemente dati alle stampe o in corso di pubblica¬ zione (v. bibh), Qui ci limitiamo a segnalare che i composti impiegati per i vari esperimenti furono i seguenti: esaclorocicloesano (C6H6C16 detto anche 666 o gammaesano o EOE), eliclo rodi feniltricloro- etano (C14H9C13 o DDT), clorocanfene (C10H10C18 o 3956), octa- clorometanotetraidroindano (C10H6C18 o 1068), tutti ottenuti per gentile omaggio di laboratori chimici nazionali e stranieri spe¬ cializzati in questa preparazione. In alcune prove abbiamo avuto l’attenta collaborazione dei Dottori Ivan Guerci e Stelio Pappadantonakis che qui vivamente ringraziamo. A) Esperimenti su pesci. 1) Velocità dell’ intossicazione per il ciprino dorato ( Ca ra ssius auratus Val.). Tecnica. - In cilindri di vetro di uguale capacità si versano c.3 1000 di acqua e si pongono 2' pesci di media dimensione. Si asperge quindi la superficie d’ acqua di ciascun recipiente (c.2 125) con quantità varianti tra mg. 700 e mg. 150 di talco al 3 % di principio attivo. Temperatura 27° (^vedi Tabella I). INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ. ECC. 7 Ia Prova con mg. 700. 1° esaclorocicloesano ; 2° diclorodi- feniltricloroetano ; 3° clorocanfene (*); 4° talco (controllo). Data: ll-VIII-1947. Risultato. - In 1° dopo 45' violenti colpi di coda in ambedue gli esemplari. Dopo 50' un pesce (il più piccolo) nuota su un fianco; al 60' è completamente adagiato su un lato; dopo 1 h. circa sembra riprendersi; dopo circa 2 h. torna ad adagiarsi al fondo; dopo h. 4,45 muore; l’altro muore entro la 20a h. (2). I pesci trattati con 2° non rivelano sintomi di sofferenza nell’in¬ tervallo di tempo considerato e dopo 48 h. sono ancora vivi. In 3° alla 6a h. un soggetto appare già morente e adagiato al fondo, esso muore dopo 9 h. L’altro sopravvive sofferente per 20 h. e poi muore. Nel controllo i 2 pesci restano assai vivaci per tutta la durata dell’ esperimento. IP Pr ova con mg. 300. I medesimi preparati della jirece- dente prova. Data: 13-VIII-1947. Risultato. - Si prendono in considerazione solo gli effetti letali. Dopo 9 h. si rinviene un pesce (il più piccolo) morto nel cilindro trattato con 1° e due risultano uccisi nel cilindro 3°. Dopo 156 h. muore l’altro pesce del l0 che, essendo già soffe¬ rente, dopo 108 h., era stato trasferito in acqua corrente. Nel 2° e nel controllo, sopravvivenza di ambedue i soggetti. IIP Pr ova con mg. 150. Gli stessi preparati della prece¬ dente prova; in più un preparato di talco con il 3 °/0 di solfo- cianato di potassio, e una soluzione titolata in acqua del mede¬ simo sale. Data : 18-VIII-1947. i1) La tossicità del canfene clorurato sui vertebrati inferiori ac¬ quatici, che non ci risultava ancora segnalata, viene accertata spennel¬ lando con soluzione acetonica satura porzioni del corpo di 6 rane e di 6 tritoni. La mucosità secreta allontana rapidamente la verniciatura e le rane muoiono dopo 24-36 h., i tritoni al 3°-4° giorno ; con il solo acetone e resina inerte nessun decesso. Anche l’alimentazione del Ca- ® rassio con cladoceri, chidoridi o copepodi uccisi dal canfene clorurato distribuito in polvere galleggiante su vasche di allevamento alla dose di 300 mg. di talco al 3 % di principio attivo su 300 c.3 di acqua ri¬ sulta di una certa tossicità pel pesce dopo 5-7 giorni di tale regime dietetico. (2) Un ECE povero in isomero gamma e preparato 12 mesi prima riesce invece innocuo a questa dose. 8 G. P. MORETTI Risultato. - Nel cilindro 1° dopo 15' ambedue gli individui aprono e chiudono la bocca con ritmo accelerato (indice patogno- mico precoce). Dopo 45' violenti colpi di coda tradiscono chiara¬ mente l’intossicazione. Dopo 4 h. appaiono lenti nei movimenti. Nelle ore che seguono nell? intervallo di tempo che va da 1 h., 15' a 5 h. sembra aversi una ripresa di agilità, ma poi muoiono traila 20a e la 2$a h. ambedue. Nel 2° nessuna sofferenza rilevabile in questo lasso di tempo. . Nel 3° dopo 1 h. gli stessi sintomi rilevati jier 1° dopo 45' in ambedue i pesci. Dopo 1 h. e 30' un individuo nuota un po’ inclinato trattenendosi alla superficie; dopo 2 h. anche il secondo nuota adagiato sul fianco, ma rimanendo di preferenza sul fondo. Dopo 6 h. e 45' un individuo è morente, l’altro (più piccolo) appare meno gravemente intossicato e si trattiene in superficie.. Dopo 7 h. un pesce è morto, dopo 20 h. è morto anche il secondo^ Con solfocianalo di 'potassio al 3 °/0 in talco sparso in ra¬ gione di 75 mg. di polvere su un litro di acqua, nessun sintomo- rilevabile di intossicazione, e nessun decesso per tutto il tempo della prova. Di una soluzione di 100 mg. di KCNS in 333 c.3 di acqua, vengono posti c.3 0,75 in un litro di acqua di fonte, contenenti- quattro ciprini dorati (18-VIII-1947). Si ha la morte di 1 individuo su 4 trattati dopo 80 h. Con talco sopravvivenza di ambedue gli individui. Riassumiamo in una tabella comparativa tecnica, risultati e- data della quarta prova : Quattro cilindri di vetro contenenti ciascuno c.3 700 di acqua (a 9°) e 2 ciprini dorati lunghi cm. 12 ven- jya Prova. gono impolverati (sullo specchio di c.2 125) con mg. 70 di talco al 5 % di clorurato: 1° esaclorocicloesano ; Tecnica. 2° diclorodifeniltricloroetano ; 3° clorocanfene ; 4° octaclorometanotetraidroindano ; 5° talco acetone (controllo). INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 9 o Ut ■*-> P o o o o -

o CO M o 4 o o 4 o H © © o te © O • i-H N 5 b£ ce O o o a, © a © H 4 p o .12 « h£._ P r-j T © > '© ® oc 22 u ® C Pi -+-3 p P m S gq gq o *: a ° £ P s ° P o © o D -P © r-Q p « © s ® CO © 4 4 © -a» ce 4-n ’bb ce GQ ci 3 © I— f a © co © g © rC © P ® © CO GQ 1/2 44 © •4—* 44 bX) ce cf a cr © ce gq ce GQ ce r- Er 2 S p 2 P fi r-2 © ^ .12 o 4 ^ .© '© *-P © 13 ce ~ a b P © u ci © -P -+33 ce o 'B © & • 4 GQ 4 c bD P .21 ® b£ ce co , a £ © ìs co o n , co g © P" P o P ce 5? § o*-2 O o o o o co © 3 © Pi co © C • r- I S! • 4 P h d S B -2 O _ © n ^ ri CO .— 'p o . r. © ._ • rH O 44 © > — Pi o S o p © «= ^ ^1 i-e f-1 2 o O r-4 ?H © rH Q © P - -+J — ^ © bC ce o © o p X © o p « © o • rH > P O © © o S a © s co © co © 133 ce Si pi © ri © Pi p -2 ® .2; C P ® Pi — ° P ® r- © r; 2 fi 5 "P o p ■P p ’o. © • ’“H rn P— 1 CO -P — o * o , — I co o Ut © o CO co © © © o p O 03 p 4 o ©q 1 SI g © ® p p •- 1 ce © O a © 3 © • *H 44 bb -+D • rH 4P > u _® ce 0 r~j • p 0 12 2: co ce q a 0 p -333 rH 44 P ce S 0 ^ O P © a 4P "bb ce ce 44 p ti 1—3 'bb P 44 'bb ce '© s p 2 p p 1-3 P 0 22 P b£ 44 Mnt • rH GQ © * rH GQ ce ' u © -ce 44 • rH © -+33 © p © 1+> © -+D n CO <~cj p 44 ^ .-j ziz a jh Pi CO © GQ c3 GQ a GQ Ó P © P 4 | P P © g P © ^ © .'rT « ■■ , - O— > r© ^ P 12 ’rl Ut ® 0 Pi PH ce © s © © © © p- g2 rH — ^ • rr 44 rH U1 £ ce • rH N P h— 1 rH o a © 1— 1 s © i— i Ideu > © • -H > ^ © 2 > © • rH . 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MORETTI 2) Velocità di intossicazione per la gambusia ( Gambusia holbrooki Grd.) f1). Ia Prova. Tecnica. - In cristallizzatori contenenti litri 2 di acqua cia¬ scuno con una- superficie di c.2 500 vengono poste 3 gambusie (per ogni recipiente) di dimensioni differenti e un pezzo di ce- ratofìllo. Si impolvera quindi lo specchio d’acqua con dg. 2 di talco al 5 '°/0 di clorurato. Si confrontano i seguenti preparati: 1 esaclorocicloesano ; 2 diclorodifeniltricloroetano ; 3 clorocan- fene ; 4 talco-acetone (controllo). Temperatura c. 21°. Data: 24-IX-1947. Risultato. - Per 11 h., 30' nel N. 1 si notano veloci guizzi delle gambusie per minimo urto del recipiente. Nulla nel N. 2. Nel N. 3 un individuo boccheggia in superficie e compie movi¬ menti natatori lenti; un altro si adagia al fondo su un lato, vi rimane con gli opercoli divaricati per breve tempo, e poi torna a nuotare per riprendere però la posizione adagiata ; il terzo pesce non mostra sofferenza. Nel N. 4 stato normale. Dopo 12 h., 30' tutti i soggetti del N. 3 si trovano boccheggianti in superficie. Dopo 15 h. nel N. 3 due esemplari più grossi stanno al fondo su un fianco, ogni tanto riprendono fiaccamente a nuotare e giun¬ gono in superficie dove boccheggiano ; cessando di nuotare calano al fondo dove si adagiano su un fianco. Il terzo esemplare, pur mostrandosi sofferente, non si appoggia inclinato sul fondo. Nulla di mutato negli altri cristallizzatori. Dopo 18 h. muore un sog¬ getto nel N. 3; per il resto quadro invariato. Alla 21a h. muore un altro individuo nel N. 3, il superstite ripete il quadro tossi¬ cologico osservato negli altri due deceduti. Nel N. 1 un individuo muove con elevata frequenza le pinne pettorali. Nulla di variato megli altri recipienti. Alla 27a h. muore nel N. 3 l'ultima gam¬ busia. Alla 37a h. i soggetti del N. 1 che avevano mostrato grande agitazione sotto urto per tutto questo tempo principiano f1) Piedrola ha osservato che alcuni pesci larvifagi sono sensibili all’azione dell’ esaclorocicloesano. Spargendo sulla superficie dell’acqua il preparato al 15 % di questo clorurato in polvere di Liegi ha notato « prima il loro allontanamento dalla superficie, poi l’apparire di mo¬ vimenti insoliti, sempre più frequenti ed intensi e, infine, la morte entro 8-10 giorni ». INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 11 a nuotar© a capo in giù e guizzano con reazione parossistica al minimo urto delle pareti del recipiente. Alla 38a h. nel N. 1 un pesce è adagiato su un lato, gli altri 2 nuotano inclinati. Nulla di anormale nel N. 2 e nel controllo. Alla 42a li. nel N. 1 un individuo nuota di nuovo a testa in giù, continuamente ribaltan¬ dosi, ventre in aria; gli altri 2 si adagiano su un fianco. Alla 50a b. nulla di variato, normalità in N. 2 e nel controllo. Alla 58a h. i tre pesci del N. 1 sono in superficie inerti, adagiati su un fianco ma a lieve tocco delle pareti del recipiente rispondono con guizzi violenti. Alla 65a b. sono rovesciati a ventre all’aria in superficie, inerti, ma sempre guizzanti al minimo urto. Dopo 10 giorni sono sempre a ventre all’ aria, su un fianco, apparente¬ mente morti, ma pronti a scattare appena si muove 1’ acqua. Tra¬ sferiti in acqua pura e fresca (14°), dopo 2 ore escono dallo stato di paralisi avanzata in cui si trovavano e riprendono a nuotare vivacemente in posizione normale. Dopo 13 giorni, peraltro, tor¬ nano ad adagiarsi al fondo, manifestando di nuovo reazione pa¬ rossistica per lieve urto del recipiente. I sintomi di paralisi tor¬ nano ad aggravarsi. Dopo 23 giorni dall’inizio dell’esperimento i pesci muoiono. Nel frattempo è comparso lieve torpore nelle gambusie trattate con diclorodifeniltricloroetano. Nulla di anor¬ male invece nel controllo. IIa Prova. Tecnica. - Come per la precedente prova con dg. 1 di cloro- canfene. Controllo con talco e acetone. N. 3 gambusie. Si vuole esaminare la dose minima alla quale il clorurato è ancora tos¬ sico. Data: 26-IX-1947. Risultato. - Attorno alla 15a b. 2 pesci cominciano a nuo¬ tare con lentezza e a calare al fondo con la cessazione dei mo¬ vimenti natatori. Il terzo è ancora normale. Alla 16a b. 1 sog¬ getto nuota su un fianco e si adagia sul fondo, gli altri 2 com¬ piono movimenti rallentati. Alla 24a b. 2 pesci morti al fondo, 11 terzo inerte in superficie, riprende il nuoto sotto stimolo. Alla 26a b. morte del terzo soggetto. Nulla di anormale nel controllo. IIIa Prova. Tecnica. - C. s. con mg. 20 di clorocanfene (N. 1) e mg. 20 di esaclorocicloesano (N. 2). Data: 30-IX-1947. Risultato. - Sintomi di sofferenza in 1 individuo dopo 7 b. Alla 12a b. muore un soggetto, gli altri 2 sono lenti nel nuoto. 12 G. P. MORETTI Alla 16a li. si lasciano toccare trattenendosi in superficie. Alla 18a h. muoiono tutti al fondo. Per 6 giorni non si assiste a sin¬ tomi di intossicazione nelle gambusie del N. 2. Benessere nel controllo. La prova ripetuta dà per il clorocanfene la morte to¬ tale dei pesci entro 30 li. dall’inizio dell’esperimento. *■ I Ya Prova. Tecnica. - Come sopra mg. 10 di clorocanfene. Lata. 8-X-1947. Risultato. - Dopo 24 h. morte di tutti i soggetti. ya p r o v a , Tecnica. - C. s. ; mg. 1 di clorocanfene. Data: 24-X-1947. Risultato. - Dopo 24 h. i soggetti sono ancora vivi e vi¬ vaci. Dopo 76 li. quasi improvvisamente, dopo una breve nuotata su un fianco, si adagiano sul fondo e muoiono. Si ripete la prova con 14 gambusie, sia nel cristallizzatore impolverato con cloro¬ canfene, sia nel cristallizzatore del controllo. Data : 28-X-1947. Si osserva alla 56a h. stato di benessere normale; alla 68a h. il decesso quasi improvviso di 8 pesci; alla 74:l fi. grave soffe¬ renza nei superstiti che si lasciano afferrare con le dita. Alla 100a b. decesso di altri 2 soggetti, mentre i superstiti sembrano avere una leggera ripresa. Dopo 6 giorni ne muoiono altri 2 e dopo 8 gli ultimi 2 (1). y fa Prova. Tecnica. - C. s.; 8 gambusie; mg. 0,5 di clorocanfene. Data : 3-XI-1947. Risultato. - Dopo 66 h. 6 morti e 2 morenti ; dopo 90 h. morte di questi ultimi. VD> Prova. Tecnica. - C. s.; 6 gambusie ; octaclorometanotetraidroindano dg. 2. Data: 12-XI-1947. Risultato. - Dopo 10 b. i soggetti appaiono torpidi nel nuoto, dopo 19 b. nuotano al. fondo su un fianco; dopo 24 b. 2 morti; dopo 26 b. decesso degli altri 3 (2). 0) Una piccola Limnaea truncatula è invece (2) Quattro piccole Limnaea truncatula sono 26 b. sopravvissuta, decedute pure entro INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 13 YIIIH Prova. Tecnica. - C. s. ; 6 gambusie; octaclorometanotetraidroindano mg. 1. Data: 15-XI-1947. Risultato. - Dopo 24 li. soggetti torpidi. Alla 65a h. 3 in¬ dividui nuotano adagiati sul fianco al fondo. Alla 72a h. 3 morti. Alla 77h fi. un morto. Gli altri sopravvivono. IXa Prova. Tecnica. - C. s.; 3 gambusie. Si confrontano: 1° il dicloro- difeniltricloroetano (dg. 2); 2° l’ octaclorometanotetraidroindano (mg. 1 e mg. 0,5). Data: 20-XI-1947. T. 10°. Risultato. - Dopo 6 dì nel 1° i pesci sono torpidi; dopo 7 dì decesso di 1 pesce nel 2° (1 mg.). Dopo 9 dì aumentato tor¬ pore nel 1°, dove dopo 14 dì vi muoiono 2 soggetti. Dopo 22 giorni muore il 3° pesce. Nel 2° il torpore si fa meno profondo, dopo 30 giorni ripresa e sopravvivenza dei superstiti. B) Esperimenti su crostacei acquatici e su anellidi. Numerose prove sono state eseguite su questi organismi. Ne indichiamo solo alcune eseguite con dosaggi e concentrazioni differenti. 1) Azione tossica su Malacostraci - Isopodi ( Asellus aqua- ticus L.) Ia Prova. Tecnica. - In salierine del diametro massimo di 4 cm. e della profondità massima di 1 cm. si pongono 50 mg. di clorurato puro sciolto in acetone, in modo che, evaporato il solvente si abbia un velo omogeneo incrostante le pareti. Si pongono quindi 3 aselli per ogni salierina. Si confrontano i seguenti composti : 1° clorocanfene ; 2° esaclorocicloesano ; 3° diclorodifeniltricloroetano; 4° acetone (controllo). Data: 5-VIIÌ-1947. Risultato. - Dopo 5' in 2° sono rovesciati 2 individui, in 1° e in 3° irrequietezza; dopo 8 in 1° tre supini; dopo 104' atassia in 1° e in 3°; dopo 53' supini tutti, anche in 3°; dopo 16 h. morte generale in tutti i recipienti; vivi nel 4°. 14 G. P. MORETTI Ha Prova. Tecnica. - In bacinelle circolari contenenti cm.3 300 di ac¬ qua con una superficie di cm.2 95 si pongono N. 20 aselli (3 9 9 ovigere, 15 2 individui immaturi). Si impolvera quindi la superficie d’ acqua di ogni bacinella con 300 mg. di polvere di talco all’ 1,43 °/0 di clorurato. Si confronta Fazione dei tre se¬ guenti composti; 1° canfeneclorurato ; 2* esaclorocicloesano (*) ; 3° diclorodifeniltricloroetano ; 4° controllo (talco-acetone). Data: 28-30- VII-1947. Risultato. - Dopo 60' nella bacinella N. 2 si osservano 7 individui capovolti sul fondo. Dopo 105' nel recipiente N. 1 si hanno 18 individui capovolti; nel N. 2 tutti gli aselli sono su¬ pini e sofferenti, e nel N. 3 5 individui capovolti. Dopo 3 h. e 30' nella bacinella N. I tutti gli aselli sono morenti e muovono solo il 1° paio di zampe branchiali; nella bacinella N. 2 tutti gli individui sono morti; nella bacinella N. 3 13 aselli capovolti agitano gli arti, gli altri 7 sono atassici ed agitatissimi. Nel controllo benessere in tutti i soggetti. IIIa Prova. Tecnica. - Dosi e numero dei crostacei come nella prova precedente. Data: 3' '-VII-1947. Si indaga lo svolgersi dei sintomi che compongono il quadro tossicologico dall’atassia al decesso. Risultato. - (Vedi tabella N. 2). Clorocanfene: dopo 15' 2 aselli capovolti; dopo 45' 15 indi¬ vidui capovolti; dopo 75' tutti gli aselli supini. Esaclorocicloesano : dopo 6 capovolgimento di tutti gli in¬ dividui. Diclorodifeniltricloroetano: dopo 75' il primo ribaltamento; dopo 100' 10 aselli appaiono paralizzati alle ultime appendici ad¬ dominali per cui deambulano con l’addome sollevato; dopo l20r 3 aselli supini; dopo 150' tutti gli individui sono paralizzati alle appendici posteriori dell’addome e 7 sono capovolti; dopo 180 8 aselli ribaltati; dopo 7 h. si hanno ancora 4 individui che rie¬ scono a riprendere la posizione normale dopo essersi ribaltati. Nel controllo, dopo 12 h., gli aselli sono ancora tutti vivi. (9 Di preparazione del precedente anno. INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 15 IVH Prova. Tecnica. - Come per la prima prova, ma con 30 individui per recipiente. Data: 31-VII-1947. Risultato. - (Vedi tabella N. 2). Clorocanfene : dopo 12' ribaltamento di 3 individui. Gli altri - tendono le appendici addominali posteriori, il che porta al solle¬ vamento dell’addome rispetto al piano orizzontale del corpo con conseguente ribaltamento dell’animale. Il crostaceo muove rapidamente le coppie di arti toracici,, mentre non riesce a ritmare tale movimento con le appendici addominali posteriori già paralizzate; il contatto col fondo è quindi difettoso, e le appendici posteriori stese provocano capot- tamento dell’animale. Dopo 16' si hanno 6 individui capovolti, gli altri atassici ad eccezione di 2. Dopo 25' 18 aselli ribaltati; dopo 30', 22; dopo 45', 25 e dopo 55’ tutti ribaltati. Dopo 80' i movimenti degli arti si fanno fiacchi e dopo 24 h. morte di tutti gli individui. Esaclorocicloesano : dopo -5' sollevamento dell’addome in 20 individui; dopo 6' 2 Asellus capovolti, dopo 7' 15 rovesciati. Dopo 10' 1 solo soggetto deambula, ma con colpi aritmici degli arti che lo portano a frequenti rovesciamenti. Al 20' tutti gli Asellus sono supini e con corpo inarcato ventralmente. Dopo 24 h. morte di tutti i soggetti. Diclorodifeniltricloroetano : dopo 12' il primo individuo si rovescia; dopo 30’ tutti con atassia e sollevamento dell’addome, ma solo 4 capovolti; dopo 45' 10 aselli sono supini; dopo 1 h. 27 individui ribaltati con corpo ventralmente inarcato; dopo 135' rovesciamento di tutti gli esemplari; dopo 24 h. 27 individui morti, 4 in agonia reagiscono debolmente. Nel controllo 2 aselli muoiono dopo 420'. 2) Azione tossica su Isopodi Branchiopodi-Cladoceri ( Chelopodi - Oligocheti). Semplifichiamo 1’ esposizione di numerose prove eseguite su questi animali « tests » scegliendo le più significative e- racco¬ gliendole in schemi comparativi qualitativi. I vari risultati figu¬ rano poi raccolti iu una tabella generale compilata con criteri quantitativi (vedi tabella N. 3). Sono stati impiegati per le prove le seguenti specie: Asellus aquaticus L Daphnia e Lumbriculus- variegatus Gr. e ciuffi di alghe verdi zygnemali. 16 G. P. MORETTI Esaclorocicloesano al 5 °/0 in talco: mg. 2. Acqua c.3 200 Superficie c.2 28,26 Teinp. 16'* Data Ore A. aquaticus N. 5 D. pulex N. 2 L. variegatus N. 1 l-XII-47 18,52 Inizio della prova Inizio della prova Inizio della prova ll-XII-47 19,16 Agitati, deambulano con appendici posteriori sol- ' levati dal fondo ll-XII-47 20,14 Supini agitano gli arti Accentuata la caduta al Avvolti insieme a gc li- termine della falcata tolo ll-XII-47 21,15 Ora quasi inerti, ora con Nuotano sollevandosi per Stesi e disgiunti improvv. agit. degli arti breve tratto dal fondo 12-XII-47 9,30 3 inerti, 2 muovono len- Idem c. s. Idem c. s. Muovono. n- tamente gli arti deggiano lent. il crp 12-XII-47 13,30 I 2 con arti ancora mo- Idem c. s. ricadono dopo Movimenti ondulati iu bili agitano fiaccamente le zampe branchiali il salto lenti . .li 12-XII-47 16,30 2 deced., 3 con lievi pai- Idem c. s. Idem c. s. piti delle zampe branch. 13-XI1-47 10,45 Idem c. s. Una è morta, l’altra sai- Arrotolati su sè stesi si tella a stento al fondo contorcono 13-XII-47 19,45 Tutti morti Muore anche 1’ altra Distesi si agitano fia' a mente 14-XII-47 9 Idem c. s. 14-XI1-47 12,30 2 morti, 3 quasi ine i 14-XII-47 15,45 1 altro morto 14-XII-47 16,30 1 altro morto; Tultiii « • e lentiss. nei movi me — :i 1 3 3.900 Diclorodifeniltricloroetauo al 5 °L in talco: rag. 2. Acqua ì „ . „ /0 6 i superficie c.2 28,26 Data Ore A. aquaticus N. 5 D. qmlex N. 2 L. variegatus N. ll-XII-47 18,52 Inizio della prova Inizio della prova Inizio della prova ll-XII-47 19,16 Nessun rii. degno di nota Nessun rii. degno di nota Nessun rii. degno di r ta ll-XII-47 20,14 Idem c. s. Idem c. s. Idem c. s. ll-XII-47 21,15 Idem c. s. Idepa c. s. Stesi, non molto mo li 12-XII-47 9,30 4 individui supini agita- Nuotano presso la su- Stesi e poco mobili no velocemente gli arti perficie 12-XII-47 13,10 I 4 soggetti capovolti agitano più lentamente Nuotano fiaccamente, ces- Stesi e con movi no ti sato lo scatto delle an- serpentiformi assai I ti gli arti, il 5° deambula con l'addome sollevato tenne ricadono per lun¬ go tratto verso il fondo 12-XII-47 16,30 Idem c. s. il 5° individuo Idem c. s. Idem c. s. è atassico 13-XII-47 10,45 3 soggetti deceduti, 2 su- A stento si sollevano dal Movimenti ulteriornn te pini con lenti movimen¬ ti delle zampe fondo con brevi balzi fiacchi 13-XII-47 19,45 I 2 ancor vivi muovono Idem c. s. Idem c. s. solo le zampe branchiali 14-XII-47 9 2 individui morti, li altri morenti 14-XII-47 12,30 Morte degli altri 3 in' V. p INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 17 Octaclorometanotetraidroindano al 5 % in talco. Acqua j c-3 209 . , 1 i superficie c.2 28,26 Data Ore A. aquaticus N. 5 D. pulex N. 2 L. variegcitus N. 5 fl-XII-47 18,50 Inizio della prova Inizio della prova Inizio della prova fl-XII-47 19,16 Nulla di not. da segnai. Nulla di not. da segnai. Nulla di not. da segnai. fl-XII-47 20,15 Idem c. s. Idem c. s. Idem c. s. fl-XII-47 21,15 Idem c. s. Idem c. s. Idem c. s. [2-XII-47 9,30 Atassia rilevabile in tutti Il nuoto è marcatamente Avvolti insieme a gomi- gli individui saltellante tolo L2-XII-47 13,10 Supini agit. viv. le zampe Idem c. s. Idem c. s. L2-XII-47 16,30 Mov. più lenti degli arti Nuotano presso il fondo Idem c. s. L3-XII-47 10,45 2 individui morti, i 3 su- Idem c. s. Arrotolati insieme e de- pini muovono lentamen¬ te le zampe branchiali bolmente ondeggianti 13-XII-47 19,45 Morte di altri 2 ind., il Nuotano fiaccamente al Rare e deboli contorsioni sopravviss. fa palpitare solo le zampe branchiali fondo 14-XII-47 9 Idem c. s. Quasi immobili al fondo Quasi inerti 14-XII-47 12,30 Idem c. s. Una dafnia adulta morta 1 indiv. deced., gli altri l’altra incapace di mio- reagiscono deboi., e lent. tare si muovono anche spont. L4-XII-47 15,45 Decesso dell’ultimo asello Muore anche la seconda Decesso di 1 altro indiv., dafnia gli altri possegg. ancora deboli movim. spontanei 14-XII-47 9 Decesso di tutti gli in- Una dafnia morta, l’altra Avvinghiati a gomitolo dividili nuota ancora debolmen- compiono fiacche con- te al fondo torsioni. 14-XII-47 12,30 Muore anche l’altro ind. Idem c. s. 14-XII-47 15,45 1 indiv. morto, gli altri disgiuntisi stanno stesi al fondo e reag. con viol. contors. appena toccati 14-XII-47 16,30 1 altro indiv. morto, gli altri con reaz, più fiacca Clorocanfene al 5% iu talco: mg. 2. Acqua c‘ „ 00 __ ) superficie c - 28,26 Data Ore A. aquaticus N. 5 D. pulex (Q L. variegatus N. 5 ll-XII-47 18,52 Inizio della prova Inizio della prova ll-XII-47 19,16 Nessun rii. degno di nota Nessun rii. degno di nota ll-XII-47 20,14 Lievemente atassici Idem c. s. ll-XII-47 21,15 1 individuo capovolto gli altri più atassici Idem c. s. 12-XII-47 9,30 2 deceduti, gli altri su¬ pini agitano le zampe Stesi e con movim. lenti 1 2-XII-47 13,30 Idem c. s. Idem c. s. 12-XII-47 16,30 Decesso di un 3° indiv. Quasi inerti 13-XI1-47 13-XII-47 10,30 19,45 Morte di tutti gli indiv. Idem c. s. Sono inerti, ma stimolati, inarcano l’estremità ce¬ falica e caudale (Q In questa prova non si è potuto sperimentare sulla clafnia per mancanza di individui, in altre prove qui non citate perchè eseguite in giorni differenti, si è osservato che le dafnie sono sensibili all’azione del clorocanfene circa quanto a quella del esaclorocicloesano, talvolta anche di più. La morte segue molto dappresso la comparsa dei primi sintomi dell' intossicazione. 18 G. P. MORETTI 3) Azione tossica su entomostraci ostracodi ( Cypris sp.) e co- pepodi (Cyclops sp.) Poche prove sono state ancora condotte sn questi crostacei ; mentre proseguono alcuni esperimenti, trascegliamo qualche ri¬ sultato che può dare un primo orientamento tossicometrico. « Ia Prova. Tecnica. - In provette contenenti 22 c.3 di acqua si pongono 42 Cypris e 20 Cyclops (15 e ò 90 ovigere). Si impolvera quindi la superfìcie con mg. 5 di talco all’l0 0 di clorurato. Si sperimentano : 1° clorocanfene ; 2° esaclorocicloe- sano ; 3° diclorodifeniltricloroetano ; 4°- talco-acetone (controllo).. Data: 3-VIII-1947. Risultato. - Dopo 157 tutti gli individui sono vivaci. Dopo 45' i Cyclops percorrono verticalmente tutta la colonna liquida in tutte le provette, i Cypris trattati con 2° roteano invece al fondo distaccandosene di poco, mentre quelli del 1° si spostano- ampiamente e similmente quelli del 3°. Dopo 37 h, in 1° ed in 2° gli ostracodi si mantengono presso il fondo compiendo brevi nuo¬ tate e in 3° si sollevano solo di pochi millimetri dal fondo. Dopo 39 h. in 1° tutti i Cyclops sono morenti, dei Cypris 7 sono morti e 35 sono ancora vivi, ma sono incapaci di nuotare ed agitano solo a deboli tratti l’ arto natatorio. Tutti sono adagiati su di un lato, ed alcuni reagiscono solo allo stimolo puntorio. Sono dece¬ duti gli individui più piccoli che presentano le valve sia stret- tamente accollate, sia divaricate. Dopo 39 h. in 2" i Cyclops sono gravemente paralizzati. E deceduto un solo Cypris ; quelli paralizzati risultano ancora ca¬ paci di qualche nuotata concentrica, presso il fondo dove però- ricadono tosto adagiandosi su un bianco. Dopo 39 h. in 3°, i Cyclops sono gravemente compromessi- Sono deceduti 7 Cypris , 5 dei superstiti sono dotati di notevole mobilità nel nuoto ; gli altri stanno adagiati sul fondo appoggiati su una valva, reagendo fiaccamente agli stimoli puntori. Dopo 48 h. in lg quadro generale rispondente ad alta tossicità in 2° tossicità meno spiccata ; in 3° quadro più simile al 2° che al 1° clorurato. Nel controllo muoiono un Cyclops dopo 37 h. e 2 Cypris .. dopo 36 h.. INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 19 C) Esperimenti su insetti. 1) Velocità di intossicazione per le larve di Ditteri-chironomidì ( Chironomus sp.) f1). Ia Prova. Tecnica. - In bacinelle cilindriche contenenti c.3 300 di acqua con uno specchio di 95 c.2 si introducono 15 larve di Chironomus (10 rosse e 5 verdicce per ogni bacinella). Si impolvera quindi la superficie con mg. 300 di talco' all’ 1,43 °/0 di clorurato. Si confrontano i seguenti composti : 1° clorocanfene ; 2° esacloroci- cloesano ; 3° diclorodifeniltricloroetano ; 4° talco-acetone. Data : 28-VII-1947. Risultato. - La lettura del quadro tossicologico nelle larve di questo insetto è ardua ; mancando zampe libere articolate, la comparsa dei primi sintomi di atassia locomotoria non è facil¬ mente discernibile ed è più che altro di soggettiva interpretazione. Dopo 3 h. nella bacinella R. 1 tutti i Chironomus giacciono stesi al fondo, compiendo rade e violente contratture ; nella bacinella N. 2 le larve trascorrono al fondo lungo tempo del tutto inerti, ed a grandi intervalli compiono solo fiacche contratture ; nella bacinella N. 3 larve mobili, irrequiete e spesso rinculanti con movimenti disordinati. Nel controllo larve vivaci. IIa Prova. Tecnica. - Come sopra. N. 10 larve di Chironomus per cia¬ scuno clorurato, eccezione fatta per l’ esaclorocicloesano in cui vengono posti 12 individui. Risultato. - (vedi tabella N. 2 p. 34). Dopo 7' in 2° i chironomi sono in fase di deambulazione difettosa, dopo 10' questi stessi compiono lente ondulazioni. Dopo 20' si notano sofferenze e contorsioni nei chironomi trattati con 1° ; dopo 30' irregolarità deambulatoria nelle larve trattate con 3°. Dopo 24 h. tutte le larve sono morte nel recipiente N. 1, morte di sette individui su 12 nel recipiente N. 2, 5 sono ago¬ nizzanti e debolmente reattive ; nel recipiente N. 3 nessuna C) Trattasi di larve limicole e limnofile mature, alcune dotate della caratteristica colorazione rossa, altre invece verdicce. 20 G. P. MORETTI larva ò ancora morta, ma tutte sono incurvate e tremolanti de¬ bolmente reattive. 2) Velocità di intossicazione per le larve e per le ninfe di zan¬ zara ( Culex pipiens L.) * Ia Prova. Tecnica. - Si preparano 4 vasi cilindrici di vetro contenenti ciascuno c.3 1000 di acqua e 30 larve di zanzara di uguale età. Sullo s]ieccliio d’acqua di c.2 125, in . ciascun vaso si distribui¬ scono omogeneamente mediante staccio di seta da buratto mg. 200 di preparato in esame contenente il 3°/0 di clorurato (1). Si con¬ fronta 1‘ azione dei seguenti composti : 1° esaclorocicloesano ; 2° diclorodifeniltricloroetano ; 3° clorocanfene ; 4° talco e acetone (controllo). Data : 28-YIII-1947. (V. tabella N. 4) Risultato. - Dopo due h.. Nel 1° 8 larve sono morte, le altre giacciono al fondo assai sofferenti, e incapaci di sollevarsi da esso, neppure sotto stimolo di contatto a cui reagiscono con movimenti estremamente lenti. Nel 2° tutte le larve giacciono al fondo molto sofferenti ; stimolate con l’ ago reagiscono fiaccamente alcune sollevandosi di pochi millimetri dal fondo, altre non staccandosene affatto. Nel 3° 9 larve si trattengono ancora in superficie a respi¬ rare, le altre sono cadute al fondo, ma reagiscono con qualche vivacità agli stimoli puntori, rivelando minore inerzia che nei preparati N. 2 e N. 1. Dopo 24 h. tanto nel 1° che nel 2° e nel 3° tutte le larve sono morte. In 4° (controllo) sopravvivenza totale. *4 IIa Prova. Identica tecnica, con estensione dello studio dell’effetto tos¬ sico alle ninfe e infittendo le osservazioni nel tempo. Si impiegano 30 larve e 10 ninfe e si confronta altresì l’azione de1' clorurati con quella del solfocianato di potassio (solubile in acqua) che 0) Adsorbito da talco con il metodo della soluzione acetonica. Evaporato il solvente si macina in mortaio la massa crostosa for¬ matasi e la si passa tre volte in un setaccio da buratto per renderla soffice, impalpabile, leggera e omogenea. L’aspersione dello specchio d’acqua viene fatta ancora a mezzo di staccio di seta da buratto in modo che tutta la superficie risulti omogeneamente impolverata. INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 21 viene pure adoperato adsorbito da talco al 3°/0 (N. 4). Data: 22- Vili- 1947. (Y. tabella N. 5). Risultato. - Dopo 30' nel 1° (C6H6C16) 24 larve giacciono al fondo dove compiono lentamente movimenti sconnessi di con¬ trazione dell’addome. Nel 2° (C14H9C15) si osservano i primi sin¬ tomi di intossicazione con tendenza delle larve a trattenersi al fondo lungamente. Nel 3° (C10H10C18) 10 larve vanno regolar¬ mente in superfìcie a respirare, le altre abbandonano con minor frequenza il fondo. Dopo 2 h. nel 1° i sintomi della paralisi si fanno molto più manifesti, le 6 larve superstiti sono cadute pure esse al fondo. 2 ninfe appaiono paralizzate e stanno sul fondo. Nel 2° 25 larve giacciono al fondo molto sofferenti, fiacche anche nel reagire agli stimoli di contatto le altre. Le ninfe non manifestano segni di intossicazione. Nel 3° 20 larve restano sul fondo con sintomi di paralisi. Nessun manifesto segno patognomonico nelle ninfe. Nel 4° 10 larve giacciono al fondo e compiono movimenti serpentiformi spontanei lenti. Dopo 20 h. si osservano altre 5 larve paralizzate in 2, e 4 nel 3°. Nel 4° tutte le larve sono morenti. Dopo 24 h., nel 1° si ha la morte di tutte le larve e di 4 ninfe, tutti gli insetti perfetti che sfarfallano muoiono sulla su¬ perfìcie d'acqua impolverata (72* h. circa). Nel 2° tutte le larve sono morte, tutte le ninfe sono sopravis¬ sute. Le imagini sfarfallate muoiono però tutte in superfìcie. (78a h. circa). Nel 3° morte di tutte le larve. Tutte le ninfe sono sopravis¬ sute, ma tutti gli insetti perfetti sfarfallati muoiono in superficie (72* h.). Nel 4° tutte le larve sono morte, tutte le ninfe sono vive, e gli insetti che sfarfallano entro le 72 h. sono tutti vivi. Nel 5° (controllo) per tutta la durata dell’esperimento nes¬ suna sofferenza, nè per le larve, nè per le ninfe, le quali danno insetti perfetti vivi entro le 72 h. IIIa Prova. Tecnica. - Si ricerca ora l’entità dell’effetto tossico con pol¬ veri di talco al 5°/0 anziché al 3 °/0 di clorurato. Si ricorre ad un numero più elevato di soggetti e precisa- mente a 100 larve e a 30 ninfe. Dosaggio : cg. 20 di polvere su c.2 125 di superfìcie e c.3 1000 di acqua in recipienti così nu- 22 G. P. MORETTI morati: 1° esaclorocicloesano ; 2° diclorodifeniltricloroetano ; 3® clorocanfene ; 4° talco-acetone (controllo) (*). Data: 18-IX-1947. (Vedi tabella N. 6). Risultato. - Dopo 20' nel 1° tutte le larve nuotano agitate mello spessore d’acqua, senza trattenersi in superficie. Nel 2° qualche larva nuota nello spessore d’acqua. Nessun sintomo registrabile nel 3° e nel 4°. Dopo 30'. Nel 1° tutte le 100 larve sono al fondo dove compiono movimenti serpentiformi spastici, esse sono incapaci di sollevarsi dal fondo. Nel 2° tutte le larve nuotano agitate nello spessore d’ acqua senza raggiungere la superficie. Nessuna sta al fondo paralizzata, 3 zanzare sono sfarfallate, 2 di queste appaiono paralizzate su] tappeto galleg¬ giante di polvere. Nulla da rilevare nei recipienti 3° e 4°. Dopo 1 h.. Nel 1° le 100 larve che giacciono al fondo compiono movi¬ menti più lenti, nessuna zanzara è sfarfallata. Nel 2° 70 larve si trattengono al fondo, da cui si sollevano di poco con fiacche fles¬ sioni dell’addome. Nel 3° nulla a carico delle larve, 4 zanzare sfarfallate di cui 3 incapaci di volare. Nel 4° nulla da rilevare per le larve e le ninfe, 4 zanzare sono sfarfallate. Dopo 2 h. Nel 1° tutte le larve sono ormai incapaci di mo¬ vimenti spontanei. 3 zanzare sfarfallate di cui 2 inerti ed una incapace di volare. Nel 2° 100 larve sono al fondo, dotate di lievi movimenti spontanei, consistenti in ondulazioni addominali (2). Nel 3° 75 larve si trattengono sul fondo dove compiono violenti scatti ondulatori dell’ addome che le fanno sollevare di pochi mil¬ limetri. Nulla per il controllo ad eccezione di 4 zanzare sfarfallate. Dopo 4 h. Nel 1°, sotto stimolo puntorio, 6 larve compiono contrazioni appena percepibili. Tutte le altre sono morte. 7 ninfe sono cadute al fondo dove compiono fiacche contrazioni, 8 restano (*) In questa e nelle altre prove non viene ricercata la dose minima letale per gli stadi acquatici della zanzara, ma lo sviluppo dell’ intos¬ sicazione. Thomas, citato da Slade (cfr. Bibl.) indica che una polvere al 10% di esaclorocicloesano tecnico disinfesta dalle larve di Aedes aegypti la superficie di un ettaro se usata in ragione di kg. 5/6. (2) Si osserva in questa prova in cui sono state introdotte anche larve in giovane età che queste mostrano una notevole resistenza al- 1’ azione dei tre composti clorurati sperimentati. Esse rivelano più tardi delle larve mature i sintomi di paralisi, sono le ultime a cadere al fondo, le ultime a perdere totalmente ogni movimento. INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 23 assai sofferenti in superficie, tutte le altre alle percussioni delle pareti del recipiente reagiscono con brevi calate di pochi milli¬ metri nello spessore dell’ acqua, senza poter raggiungere il fondo. Nel 2°, sotto stimolo, si provocano deboli reazioni ondulatorie in 35 larve, le altre sono morte ; 3 ninfe sono al fondo sofferenti, tutte le altre sono normalmente reattive a perturbamento per urto del mezzo liquido ; 5 zanzare sono sfarfallate e sono paraliz¬ zate. Nel 3° si osserva che tutte le larve sono al fondo, 50 di esse mostrano delle contrazioni di reazione, le altre morte. Nel controllo 3 larve e 2 ninfe morte, altre 5 zanzare sono sfarfallate. Dopo 12 h. Nel 1° nessuna larva dà più segno di vita, nep¬ pure se stimolata con ago ; 90 ninfe restano in superfìcie, debol¬ mente reattive alia percussione del recipiente ; 7 sono decedute ; nessun adulto è sfarfallato. Nel 2 9 tutte le larve sono morte ; 4 ninfe sono pure morte, le rimanenti stanno in superficie, ma al¬ l’urto delle pareti del recipiente, raggiungono prontamente il fondo nuotando; nessun adulto è sfarfallato. Nel 3° si osserva debole reazione agli stimoli in 10 larve al fondo, tutte le altre sono morte ; delle ninfe 2 sono morte al fondo, tutte le altre non tra¬ discono alcuna sofferenza; 12 zanzare sono sfarfallate. Nel controllo 13 adulti sono sfarfallati. Dopo 24 h. Nel 1° giacciono al fondo 27 ninfe. Nel 2° si osservano 4 ninfe paralizzate in superficie, incapaci di raggiun¬ gere il fondo, tutte le altre si mostrano leggermente sofferenti ; sono sfarfallate 2 zanzare che giacciono morte sulla polvere gal¬ leggiante. Nel 3° nessun’ altra ninfa è morta, tutte le superstiti sono pronte a reagire agli stimoli di urto. Dopo 48 h. nel 2° sono morte 10 ninfe, e 6 sono morenti in superficie ; nel 3° sono decedute 6 ninfe e 2 agonizzano in su¬ perficie, 4 non si mostrano sofferenti. Nel controllo le ninfe so¬ pravvissute non appaiono sofferenti. IV a Prova. Si ripete la prova il 23 9 con un numero imprecisato (circa un centinaio) di ninfe, confrontando l’azione del diclorodifenil- tricloroetano con quella del clorocanfene e disponendo il consueto controllo. I risultati che si sono ottenuti possono essere così schematizzati : Diclorodifeniltricloroetano. Dopo 24 h. le ninfe si mostrano un po’ meno reattive agli stimoli. Dopo 48 h. alcune sono para- 24 G. P. MORETTI lizzate, la maggioranza non giunge al fondo sotto urto del reci¬ piente. Dopo 72 li. il 90°/0 delle ninfe è deceduto, le rimanenti sono ancora capaci di movimenti. Dopo 100 h. sopravvive una sola ninfa debolmente reattiva, 3 imagini sfarfallate e morte in superficie.. Clorocanfene. Dopo 24 li. nessun sintomo di intossicazione nelle ninfe. Dopo 48 li. quadro immutato, salvo il decesso di una piccola aliquota di individui. Dopo 72 li. si registra torpore in¬ tenso in tutta la popolazione ninfale. Dopo 100 h. sopravvivono 6 ninfe ancora vivacemente reattive ; 20 adulti sfrafallati, di cui 10 morti in superficie. Controllo. Sopravvivenza generale delle ninfe fino alla 100a ora. 50 adulti sfarfallati di cui 2 morti in superficie. Va Prova. La precedente prova viene ripetuta su un numero più elevato- di larve e ninfe, infatti si sperimenta su 500 larve e 100 ninfe per ogni recipiente. Gli effetti vengono qui indicati in percentuali, approssimative non essendo stato possibile valutarli in unità a causa del numero elevato di esemplari in osservazione. Tecnica della distribuzione e capacità dei recipienti come nelle precedenti prove. Data : 21-IX-1947. Risultato. - Dopo 10' nel N. 1 il 25 °/0 delle larve nuota tra superficie e fondo con agitazione. Nel N. 2 il 5% delle larve si comporta in uguale modo. Nel N. 3 nessun sintomo rilevabile di sofferenza. Dopo 30' nel 1° il 75 % delle larve trovasi al fondo con evidenti sintomi di paralisi in quanto incapaci di raggiungere la superficie. Nel 2° il 20% nuota nello spessore di acqua senza raggiungere la superficie. Nel 3° il 2 % nuota nello spessore d’ acqua e non tocca la superficie. Dopo 1 li. Nel 1° tutte le larve giacciono al fondo, il 30°/0 privo di movimenti spontanei, il 70% con piccole contratture^ Nel 2° il 75 % delle larve si trova al fondo con paralisi inatto,, sebbene capaci ancora di movimenti serpentiformi energici. Nel 3° il 10% delle larve nuota tra superficie e fondo, il 2% è in¬ capace di abbandonare il fondo. Dopo 2 h. nel 1° il 100 % delle larve è morente al fondo, solo il 10% compie spontanee contra¬ zioni deboli. Il 3% delle ninfe morenti. Nel 2° il 100 % delle larve al fondo: il 30% privo di movimenti spontanei, il 70% con fiacche contrazioni fugaci. Nel 3° il 70% delle larve al fondo capace di fiacchi ma INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 25 frequenti movimenti serpentiformi. Il 30 % frequenta la superficie, ma appare sofferente. Dopo 4 li. nel 1° nessun movimento spontaneo, il 30% non reagisce più agli stimoli. Nel 2° il 70% delle larve reagisce debolmente agli stimoli, il 30% non reagisce più; nulla a carico delle ninfe ; sfarfallano 3 adulti che restano tosto paralizzati sulla superficie impolverata. Nel 3° il 90% delle larve giace al fondo, dove compie lentissimi movimenti spontanei. Il 10% è inerte agli stimoli ; sfarfalla un adulto che riesce ad abbandonare la superficie a volo. Dopo 12 h. nel 1° il 100% delle larve morto ; il 50% delle ninfe rivela sintomi di intossicazione, (percuotendo il recipiente non si osserva infatti per questa quota la caratteristica calata al fondo). Sfarfallano 3 adulti che muoiono paralizzati sullo specchio di acqua. Nel 2° il 100% delle larve morte; 3 altre imagini muoiono paralizzate. Nel 3° risulta ucciso il 95% delle larve; sfarfallano 10 adulti, 6 dei quali muoiono dopo aver abbandonata la super¬ ficie a volo. Dopo 24 h. nel 1° l’80% delle ninfe è deceduto, il 20% è gravemente paralizzato; nessun’ altra imagine sfarfallata. Nel 2° il 98% delle ninfe sopravvive e scende prontamente al fondo per urto del recipiente. Nel 3° il 100% delle larve è morto; nullo a danno delle ninfe ; 3 zanzare sfarfallate muoiono in superficie. Dopo 40 b. nel 1° sono ancora in vita 2 ninfe le quali sono capaci solo di debole reazione. Nel 2° sono morte 7 ninfe e 4 sono paralizzate. Nel 3° ninfe paralizzate. Nel controllo sopravvivenza generale delle larve e delle ninfe (solo 10 larve e 1 ninfa sono morte) per tutta la durata dell’e- sperimento. Sono sfarfallati 49 adulti tutti vivi ( 1 ). (x) I recipienti adoperati per questa prova, lavati poi in acqua cor¬ rente con abbondante sapone sodico e asciugati, risultano ancora letali per le larve di zanzara che vengono introdotte con acqua nuova, se¬ condo i seguenti valori cronometrici : Esaclorocicloescino : su 100 larve 95- muoiono entro 3 fi.; su 30 ninfe nessun decesso entro questo periodo Diclorodifeniltricloroetano : su 100 larve 30 muoiono entro 3 h. * tutte le altre paralizzate; su 30 ninfe nessun decesso entro questo periodo. Cloroeanfene : su 100 larve 4 muoiono entro 3 b. ; 96 paralizzate ; su 30 ninfe nessun decesso entro questo periodo. 26 G. P. MORETTI 3) Azione tossica sulle uova di zanzara (Cui ex pipiens L.) Tecnica. - In capsule Petri del diametro di cm. 12 conte¬ nenti c.3 100 di acqua vengono poste N. 2 masserelle di uova, e quindi si impolvera la superficie d’acqua con dg. 5 di talco al 5 % di clorurato. Si ha cura di fare cadere la polvere abban¬ donatamente sulle barchette galleggianti di uova. Si confronta l’azione dell’ esaclorocicloesano (1) del diclorodifenitricloroetano (2) e del clorocanfene (3); serve per controllo talco-acetone (4). Data:, 20-IX-1947. Risultato. - Dopo 3 h. sono schiuse in una cinquantina di larvule ; 2 terzi di queste giacciono al fondo, 1 terzo ondeggia morente sotto il tappeto galleggiante di polvere. In 2" sono schiuse una 70;l di larvule, 1 terzo giace al fondo, le rimanenti si trat¬ tengono sotto il velo pulverulento galleggiante nuotando con vi¬ gore. In 3° della 70a di larvule schiuse, 10 sono al fondo, le altre si comportano come quelle del 2° ; in 4° una 80H di larvule schiuse, tutte vivaci. Dopo 24 h. si notano: in 1° 105 larvule tutte morte al fondo; in 2° 173 larvule tutte morte al fondo; in 3° 160 larvule morte al fondo; in 4'1 180 larvule vivaci e natanti in superfìcie. % 4) Velocita di azione sulle zanzare adulte ( Culex pipiens L.) A) Per nebulizzazione. Tecnica. - Si pongono 3 cilindri di vetro pieni di acqua pul¬ lulante di ninfe sotto 3 gabbiette di garza di cm. 30 X 60 X 80. Dopo 2 giorni, quando ciascuna gabbia ospita circa 200 zanzare sfarfallate dai predetti recipienti, si tolgono questi ultimi e si nebulizzano in ciascuna gabbia dall’esterno, a distanza di 90 cm., cm.3 0.5 di una soluzione al 6 % di ’princqiio attivo clorurato in petrolio raffinato. Si esperimentano i seguenti preparati: 1° di- clorodifeniltricloroetano ; 2° clorocanfene; 3° petrolio. Data: 23- VIII-1947. X7- tabella X. 7). Risultato. - Tutte le zanzare vengono abbattute quasi istan¬ taneamente sia in 1° che in 2° che in 3°. Dopo 30' in 1° tutti gli individui sono morti; in 2° 161 in¬ dividui sono morti, 30 muovono fiaccamente le zampe e le an¬ tenne, e l’apparato boccale; in 3" 60 individui sono morti e gli altri agitano le zampe, le antenne e l’apparato boccale. Dopo 1 h. in 2° 7 individui mostrano ancora reazioni appena rilevabili ; in 3° 97 zanzare sono morte, le altre 133 agitano lie- 27 INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. veniente le zampe. Dopo 2 h. morte totale in 2"; morte di 179 zanzare in 3°. B) Per contatto. Tecnica. - In scatole di vetro cilindriche del diametro di 45 mm. e alte 30 min., con coperchio piano ad incavo smerigliato, che avevano contenuto fino a 48 ore prima una soluzione aceto- nica al 5 % di clorurato adsorbita da talco, si introducono a più riprese 100 femmine adulte, appena sfarfallate dagli allevamenti in ogni scatola. Si segue la velocità della comparsa dei sintomi di intossicazione per i seguenti composti: 1° esaclorocicloesano; 2° diclorodifeniltricloroetano ; 3° clorocanfene ; 4° talco-acetone (controllo). Data: 19-22-IX-1947. Risultato. - Per semplificare, i risultati vengono riassunti direttamente nella seguente tabella comparativa: Esacloro¬ cicloesano Dopo 2' le zan¬ zare volano agitate Dopo 5' 25 si rovesciano, vo¬ lano e tornano a ribaltarsi Dopo 7' 75 altre si rovesciano Dopo 15' muo¬ vono solo lieve¬ mente le^zam- pe a scatti Dopo 1 h. e 30" sono incapaci di movimenti spontanei Dopo 3 h. 20 muoiono con le zampe flesse Dopo 6 h. 80 muoiono c. s. Diclorodifenil¬ tricloroetano Dopo 5' volano agitate Dopo 7' 40 si ro¬ vesciano Dopo lo' 60 si rovesc., le prime flettono a scatti le zampe e frul¬ lano le ali Dopo 1 h. e 30' flettono a scatti le zampe Dopo 6 h. 80 muoiono con le zampe flesse Dopo 7 li. 20 muoiono con le zampe flesse Clorocanfene Dopo T volano agitate Dopo 20' 50 si vesciano Dopo 30' ancora 50 si rovesciano Dopo 1 h. e 30' flettono conti- nuam. le zampe Dopo 6 li. 10 muoiono con le zampe flesse Dopo 7 h. 90 muoiono con le zampe flesse Controllo Dopo 7 h. 2 muo¬ iono rovesciate 28 G. P. MORETTI Riassunto e conclusioni. Non è dalle singole prove che si può desumere una conclu- * sione sulla effettiva tossicità dei clorurati presi in esame, stante il numero per lo più esiguo dei soggetti trattati volta per volta per F indagine dei sintomi tossicologici, ma è del complesso degli esperimenti che si possono dedurre i seguenti elementi infor¬ mativi. I composti clorurati in esperimento, usati alla concentrazione del 5% in talco in ragione di mg. 10 di talco trattato per c. 3 700 di acqua, avente una superfìcie di c.‘2 125, non esplicano alcuna azione tossica letale, per il ciprino dorato anche se si fa durare il soggiorno dei pesci nell’ambiente trattato per almeno 17 giorni. Dosi di 70 mg. di talco al 5% di clorocanfene, risultano invece letali per il carassio dorato entro 3 giorni. A questa dose l’ esaclorocicloesano (con il 12-14% di gamma stereoisomero) e l’octaclorometanotetraidroindano non inducono la morte che dopo nove giorni mentre i primi sintomi patognomonici di intossica¬ zione compaiono già dopo tre ore. Il diclorodifeniltricloroetano suscita a tale dose i primi lievi sintomi di avvelenamento solo dopo circa 40 h. ; a dosi più elevate, anche se a minor concen¬ trazione, (da 160 a 700 mg; di talco al 3% di clorurato) l’ esa¬ clorocicloesano induce fatti di intossicazione al 45' e provoca la morte dopo circa 5 ore, mentre il clorocanfene intossica il pesce dopo un’ora, e lo mena a morte dopo 7 ore. II diclorodifeniltricloroetano a queste dosi non sembra scate¬ nare un quadro tossicologico evidente, almeno per 150 ore. Nel complesso il clorocanfene risulta essere il più tossico dei clorurati da noi sperimentati sul ciprino dorato, seguito dall' esa¬ clorocicloesano (% e dell’ octaclorotetraidroindano ; il diclorodi¬ feniltricloroetano appare il meno tossico o comunque il più lento ad agire. Rilievo di notevole importanza pratica^ I risultati raggiunti con le prove sulla gambusia sono di diffìcile interpretazione per la loro relativa incostanza dovuta, da f1) Thomas (1915) trova che « sui pesci rossi la saturazione in iso¬ meri a e fi non dà luogo ad alcuna osservazione, mentre l’isomero Dò li ha leggermente disturbati. Nel corso degli stessi esperimenti l’iso¬ mero y si è rilevato tossico alla dose di 1 mg. per litro ». INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 29 una parte alle differenti dimensioni dei soggetti trattati, alle va¬ riazioni di temperatura, e alla differente quantità di cibo inge¬ rito, dall’ altra alla insolubilità in acqua del talco adsorbente i clorurati che in tale modo non agivano sempre in modo uniforme sui soggetti stessi. D’altra parte, poiché in pratica si ricorre appunto alla distri¬ buzione di polveri galleggianti imbibite di clorurato, a questa tecnica ci si doveva attenere per avere qualche elemento orien¬ tativo. Emerge, peraltro, in modo molto palese che il clorocanfene risulta essere di gran lunga il clorurato più tossico per la gam¬ busia : distribuendo infatti su 2 litri di acqua (con una superficie di 500 c.2) mg. 0,5 di talco al 5% di principio attivo, si ha entro 4 giorni la morte dei pesci. A questa dose l’ octaclorome- tanotetraidroindano, l’ esaclorocicloesano e il diclorodifeniltriclo- roetano non si rivelano tossici anche con un soggiorno dei pesci prolungato per 22 giorni in ambiente trattato. L’ octaclorometano- tetraidroindano provoca mortalità in gambusia alla dose di mg. 1 al 5% di principio attivo; i superstiti però (10° di temperatura) sopravvivono per almeno 22 giorni dopo aver palesato un torpore iniziale sintomo di intossicazione che viene superato. L’ esaclorocicloesano è tossico per la gambusia a dosi discre¬ tamente piccole ; peraltro, distribuendo una polvere inerte che lo contiene al 5% in ragione di cg. 20 per 2 litri di acqua, non si osserva un'quadro di intossicazione almeno nei primi 6 giorni (lv). Distribuendo dg. 2 di polvere al 5% in 2 litri di acqua tutti i composti sperimentati risultano letali per la gambusia, con ec¬ cezione per il cliclorodifeniltricloroetano, che a questa dose non uccide sempre regolarmente il pesce, come risulta dalla prima e dalla nona prova. A questa dose il clorocanfene uccide le gam¬ busie entro 27 h., 1’ esaclorocicloesano, il diclorodifeniltricloroetano, e h octaclorotetraidroindano solo entro 22 giorni. E interessante rilevare che mentre i sintomi di intossicazione provocati da clorocanfene si manifestano assai precocemente ed evolvono con rapidità fino all’ esito letale, l'andamento della curva tossicometrica da esaclorocicloesano è assai prolungata poiché il quadro sintomatologico che esso scatena è tardo ad apparire e si i1) Teniamo a precisare che i risultati esposti nel presente lavoro si riferiscono esclusivamente ai composti tecnici fornitici ; essi sono quindi validi solamente per i preparati clorurati avuti in esame. 30 G. P. MORETTI sviluppa poi con estrema lentezza, mostrandosi passibile di remis- sioni temporanee per cambiamento di ambiente. Caratteristica poi è la reazione parossistica con guizzi violenti per lieve percussione delle pareti del recipiente e del substrato di appoggio. Le indagini tossicometricbe su clorurati nei confronti di ero- staoei acquatici consentono di trarre le seguenti osservazioni orientative : Per ciò che si riferisce alla velocità della comparsa dei primi sintomi patognomonici di intossicazione, in Aselìus aquaticus L* Daphnia sp., Cyclops sp. e Cypris sp. P esaclorocicloesano è di norma il primo ad agire, seguito per do più ( Asellus , Cypris & Cyclops ) dapprima dal clorocanfene, e poi dal diclorodifeniltriclo- roetano e infine dall’ octaclorometanotetraidroindano. Talvolta, per ciò che riguarda invece il decesso, questo si registra prevalentemente con anticipo in clorocanfene ( Cypris e Asellus) poi in esaclorocicloesano, e poi in diclorodifeniltriclo- roetano, e infine in octaclorometanotetraidroindano. Emerge altresì che Cypris , Cyclops e Daphnia rivelano grande resistenza al¬ l’azione dei clorurati. Consimile quadro tossicologico si osserva nei confronti dei vermi rossi della specie Lumbriculus varie - gàtus Gr. contro i quali il clorocanfene agisce, per quello che risulta da queste prove, con lieve anticipo sull’ esaclorocicloesano e sul diclorodifeniltricloroetano per effetto letale. Più lento risulta essere sempre l’ octaclorometanotetraidroin¬ dano. Dai primi esperimenti comparativi sulle larve di Chironomus sp. risulta che l’ esaclorocicloesano rivela rapidamente la propria azione tossica; si deve però rilevare l’elevata tossicità del cloro¬ canfene che in qualche caso risulta superiore a quella dell' esa¬ clorocicloesano. Il diclorodifeniltricloroetano si mostra meno ve¬ loce dei due composti sopracitati per tossicità verso questo insetto* Era i composti clorurati posti a confronto 1’ esaclorocicloesano è il più veloce ad agire, sopratutto per ciò che riguarda la pre¬ cocità della comparsa dei sintomi di intossicazione anche contro¬ le larve di Culex pipiens L. (x). i1) Grande importanza rivela il fattore galleggiabilità in prove del genere; se infatti la polvere cui è stato fatto adsorbire il clorurata (bentonite, fosforite, argilla, ecc.), cade al fondo o floccula nell’ acqua restando in sospensione, l’intossicazione e la morte sopraggiungono as- INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 31 Seguono il diclorodifeniltricloroetano e il clorocanfene, dei quali però il primo gode di velocità di azione maggiore. Alla 24a h., peraltro la mortalità delle larve è totale anche per il secondo; nè l’uno nè l’altro rivelano azione tossica così rapida contro le ninfe quanto quella che si osserva per l’esaclorocicloesano. Circa l’azione dei clorurati in esperimento contro le ninfe, devesi concludere che essi esplicano azione ninficida se usati con dosaggi elevati e in ambienti molto limitati e senza ricambia dell’acqua. In queste condizioni l’ esaclorocicloesano si rivela net¬ tamente come il più veloce e il più attivo, seguito con qualche distanza^ dal diclorodifeniltricloroetano e infine dal clorocanfene. Risulta inoltre da queste prove che quando gli insetti per¬ fetti sfarfallano dalle ninfe sulla superficie d’acqua ancora omo¬ geneamente impolverata con i clorurati muoiono in elevata per¬ centuale. Questo avviene anche per il clorocanfene. Il solfocianato di potassio agisce sciogliendosi nella massa¬ liquida ; la diluizione gli fa perdere in tal modo l’azione tossica contro le zanzare, che sfarfallano sulla superficie con esso im¬ polverata. La prova unica sulle uova di zanzare porterebbe alla con¬ statazione che i clorurati di cui sopra non esplicano azione ovi- cida degna di rilievo, per lo meno in germi prossimi a schiusura,, neppure se distribuiti in misura straordinariamente elevata sulle masse galleggianti. Essi menano però a sicura morte tutte le larvule che ne schiudono; l’ esaclorocicloesano con velocità mag¬ giore del diclorodifeniltricloroetano e del clorocanfene. sai più veloci e massive anche con gli altri clorurati sperimentati. È da rilevare che le prove da noi eseguite con l’ esaclorocicloesano adsor¬ bito al 5% in polvere non galleggiante (bentonite) dimostrano che il preparato distribuito su una superfìcie di cm.2 125 alla dose di ctg. 20 in recipienti della capaciià di cm.3 500 conduce a morte il 100 °/0 dello ninfe entro 24 li. Al contrario, l’impiego di esaclorocicloesano di pre¬ parazione non molto recente (10/12 mesi addietro) porta a risultati non dissimili da quelli che si ottengono con il diclorodifeniltricloroetano,. ugualmente stagionato. Infine ci è risultato che polveri dotate di alta galleggiabilità (tale da consentire l’ immediato ritorno in superficie delle particelle anche dopo lungo scuotimento dell’ acqua, ma con titolo ele¬ vato i’n esaclorocicloesano (10°/0, di 666 con 14°/0 di stereoisomero y) menano a morte il 100°/o delle larve di zanzara entro h 1,15 e il 100°/a delle ninfe entro 8 h. se asperse in ragione di gr. 1,00 per cm.2 400 di superficie in recipiente contenente litri 3 di acqua. 32 G. P. MORETTI Per quanto si riferisce all’ azione sulle zanzare adulte con spruzzi di petrolio contenenti disciolto al 6% il principio attivo, confronto fra diclorodifeniltricloroetano e clorocanfene mostra essere il secondo un po’ più lento del primo ad agire, ma capace di portare ugualmente a morte il 100% degli insetti entro 2 h.. Anche il contatto di zanzare adulte con superfici trattate con soluzione acetonica di clororato adsorbito al 5% da talco, rivela la scalarità di azione che erasi potuta stabilire nelle prove per spruzzo. Più veloce risulta, ancorché di lieve misura, V esacloro- cicloesano, intermedio il diclorodifeniltricloroetano, più lento il clorocanfene, tutti i tre clorurati sono letali per 1? insetto per semplice contatto. Concludendo dunque, la sperimentazione tossicometrica de¬ scrittiva di un gruppo di insetticidi clorurati su alcuni esponenti limnofili consente di stabilire una certa scalarità di azione da parte dei composti carbodeidroalogenati sui singoli termini delle biocenosi stesse. Nella necessità di ricorrere a disinfestanti da applicarsi in raccolte d’ acqua molto limitate per volume e con debole o mancante ricambio d’acqua (risaie, vasche, piccoli ba¬ cini popolati da pesciame, ecc.) sarebbe utile tener conto, oltre che dei dosaggi, anche della tossicità relativa dei preparati che possono in certa guisa incidere in varia misura sui rapporti bio¬ logici dei limnobionti. Gabella INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC. 33 Totale morti CO CO co co CO CO t-H • L- 0 o a o ~a 4-* i 156 o OJ co o T-l CO tH r* A tH 4,45 T-^ Sintomi di Intossicazione dopo -C r— co "io CO co LO c- DZUD}SOS euojzDJiueouo^ « « % 8 A A A co ft tk A A fH Sostanza 1 -, CO -? 5 3 ^ r ~\ w o w o -< O M M M « tj< o o -4 *-< O O O H ^ co 50 rf o ^ q H 2 o W W, W -2 O iH i-4 ^ O O O ^ CN « 3 q i * * 0 -h° K K ^ ^ « :JÌ 2 2 O O 73 o O O M H Data 11 -Vili- 1947 » » » 13-VIII-1947 » » » 18-VITI-1947 » » » » ( 1 ) Morto all’ 80 a ora. 34 G. P. MORETTI 1 l-XII-47 ll-XII-47 ll-XII-47 ll-XII-47 ll-XII-47 Data 30-VII-194I Tabelj CO 1—1 1 C HH I— 1 h-L CO CO 1 — o h-1 HH Ci o CD p p o ** W ffl h- cD b 9 CD o Ci M Ci o Ci . Sostanza ■ l1 > talco acetone . N. 3 O O K O O W O O M C hH p "hh HH © p "hh HH O Ci ‘-r1 hh Ci o p hh HH b O Ci cn o VI — Q 3 Or o o o Oi o o o © C7< o o O o NI “5 v. J CD o CD o CD b cn O b & N Q « ¥ ¥ « in talco o 2 3 % (0 ^ ■n a i M- 7^ CO o o 1—1 7t- co o o _H-l co o o H-A 4^ CO o c i—1 V co c c M- Ttn CO ____o k— L CO o o i—i CO _ o 1—1 co o o N o 3 r> o 3 O o 3 LO to to to Quant. preparato mg. ¥ ¥ » V w ¥ ¥ » ÌL ?T o a to o o * ¥ ¥ Volume acqua in c'3 co Quantità pre¬ parato mg. ¥ v ¥ to OD to OD Superficie acqua in c." :r. sì o 7 Q_ 0 ■O i— i 01 to Lumbriculus a v tOD o o -1 4^ o o co o to Graduatoria dopo ore 45 4- CO ca to •"3 CO o* X* Ir g 09 Cc ® to >. tc Tabella JN. INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC 35 Tabella N. 4 Data Sostanza Contenuto in sostanza Quantità preparoto (mg-) Volume acqua o8 Superficie acqua c-“ N. larve di zanzara Larve paralizzante dopo ore 2 Larve morte dopo ore 2 Larve morte dopo ore 24 28-VIII-19I7 C2H6Cle O O CO 200 1000 125 30 30 8 30 28-V4II-1947 c14h9ci5 o o CO » » » - 30 30 30 28-VIII-1947 C10H10C18 o o CO » » » 30 21 30 28-VIII-1947 Talco » » » 30 Tabella o /“N 0 N c 0 di ^E o 6 D ó a w. 0 k- 0 O 00 4— ' 0 D 3 U N C o N C N 0 3 O" 0 D c <1) a c r o N N D c O QJ E o rve C 00 c o u c o U 'O 4-f 4-» c 0 D O 3 O > >_ (1) a 3 OO _o Z ’c Z c6H6ci6 3% 200 1000 125 30 10 c14h9ci5 » » » » 30 10 CioHxoC18 » » » » 30 10 KCNS » » » » 30 10 Talco > » 1 » 30 10 1 Data * c 0 p -12 O "5 « 5 g a_ Q- O ~a a o N N CM "5 o 11 « 2 o 0 N O 2 o O D- a_ o “D a k- o a ■w o ^ Z o a o “C _2 « o o «»4- Iff o 5 §- ^ “O a> > a> M— _c ’c a) > a> v-t- c c a> > a> Vt- c _2 c > > o E '2-VII1-47 Ì2-VIII-47 '2- VII 1-47 2-VJII-47 2-VIII-47 6 25 20 10 30 30 4 30 30 30 10 10 6 10 10 36 G. P. MORETTI I—1 1— l M- 00 CO co CO HH i— ( M X i—i i—1 I—1 to co co CD 4^ 4^ 4^ 4^ •si -3 -3 H SS O o o o ►— h- Ci o SS O W cn K Ci o ® et- o o o g Ci O d co ® Cn m O O o « o O o IO c o ¥ o c o LO qi o o o o o o 05 05 o c 05 o 05 o © o — ~3 o —3 ox 100 \ H-A — 05 o o Oi CO CO O OI co CO 4- ' • o M- o W o o l—l to 05 o o to LO 4^ -4 LO —3 co to M> h-k 05 05 4^ 05 U Q Q 00 O Q 3 N Q Concentrazione sostanza Quantità preparato (mg.) Volume acqua c-3 Superficie acqua c.2 N. larve zanzara N. ninfe zanzara 4^ to 4^ to 4^ Larve morte dopo ore N infe paralizzate dopo ore ( to 4^ 4^ QO Ninfe morte dopo ore Adulti sfarfallati (40 ore) 5 0 !5 INSETTICIDI CLORURATI E LORO TOSSICITÀ ECC 37 Tabella N. 7 Data Sostanza -a c D 3 o o . Z E o DI ® D ® _ *■* — O a n "O n 3 a t n O N C So KT) _ 5-g a) 3 "D D 4) i_ O N - C o N Zanzare morte dopo ore 0,15 o E _a> o 4-» O 23-IX-1947 23-IX-1947 23-IX-1947 c14H9ci5 c10h10ci8 Petrolio 6% 0,5 90 200 200 200 200 161 60 193 97 200 200 200 179 179 / 38 - G. P. 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Dorma relativamente grande per un 'Angu¬ logerina, tozza e robusta ; più o meno decisamente triangolare in sezione ; inizio molto arrotondato porzione iniziale con spigoli molto smussati e appena accennati ; carene poco sviluppate, tozze e arrotondate al margine, che compaiono solo in corrispondenza dell’ultima loggia o in certi casi, delle ultime due o tre logge ; margini più o meno lobati, talora molto decisamente. Suture ben marcate e depresse. Camere normalmente rigonfie (talora molto) e disposte secondo la normale tassia elicata tipica per il genere: in certi individui più sviluppati, le ultime disposte un po’ irre¬ golarmente (in tal caso manca ogni accenno di carena, pur per- O Williamson istituendo V Angulogerina anguiosa ( On thè recent Foraminifera of Great Britain , R. Soc., 1858, pag. 67, tav. V, fìg. 140) fra le altre località citava anche F Irlanda, per cui penso che i miei esemplari possano avere il valore di topotipi. LA STRUTTURA DEL GEN. ANGULOGERINA CUSHMAN 1927 41 sistendo una irregolare sezione triangolare). Superficie liscia priva di ogni traccia di ornamentazione ; perforazioni minute, ma ben visibili a forte ingrandimento, con diametro di circa 0,4-0, 5 //, distanziate in media di 5 u) fra loro, (su un quadratino di mm. 0,025 ve ne sono in media 25-30). Apertura apicale circolare e portata da nn breve (tanto breve che talora l’orifizio appare subsessile) tubulo, ben distinto, impiantato normalmente alla superficie della loggia e orlato al margine libero da un grosso labbro arrovesciata all’esterno; il lume dell’ apertura, fatto molto interessante, è sempre in parte ostruito da un evidentissimo dente ad uncinor ingrossato all’ apice libero, ad andamento spirale e impiantatesi sulla superficie interna del tubulo obliquamente in continuità con il contorno interno del tubulo stesso (fig. 1 c). Forme A non di¬ stinguibili esternamente dalle B, salvo forse che per le minori dimensione medie. Dimensioni ; altezza mm. 0,62-1,2, larghezza mm. 0,4-0, 6. Caratteri interni . Le pareti esterne sono molto spesse e robuste, quelle dell’ultima loggia più sottili ; -mostrano qua e là tracce di stratificazioni (salvo quelle dell' ultima loggia); sono at¬ traversate da minute perforazioni molto nette (le misure più sopra riportate le ho infatti ricavate per la maggior parte dalle sezioni), fra le quali vi sono minutissime fibre perpendicolari alle superfici delle pareti ; lo spessore della parete esterna aumenta nella parta iniziale del, plasmostraco con l’aumentare del numero delle logge, perciò nella forma B è maggiore che nella A. I setti sono ricurvi, ognuno a spessore uniforme, molto sottili quelli delle prime logga e gradualmente più spessi i successivi. Ihqproloculum è sferico ; ho misurato mm. 0,015 di diametro nella forma microsferica, mm. 0,085 nella megalosferica ; il rapporto di volume fra micro- microsfera e megalosfera è di circa 1 : 200. Le logge successive sono ordinate secondo una tassia elicata che è assai difficilmente valutabile in sezione ; sono relativamente basse e ognuna abbraccia buona parte della precedente ; sono in numero di 20 circa nella forma B, 8-10 nella forma A. L’apertura è assai caratteristica; la parete esterna in prossimità dell’apertura perde perforazioni e fibrosità e si estroflette secondo un angolo retto in un breve tubulo assotigliandosi ; molto grosso appare il labbro del margine libero ed esterno del tubulo ; sulla superficie interna del tubulo si im¬ pianta una doccia (che all’esterno appare come un dente ad uncino), che per un margine aderisce a tutta la lunghezza del tubulo ; la la doccia si continua libera entro il lume della loggia restrin- 42 R. SELLI -gendosi e torcendosi nn po’ su sè stessa nell’ultimo tratto; inoltre la doccia pur talora appoggiandosi al setto sottostante (v. terzultima loggia della fig. 3) non si salda mai con altre strutture interne, per cui ogni apertura ha la sua doccia completamente indipendente. Le varie aperture successive si trovano lungo o in prossimità dell’asse del plasmostraco e ognuna ha la struttura caratteristica •descritta (tubulo estroflesso e doccia interna) e completamente indipendente. Da notare infine che l’asse di avvolgimento non è predeterminato nel proloculum, ma che viene ad essere determinato solo nella prima loggia seriale. Le differenze fra forma A e B ■consistono in un maggior numero di loggie e conseguente maggior spessore della porzione iniziale della parete esterna e maggiori ■dimensioni generali della forma B rispetto alla torma A. Provenienza del materiale. Questa specie è molto frequente nella parte più alta del Pliocene inferiore del Ponticello di Savena {Bologna) negli strati immediatamente sovrastanti la lente glauco- nitica. La ho rinvenuta rara anche nel Pliocene medio del Fer¬ rarese (1). Rapporti e differenze. Essendo questa la prima volta, almeno per quel che mi consta, che vengono studiati i caratteri interni delle Angulogerinae , occorrerà basare i confronti naturalmente sui soli caratteri esterni. Fra le molte specie (oltre una quaran- (l) Selli R„, La stratigrafia di un pozzo profondo perforato presso Pontelago scuro (Ferrara), Giorn. Geol., (2) XVIII, 1945-46. Fig. 1 - Angulogerina forna sinii n. sp., a vista lateralmente, b vista dal lato orale, c apertura a. maggior ingrandimento (notare l’evidentissimo dente). — Fig. 2 - Angulogerina f or nasinii n. sp. a e b come sopra (no¬ tare in questo individuo più sviluppato la netta tricarenatura dell' ultima loggia). — Fig. 3 - Angulogerina fornasinii n. sp. Forma B, sezione lon¬ gitudinale. — Fig. 4 - Angulogerina fornasinii n. sp. Forma A, sezione longitudinale. — Fig. 5 - Angulogerina. anguiosa (Will.) a vista lateral¬ mente, b vista dal lato orale, c apertura a maggior ingrandimento. — Fig. 6 - Angulogerina anguiosa Will., apertura di un altro individuo (notare il contorno semi lunare assunto dalla porzione pervia dell’ aper¬ tura). — Fig. 7 - Angulogerina anguiosa Will., sezione longitudinale. Le figure 1-4 si riferiscono a esemplari del Pliocene inferiore ( parte più alta) del Ponticello di Savena (Bologna) ; le figure 5-7 a esemplari recenti di Clare Island (Irlanda). Figure la, lb, 2 a, 2b, 5 a, 5b' X 75; figure le, 5c, 6 X 150 ; figure 3 e 4 X 100 ; figura 7 X 200. LA STRUTTURA DEL GEN. ANGULOGERINA CUSHMAN 1927 48 7 44 R. SELLI tina) di cui ho potato avere notizie precise, ne ho trovate ben poche che presentano qualche reale somiglianza con IVI. fornasinii _ La forma che più si avvicina è VA. albatrossi Cushman (*) nella quale però, almeno a giudicare dalla fig. originale, i caratteri di Angulogerina sono assai meno marcati, più alte sono le logge, particolarmente l’ultima, e più sviluppato e meno definito è il tubulo. Qualche tratto in comune con la nostra specie lo presenta pure VA. vicksburgensis Cushman (2) ; quest’ultima ha però logge non rigonfie e quindi suture non depresse, tubulo più lungo, anche se simile a quello della A. fornasinii , e minori dimensioni. Angulogerina anguiosa (Williamson) figg. 5 a-c, 6 e 7 Per un’ampia bibliografia rimando a Cushman, The foraminifera of thè Atlantic Ocean , p. 4, pag. 170, U. S., Nat. Mus., Bull. 104^ 1923. Caratteri estertii. E superfluo ridescrivere questa notissima specie, credo però Necessario fare qualche nuova osservazione sui caratteri dell’apertura. Apertura apicale, per lo più circolare ma spesso un po' ellit¬ tica, portata da un tubulo variamente sviluppato e più spesso- gradualmente slargantesi nella loggia che lo sostiene ; labbro del margine libero ed esterno del tubulo poco sviluppato ; lume del¬ l’apertura sempre parzialmente ostruito da un dente; questo può essere ad uncino (come nella A. fornasinii) (fig. 6), oppure l’apice libero del dente saldarsi esso pure al margine interno del tubulo, in modo da dare l' impressione dell'esistenza entro il tubulo di un anello tangente alla superficie interna del tubulo stesso, oppure anche questo anello può essere riempito per cui appare una apertura semilunare (v. fig. 5 c). Dimensioni : altezza min. 0,37- 0,65, larghezza min. 0,18-0,25. Caratteri interni. Pareti esterne sottili e piuttosto delicate ; assai limitata la differenza di spessore fra le pareti esterne iniziali e quelle finali, pur rimanendo sempre quelle dell’ultima loggia le più sottili; assai ridotte le stratificazioni visibili; perforazioni assai minute (lievissimamente più minute e appressate di quelle 0) C US fi M AN J. A., Some recent Angulogerinas from thè Eastern , Pacific, Coatr. Cushman Lab. For. Res., 8, 1932, pag. 45, tav. 6, figg. 11-12. (2) Cushman J. A., New species of Foraminifera from lower Oli¬ gocene of Mississippi , Contr. Cushuian Lab. For. Res., 11, 1935, pag. 33r tav. 5, figg. 3-4. LA STRUTTURA DEL GEN. ANGUL0GER1NA CUSHMAN 1927 45 dell’A. fornasinii) : fra le perforazioni vi sono fibrosità quanto mai delicate e diafane. Setti ricurvi, ognuno a spessore uniforme, poco diversi fra loro per spessore, pur aumentando questo legger¬ mente nelle logge successive. Il proloculum è sferico e delimitato come al solito da una parete molto sottile ; nella forma A ha mm. 0,05 di diametro. Le logge successive sono alte e ognuna abbraccia una porzione non molto grande della precedente (minore che nella A. fornasinii ); esse sono ordinate secondo la solita tassia attorno ad un asse che spesso è un po’ ricurvo (come è nella sezione della fig. 7). L’apertura è perfettamente analoga a quella della specie precedente; anche qui in prossimità dell’orifizio la parete esterna perde perforazioni e fibrosità e si estfoflette più o meno gradualmente in un tubulo, il quale quindi non viene sempre ad essere ben delimitabile rispetto alla loggia che lo sostiene ; sottile e non molto sporgente è il labbro che orla il margine libero ed esterno del tubulo ; sulla superficie interna del tubulo si impianta una doccia che si continua libera entro il lume della loggia, restringendosi con una certa rapidità e torcendosi lievemente nell’ultimo tratto; talora i lembi liberi della doccia si saldano, in parte o completamente, dando luogo a un vero tubicino entosolenico (*) ; la doccia o il tubicino interno, data la notevole altezza delle logge, non raggiungono quasi ma il setto sottostante. Le varie aperture successive conservano sempre la struttura ca¬ ratteristica descritta e se l’accrescimento è stato regolare si trovano tutte lungo o in prossimità dell’asse del plasmostraco. Fra gli individui sezionati non ho incontrato forme B, per cui non posso dire nulla con sicurezza del dimorfismo della specie, penso però che esso sia analogo a quello dell’ A. fornasinii. Proveriienza del materiale. Gli esemplari studiati sono stati isolati dalla sabbia della spiaggia di Co Mayo, Clare Island (Ir¬ landa) (Coll. Heron- Alien). Si tratta perciò come ho detto fin dall' inizio di esemplari tipici. Considerazioni sulla struttura degli Uvigerinidi. Come si vede il carattere stutturale essenziale delle specie descritte è dato dal particolare tipo di apertura. Anche se non (T) In tal caso l’ apertura vista esternamente appare identica a quelle dei gen. Siphogenerina Schlumb. e Siphogenerinoides Cushman, illustrate recentemente con molta cura da Benton Stone (Journal of Pah, 20, 1945, pag. 467, figg. 2-4 nel testo). 46 R. SELLI mi consta che tale struttura sia stata finora messa in evidenza, non è però nuova in senso assoluto. Vi sono infatti alcune figure di Angulogerina , che mostrano chiaramente un dente occludente in parte l’apertura; esso è evidentissimo nell’A. carinata Cushman (*). Altre volte sono state figurate specie con orifizi che fanno sospettare strutture complesse; così VA. oìigoca erica (Andreae r VA. pulchella Cushman et Edwards, ecc. Ciò malgrado Gallowat istituì 'nel 1933 (2) una subfam. Angulogerinae , caratterizzata proprio da un apertura priva di dente o sifone interno. i Costituendo VA. anguiosa (Will.) il genotipo di Angulo¬ gerina , è evidente che la struttura riconosciuta in essa ha valore generico. In oltre che questa struttura sia normale per il genere lo dimostra la sua presenza nella A. fornasinii n. sp., che rap¬ presenta il tipo di ogni gruppo di Angulogerinae ben diverso da quello dell’ A. anguiosa , e quegli orifizi particolari di Angulo¬ gerina già noti. Si presenta così naturale la ricerca delle affinità del processo interno delle Angulogerina. Bisogna però premettere che costru¬ zioni simili, a primo aspetto, si presentano pure in molti altri generi o famiglie ; particolarmente frequenti sono nelle fam. He- terohelicidae, Buliminidae , Cassiduliniclae o addirittura Ellipsoi- dinidae (3), quali vengono intese nelle moderne classificazioni, americane. La maggior parte però dei processi interni riconosciuti in questi gruppi, sono ben diversi per origine, da quelli di cui mi occupo ora. Sarebbe infatti necessario uno studio strutturale accurato della maggior parte dei generi ascritti a queste famiglia per stabilire delle suddivisioni più naturali e giustificate di quelle che vengono oggi spesso accettate. Il gen. Uvigerina d! Orb., almeno a giudicare dai caratteri esterni è quello che presenta evidentemente le massime affinità con le Angulogerina. Nelle specie ad esso ascritte l’apertura è però generalmente descritta come rotonda e semplice; non bisogna d’altra parte dimenticare, che sono stati talora citati dei processi interni in connessione con l’orifizio. Così Cushman nella II ed- del suo manuale a proposito della diagnosi del gen. Uvigerina O Cushman J. A., 1932, 1. c., pag. 44, tav. 6, figg. 7-8. (2) Galloway J. J., A A [anual of Foraminifera , Bloomington, 1 n d . . 1933, pag. 337. (3) Anche in altre famiglie si trovano processi interni più o meno somiglianti apparentemente: Polymorphinidcie, Rotalidae, ecc. LA STRUTTURA DEL GEN. ANGUL0GER1NA CUSHMAN 1927 47 dichiara : « aperture terminal, rounded, with neck and lip, of'ten with a spirai tooth and internai twisted tube » (l) ; non mi è però riuscito di trovare la documentazione di questa affermazione. Glaessner studiando la filogenesi dei Buliminidi 1. s. afferma : «... aucli bei versckiedenen tertiàren Arten von Uvigerina fìndet sich ein solches Zabn. » e dà uno schizzo che poco aggiunge alle parole (2). Anch’io ho avuto modo di constatare l’esistenza di un dente entro il lume dell'apertura di Uvigerina (3). Si può perciò concludere che, per quanto manchi uno studio al riguardo, anche strutturalmente devono intercorrere somiglianze strettissime fra Uvigerina e Angulogerina. Quanto mai evidenti sono i rapporti fra Angulogerina e Tri farina Cushman come pure quelli fra Uvigerina e Hopkins ma Howe et Wallace ; questo vale sia per i caratteri esterni sia per le strutture interne perfettamente analoghe (4). Si può perciò concludere, non però in modo definitivo dato che conosciamo con precisione solo i caratteri strutturali delle Angulogerina , che i quattro generi nominati presentano il caratteristico processo in¬ terno in relazione con l'orifizio. Fra gli uvigerinidi vengono pure per lo più inclusi anche i gen. Siphogenerina Schlumberger e Siphonodosaria A. Silvestri. Il primo è assai ben noto strutturalmente per le ricerche di Schlumberger e A. Silvestri (5), il secondo per gli studi di A. Silvestri e per quelli che io stesso ho condotto, ma che non ho ancora pubblicato (6). Il genere Siphogenerina (7) è indubbia- (f) Cushman J. A., Foraminifera their Classificatimi and economie Use, II ed., Cushman. Lab. For. Res., Sp. Pubi. 4, 1933, pag. 225. (2) Glaessner M., Die Entfaltung der Foraminiferenfamilie Bu- limidae , Probi. Paleont., Lab. Paleont. Mosco w. Univ., II-III, 1937, pag. 416. (3) L’ho osservato in molte specie: U. mediterranea Hofker, hra- dyana Forn., aculeata d’Orb., umida d’Orb., semiornata d’Orb. (= ve¬ nusta Franz.), ecc. (4) L’ Hopkins ina hononiensis Forn., presenta un tipico dente. Per quanto non abbia osservato uu vero dente, visibile dall’ esterno, nella Trifarina bradyi Cushman, ho notato un tipico processo assile interno, che rispetto a quello delle Angulogerina presenta piccole differenze. (5) Silvestri A., Altre notizie sidla struttura della Siphogenerina columellaris, Atti Pont. Acc. N. Lincei, LVI, 1903. Per altre notizie rimando a : Cushman J. A., Foraminifera of thè genera Siphogenerina and Pavonina , Proc. U. S. Nat. Mus. 67, art. 25, 1926. (6) Ho accennato tuttavia alla struttura delle Siphonodosaria in un precedente lavoro a cui rimando: Selli R., Una microfauna eocenica 48 R. SELLI - LÀ STRUTTURA DEL GEN. ANGULOGERINA ECC. mente affine alle Uvigerina per i caratteri esterni, assai maggiore diversità sembra invece presentare per la struttura interna. Se però si osservano con cura i dettagli dei processi assili nei generi Siphogenerina (v. Silvestri 1903y e Angulogerina le differenze in definitiva si riducono al solo fatto che nelle Siphogenerina il margine interno della doccia anziché essere libero si salda all’orlo dell’apertura sottostante. Da vari fatti penso che il processo assile continuo delle Siphogenerina derivante dalla saldatura delle docce delle singole aperture rappresentanti un tipo strutturale più evoluto. L’apertura delle Siphonodosaria invece deriva da progressiva riduzione di quella osservata nelle Angulogerina fino alla scom¬ parsa totale di docce, processi interni e infine anche di ridotti denti come si osserva nelle Siphonodosaria recenti. Il caratte¬ ristico dente spesso bifido che- frequentemente occlude in parte il loro orifizio si può pensare derivato per due vie : o per semplice e progressiva riduzione della doccia osservata nelle Angulogerina , oppure da una doccia primitiva, per passaggio a un tubulo ento- solenico e per successiva occlusione e compressione di questo (fig. 5 c), con contemporaneo accorciamento. Concludendo, almeno da quello che ci è finora noto, si può dire che l’apertura con doccia e tubulo introflesso delle Angulo¬ gerina rappresenta un tipo primitivo comune anche a Uvigerina , Hopkinsina e Trifarina. Le forme «Nodosaria» del gruppo, quali Siphogenerina e Siphonodosaria hanno strutture interne deri¬ vanti da sviluppo per le prime, riduzione per le seconde del tipo primitivo descritto. E evidente che tali conclusioni non possono essere definitive, finché le ricerche non siano opportunamente estese ai generi citati e ad altri affini. Si può però fin d’ ora vedere la stretta affinità che intercorre fra le forme nominate e come esse possano costi¬ tuire un gruppo omogeneo avente vàlore di famiglia a sé stante ( Uvigerinidae ) (1). Bologna, 27 maggio 1947, Istituto di Geologia . inclusa nelle argille scagliose del Passo dell’ Abbadessa ( Ozzano-Bolonga ). Giorn. Geol. (2), XVII, pag. 61, nota in calce, 1944. (7) Come le ricerche recenti di Benton Stone (v. nota 1 a pag. 45) hanno dimostrato, il gen. Siphogenerinoides Cushman è estremamente affine a questo. C) Non mi intrattengo su altri generi quali Uvigerinella, Denta- limopsis, Sporadogene rina riuniti insieme a quelli citati nella subfarn. Uvigeneridae da Cushman e gli altri AA., perchè nulla si conosce circa la loro struttura interna. G. Fagnani RICERCA SUL TERRENO DI MINERALI RADIOATTIVI PER MEZZO DEI RAGGI ULTRAVIOLETTI Nei filoni pegmatitici racchiusi negli scisti cristallini della penisola di Piona (Lago di Como) sono stati rinvenuti già da tempo, come è noto, alcuni minerali radioattivi (1) tra i quali uraninite, torbernite, metatorbernite (2), autunite. Il rinvenimento di questi minerali è quanto mai arduo e pro¬ blematico alla luce del giorno a causa della quantità minima in cui si presentano, ragion per cui sono ben poco o per nulla ap¬ pariscenti. Si era da tempo prospettata la possibilità di effettuare ricerche notturne con raggi U. V. sia sul fronte dei filoni in col¬ tivazione sia sul materiale estratto o sui detriti contenuti nelle discariche : la realizzazione di un simile esperimento era stata però sempre differita per le difficoltà di vario genere che si erano finora incontrate data la mancanza di energia elettrica nelle vi¬ cinanze. Nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1947 grazie al gentile interessamento del Sig. G. Variati di Milano che mise a mia dispo¬ sizione i mezzi di trasporto e del Sig. F. Teppa che fornì un gruppo elettrogeno, è stato possibile effettuare un sopraluogo not¬ turno al filone della Malpensata che ha dato risultati veramente lusinghieri. Giunti sul posto alle ore 17 si è proceduto immediatamente alla istallazione ed alla messa in funzione del gruppo elettrogeno, costituito da un motore a due tempi da 125 crn.3 accoppiato ad un alternatore da 300 Volt 5 Amp. : come sorgente di raggi U. V. è stata impiegata una lampada Philiphs-McLh-Philora da 75 W. dell’ Istituto di Mineralogia dell7 Università collegata al generatore con 100 metri di cavo gommato. Il gruppo elettrogeno venne piazzato sulla strada dell’Abbazia di Piona in vicinanza del filone di pegmatite. Alle ore 18 con una oscurità quasi completa si sono iniziate le ricerche: è stato preso in esame per primo un cospicuo accu¬ mulo di blocchi di feldispato posti all’esterno del filone sul pendio del monte al margine del bosco : prima ancora di arrivare colla 4 50 G. FAGNANI Fig. 1 - Campioni di pegmatite a luce naturale (Tautuitite è invisibile). Fig. 2 - Gli stessi campioni alla luce di Wood (l’autunites si manifesta con una marcata luminescenza verde). RICERCA SUL TERRENO DI MINERALI RADIOATTIVI ECC. 51 lampada sui massi si comincia a vedere, alla distanza di 5-6 metri, la caratteristica luminescenza verde dell’ autunite divenire mani¬ festa sempre più a mano a mano che ci si avvicina: alla distanza di 1-2 metri la luminescenza diventa vivace e a distanza ancor più ridotta essa raggiunge la massima intensità con toni sma¬ glianti color verde smeraldo. Il feldispato, di per se stesso non luminescente, si colora in viola e su tale colore spicca evidentissimo il verde caratteristico dell’ autunite. La ricerca continuata per oltre due ore venne estesa su tutta la superficie della massa di pegmatite. In un secondo tempo fu esplorata la parte inferiore della potente discarica fino alla galleria di ribasso e più sotto ancora fino in prossimità del lago. Sui materiali della discarica in parola, assai tormaliniferi e ricchi di mica muscovite in minute lamine, non è stata invece riscontrata traccia alcuna di autunite : così pure sulla pegmatite al contatto cogli scisti cristallini all’inizio della galleria di ri¬ basso^: più oltre nella galleria non fu possibile avanzare per la presenza di acqua e per il pericolo di caduta di scheggioni dalla volta nonché per le condizioni di instabilità delle pareti in gran parte già franate. Alle ore 22’ la ricerca sul terreno poteva dirsi terminata : vennero così raccolti in un tempo relativamente breve circa 1000 campioni, per la massima parte feldispato, contenenti una quantità non indifferente di autunite. Dopo il sopraluogo notturno ad Olgiasca si può per il momento concludere che si è avuta la possibilità di radunare copiosissimo materiale che potrà servire per un ulteriore esauriente studio dell’ autunite di Olgiasca e della uraninite eventualmente ancora presente la quale però come è noto non è luminescente ma deve considerarsi — almeno nel caso che ci interessa — come il pro¬ dotto di partenza per la formazione della autunite. E stato anche possibile avere una idea esatta della diffusione dell’ autunite nella pegmatite di Olgiasca, diffusione che è di gran lunga superiore a quella che si poteva desumere dall’ esame dei campioni finora raccolti alla luce diurna: in tali condizioni infatti 1’ autunite è visibile soltanto quando ricopre in tenui incrostazioni il feldispato (8) o i pacchetti di mica muscovite. Su buona parte dei numerosi campioni raccolti non è visibile esternamente alcuna traccia del minerale, che esiste invece nel- 1’ interno a brevissima distanza dalla superficie e che-, sollecitato 52 G. FACNA.NI - RICERCA SUL TERRENO DI MINERALI, ECC. dalla radiazione ultravioletta si manifesta colla caratteristica lu¬ minescenza. Difficilmente distinguibile alla luce del giorno, com¬ pletamente invisibile a quella bianca artificiale, 1’ autunite appare ai raggi U. V. ora come punti minuti ed isolati diffusi un poco ovunque sul feldispato e sulla mica, ora in concentrazioni assai diffuse sempre sul feldispato sotto forma di aloni contornanti plaghe non luminescenti al centro delle quali si trova sempre un piccolo noduletto di uraninite. Se si spezza il campione opportu¬ namente si può osservare che la plaga luminosa non è altro che la manifestazione esterna di una zona sottostante più o meno sfe¬ rica contornante ad una certa distanza (cm. 0,3-5, 0) il nodulo centrale oscuro. Va ancora osservato che 1’ autunite, segnalata dal Pepossi come uno dei minerali più rari delle pegmatiti di Olgiasca, era poi apparsa non infrequente e risulta ora assai diffusa almeno nel filone della Malpensata. Ci proponiamo in un prossimo futuro di ripetere l’ esperi¬ mento per il filone di Sommafiume (4) a quota 1100 sul Legnon- cino dove già dal 1945 furono rinvenuti anche dallo scrivente campioni di pegmatite assai ricchi di autunite. Ci è gradito rinnovare qui ai Signori Variati e Teppa il nostro vivo ringraziamento per averci messo a disposizione i mezzi necessari per effettuare le ricerche ricordate, come pure ai Mo¬ naci dell’Abbazia di Piona per il valido e volonteroso aiuto pre¬ statoci. Istituto di Mineralogia e Petrografia dell’Università di Milano Dicembre 191 7. BIBLIOGRAFIA j 1) Repossi E. : I filoni pegmatitici di Olgiasca : rinvenimento in essi di minerali di uranio. Atti Soc. It. Scienze Naturali. Voi. LII, Fase. IV, pag. 510, Milano, 1914. 2) FagnaniG. : Sulla diffusione di alcuni minerali di uranio nei filoni pegmatitici di Piona e del Legnoncino (Lago di Como). Atti Soc. It. Se Naturali, Voi. LXXXIV, pag. 134, Milano, 1945. 3) Scaini G. : Itinerari minerai >gi ci. Voi. I, pag. 117, Riv. «Natura* della Soc. Ital Scienze Naturali. Milano, 1943 4) Magi stretti L.: Osservazioni sui nuovi filoni pegmatitici ecc. Riv. « Natura » della Soc. Ital. Scienze Naturali, Voi. LXXXV, Mi¬ lano, 1946. ISTITUTO DI ANATOMIA COMPARATA DELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA (DIRETTORE PROF. M. VIALLl) Mario Pavan SULLA DEPOSIZIONE DELLE UOVA IN MORIMUS ASPER SULZ. E LAMIA TEXTOR L. {Col. Cerambycidae ) Per una sempre più profonda conoscenza della biologia dei coleotteri Cerambycidae Morimus asper Sulz. e Lamia textor L., dopo aver descritto in una apposita nota i fatti anatoma-fisiolo- gici riguardanti 1’ accoppiamento e fenomeni biopsichici inerenti (Pavan 1947), in questo breve lavoro riferirò i dati da me rac¬ colti intorno alla deposizione delle uova. Il materiale che ha servito al presente studio è proveniente da catture eseguite nel 1946 da me e dallo studente Ronchetti, nella zona della Pianura Padana fra Pavia e Tortona. Tale ma¬ teriale è precisamente quello che mi ha servito anche per le os¬ servazioni che sono state oggetto della nota precitata. £ ❖ ❖ E indiscusso l'interesse economico dei Cerambicidi, in quanto sono numerose le specie di tale famiglia dannose alle varie col¬ ture, ed in particolare alle piante d’ alto fusto. A tale categoria vanno ascritti anche M. asper e L. textor , per i notevoli danni che vengono inferti a varie essenze dalle grosse larve di questi due coleotteri. Per questo motivo la letteratura entomologico- agraria registra numerosi lavori sudo sviluppo larvale dei Ceram¬ bicidi. Solo nel .1939 è apparsa un’opera riassuntiva di. V. Buto- vitsch, con la quale P Autore tenta di riordinare tutte le cogni¬ zioni sulla biologia dei Cerambicidi riunendo e schematizzando, fin dove è possibile, i dati sparsi nella vasta letteratura. _ 54 M. PAYAN A proposito della deposizione delle uova e delle prime fasi dello sviluppo larvale delle specie che ci interessano, la lettera¬ tura non registra elementi precisi: nella accurata e documentata nota di Butovitsch il solo dato che si riferisce alle specie di cui mi sono occupato, riguarda le dimensioni dell’uovo di M. asper, che secondo Bugnion 1931 misura mm. 4. In considerazione di ciò ho ritenuto non privo di interesse raccogliere ed interpretare i fatti che formano oggetto di questa nota. La deposizione. Tragardh 1929 per primo stabili una classificazione dei Ce- rambicidi rispetto alle modalità della deposizione delle uova, ma ben presto questa schematizzazione si rivelò insufficiente a com¬ prendere tutti i casi conosciuti, per cui Butovitsch nel 1939 fece . * un ulteriore esame dell’argomento e ne tradusse i risultati nello schema qui fedelmente riportato (pag. 219) : A - Deposizione solo con l’aiuto dell’ovopositore. a) sulla corteccia o superficie dei posti di deposizione ; b) in fessure della corteccia o sotto scaglie di corteccia; c) in fessure del legno, screpolature; d) nei fori di ingresso, di sfarfallamento, o di respirazione di altri insetti ; e) nel terreno ; f) sulle superfìci di diversi substrati o diversi oggetti che non servono alla larva come posti di sviluppo. B - Deposizione con l’aiuto dell’ovopositore e mandibole. I. In fossette ovulari senza particolare preparazione del sub¬ strato. a) In fossette ovulari formate con le mandibole ; b) in fossette ovulari preparate con le mandibole e con l’ovo¬ positore. II. In fossette ovulari rosicchiate o in fori forati con 1’ ovopo¬ sitore con particolare preparazione del substrato. L’esame della modalità della deposizione in M. asper e L. textor , mi ha rivelato la loro appartenenza al gruppo B 1° a della tabella di Butovitsch. Il gruppo B 1° comprende la massima SULLA DEPOSIZIONE DELLE UOVA ECC. DO parte della sottofamiglia Lamimae, fatta eccezione di alcuni Sa- perdini e Phytoecini di piccola mole, e del gruppo dei Dorca- dionini. Come in tutti gli altri Cerambicidi, anche nelle due specie -da me studiate, la preparazione del luogo di deposizione delle uova spetta solo alla Q nella fase immediatamente precedente la deposizione stessa. Questa pratica consiste nello scavare mediante le mandibole una fossetta nella corteccia delle piante, talora fa¬ cendo intervenire anche un’azione trivellatrice da parte dell’ovo¬ positore (Gruppo B 1° b : Acanthocinus aediìis L., secondo INeander 1928). Xelle due specie di Lamiinae M. asper e L. textor , la de¬ posizione avviene sostanzialmente con una stessa modalità, almeno per quanto a me risulta dai dati di allevamento sperimentale. In natura queste due specie depongono sia in piante vive, sia in piante morte, ed in condizioni molto varie riguardo al substrato che serve come sede di sviluppo e base trofica per la larva. Cosi ho potuto riconoscere durante precedenti ricerche svolte in natura, larve giovani di M. asper in grossi tronchi di castagno -abbattuti da anni il che ha implicato la deposizione nel tronco stesso dopo l’abbattimento delle piante e la spogliazione dei rami. * E bene far rilevare che i fatti qui riferiti in merito alla de¬ posizione, sono da ritenersi validi per le particolari condizioni ■da me realizzate nell' allevamento, e cioè : presenza di pezzi di ramo di pioppo (diametro cm. 1-4) sia appena tolti dalla pianta, sia morti da tempo, sia in via di avanzata essiccazione. Dirò subito che questi ultimi sono stati sempre scartati da parte dei due Cerambicidi in esperimento che hanno dimostrato di pre¬ ferire esclusivamente un substrato molto umido, mentre in pre¬ senza esclusivamente di rami secchi hanno deposto le uova sul nudo terreno — in condizioni dunque da non poter assicurare alcuna possibilità di sopravvivenza alla larva neonata (Q. (Q Questi particolari coincidono con la riscontrata necessità da parte della larva di vivere in ambiente umido : infatti a documentazione di ciò posso riferire d’ aver notato che le numerose uova fatte deporre in giovani rami freschi successivamente lasciati essiccare per naturale in¬ tensa evaporazione, sono giunte a completo sviluppo della larva, ma questa non ha potuto completare lo sgusciamento pur avendolo iniziato. Inoltre le larve tenute nell’ allevamento sperimentale in tubi di vetro 56 M. PAVAN Questo fatto, ammesso che trovi riscontro anche in natura., verrebbe ad avere un particolare significato pratico in quanto suggerirebbe l’opportunità che le essenze soggette all’attacco da parte delle larve delle due specie in questione, una volta tagliate vengano conservate prima dell’ uso in ambienti asciutti, meglio se direttamente esposte al sole in modo da facilitare una rapida essiccazione di tutto il tronco. A ciò si può aggiungere che la deposizione delle uova viene fatta fra corteccia e libro e che la larva si nutre, almeno nei primi periodi della vita, di materiale appartenente ai due livelli con¬ temporaneamente. In merito a ciò ed in ordine all’interesse pra¬ tico cui in parte sono rivolti questi studi, si deve rilevare che tale particolare relativo all’ alimentazione larvale, suggerisce la opportunità di scortecciare le piante tagliate onde privarle del substrato sfruttato per la deposizione delle uova e sopratutta della fonte trofica necessaria per lo sviluppo delle larve di M. asper e L. textor. * * * La deposizione delle uova fu da me riscontrata per un pe¬ riodo che si è prolungato dall’ inizio di giugno fino alla metà di ottobre, senza periodi di sosta intermedi. Avendo tenuto alleva¬ menti promiscui di numerosi cf cT e 9 9 nelle stesse gabbiette, non ho potuto seguire una successione di fatti riferibile a singole femmine, ciò che avrebbe un certo interesse poiché porterebbe alla conoscenza del grado di fecondità, della periodicità di depo¬ sizione, e della intima relazione fra accoppiamenti e fecondazione in singoli individui. Tuttavia posso fin d’ ora rilevare con certezza che una 9 può- deporre parecchie uova feconde di seguito senza ricorrere alla con segatura, quando V umidità del substrato scende sotto un certo grado, cessano di alimentarsi e pur vivendo ancora a lungo perdono continuamente di peso e finiscono col morire d’inedia. A ciò fa riscontro l’aver varie volte osservato la distribuzione di larve d’egni età e di ninfe di M. asper (come pure di altri Cerambi- cidi) nei tronchi abbattuti, addensate nella porzione di tronco più pros¬ sima al suolo o comunque in quelle zone che per cause varie conserva¬ vano una maggiore umidità rispetto alla parte liberamente esposta alla, azione essiccante dell’insolazione. SULLA DEPOSIZIONE DELLE UOVA ECO. 57 copula. Mi è parso però frequente il caso di accoppiamenti ripe¬ tuti con uno stesso X? 0 con altri senza che ne seguisse deposizione di uova, mentre altre volte ho visto che finita una copulazione, mentre il conservava l’ atteggiamento di amplesso la 9 scavava la fessura di deposizione e vi introduceva 1’ uovo, subendo immediatamente dopo altri coiti seguiti da altre deposi¬ zioni. Ho già descritto nella mia nota precitata vari fatti d’ordine biopsichico inerenti a questo argomento, come ad esempio 1’ at¬ teggiamento di difesa della 9 assunto dal $ che attuò la copula,, mentre la 9 stessa si trova nella fase critica della deposizione dell’uovo. In questi casi, mentre porta il X avvinchiato con le zampe anteriori alla base dell’ addome, la 9 scava tranquillamente con le mandibole una fessura di mm. 3-4X1, trasversale all’asse del ramo, raggiungente il libro, impiegando in questa operazione diversi minuti. Durante questa fase di scavo la 9 può trovarsi sola, oppure se è sotto il possesso-tutela di un X può subire ta¬ lora anche vari coiti, finché finita la preparazione della fossetta essa si dispone alla deposizione : abbandonato lo scavo, si volta in direzione opposta portando l’estremità dell’addome in corri¬ spondenza della fossetta. Quasi sempre trova immediatamente lo scavo, ma qualche volta ne va alla ricerca sfregando 1’ apertura genitale contro la corteccia, lasciandosi anche, per breve momento,, ingannare da naturali irregolarità del substrato. Quando ripetuti tentativi di ricerca rimangano senza esito, si rivolge col capa alla fossetta, vi immerge le mandibole e poi ritenta con 1’ addome giungendo in breve a buon esito. Tutte queste manovre di ri¬ cerca lunghe a descriversi, si svolgono in realtà in un tempo breve, in generale un minuto 0 poco più. Una volta posta l’aper¬ tura genitale sopra la fossetta, la 9 si dispone a deporvi l’uovo, estrofìettendo ed insinuando gradualmente 1’ ovopositore nella fes¬ sura e spingendolo poi fra corteccia e libro; in questa fase, spesso essa deve esplicare uno sforzo notevole per vincere la naturale aderenza della corteccia al libro, ma nelle varie decine di depo¬ sizioni cui ho assistito la 9 è sempre riuscita a questo fine. L’uovo dunque viene emesso e alloggiato lateralmente alla fossetta ; una sostanza gelatinosa pure emessa con 1’ ovopositore, e di cui non si conosce la natura, fissa l’uovo al substrato. 58 M. PAVAN Solo raramente una fossetta viene utilizzata per due o tre deposizioni, e questo nei casi di grande addensamento di 9 9 3n fase di ovulazione con scarsa disponibilità di rami adatti alla de¬ posizione. In questi casi ha ottenuto decine di deposizioni distinte in un rametto di pioppo lungo 30 cm. con un diametro di 4 crn. La cura con cui le uova vengono deposte separatamente, ognuna in una apposita fossetta, è provvidenziale per la propagazione della specie, in quanto nei casi di uova deposte l’una vicina all’altra, la prima larva che sguscia distrugge le uova contigue mangian¬ dole ed eliminando in tale modo la futura concorrenza di altre larve interessate allo stesso substrato trofico. Per di più anche l’incontro di larve riesce quasi sempre fatale per quella che si trova esposta ai morsi della rivale, e non raramente ho visto che ambedue perivano in seguito alle ferite infertesi vicendevolmente. Ritornando all’ ovodeposizione, ho potuto rendermi conto che quest’operazione è visibilmente impegnativa per la £> la quale compie notevoli sforzi sia nella fase di introduzione dell’ ovopo¬ sitore fra corteccia e legno per preparare l’interstizio destinato ad accogliere 1’ uovo, sia nella fase di estrusione dell’uovo stesso. Per questo motivo pare tanto più provvidenziale l’assistenza che il cf possessore dà alla 9> sostando nelle immediate vicinanze e scacciando furiosamente gli eventuali q1 371 che sopraggiungono, anche se questa opera di difesa alla fine torna utile allo stesso 371 che continua a disporre della 9 per successivi accoppiamenti. L’operazione di deposizione di un uovo dal momento in cui la femmina introduce l’ovopositore nella fossetta, al momento in cui lo estrae, non richiede in media che 5 minuti. Dopo la estrazione dell’ ovopositore dalla fossetta, la 9 si riporta col capo sulla fossetta stessa e impiega un paio di minuti, nel comprimervi con le mandibole la rosura dello scayo, in qualche caso producen¬ done anche dell’altra per otturare meglio la fessura, certamente con lo scopo di rendere più difficile la penetrazione di eventuali danneggiatori dell’uovo o della larva che ne sguscierà. Trascorsi in media complessivamente 9-10 minuti dall’inizio dello scavo di una fossetta, ogni operazione di ovodeposizione è terminata, e la 9 può riprendere l’accoppiamento o lo scavo di un’altra fossetta, oppure dopo un periodo di qualche minuto di tranquillità ritorna alla normalità. Non raramente ho potuto osservare deposizioni ripetute in breve periodo di tempo, ad esempio tre volte in un’ora. SULLA. DEPOSIZIONE DELLE UOVA ECO. 59 Il tipo di cure parentali qui descritto, per quanto riguarda 10 scavo della fossetta è comune alla maggior parte dei Lamiini e rimando all’ opera di Butovitsch per una vasta documenta¬ zione in merito. Una particolare sistemazione della fossetta dopo la deposizione è conosciuta invece per un numero limitato di .specie, ma con modalità varie rispetto a quelle qui descritte per M. asper e L. textor. Ad esempio la 9 chiude la fossetta con un liquido gelatinoso secreto dall’ovopositore, nelle specie di Ce- rambicidi sudafricani : Phryneta spinatrix F. (Gunn 1919) e Thereladodes Kraussi White (Rhe 1932), in varie specie del nord America come Saperda candida F. (Brooks 1920) ed altre appartenenti al genere Oncideres (Rhe 1932), e nella specie si¬ beriana Saperda laterimaculata Motsch (Schabliovsky 1938;. Milliken 1916 ha descritto la deposizione del Lamiino americano Plectodera scaìator Fabr., da cui risulta che la O dopo aver deposto l’uovo lo cosparge di una sostanza gelatinosa scura emessa con l’ovopositore, e chiude la fossetta comprimendovi le fibre le¬ gnose dello scavo mediante movimenti dell’addome, che viene anche spinto in basso ad attingere terra impiegata a completare 11 riempimento dello scavo. * % & * Con questi dati terminano le osservazioni relative alla depo¬ sizione in M. asper e L. textor , mentre gli elementi relativi alle caratteristiche ed allo sviluppo delFuovo ed ai primi stadi larvali formano oggetto di un ulteriore lavoro. BIBLIOGRAFIA Brooks F. E., 1920 - Roundheaded apple-tree borer : its life history and control. United States Departement of Agricolture. Bulletin n. 847, August 9, 1920, pg. 1-42. Butovitsch V., 1939 - Zur Kenntnis der Paarung, Eiablage un Er- nàhrung der Cerambyciden. Entomologisk Tidskrift, Stockolm 60° 3-4, 1939, pg. 206-258. Ghidini-Pavan M., 1937 - Appunti sulla larva di Morimus asper Sulz. Boll, di Zoologia, Vili, 3-4, 1937, pg. 91-100. 60 M. PAVAN - SULLA DEPOSIZIONE DELLE UOVA ECC. Gunn D., 1919 - The fig and willow borer (Phryneta spinator). Dep. Agr. South Africa. Johannesburg. Milliken F. B., 1916 - The cottonwood borer. U. S. Dep. Agric. Bull. 424, Neander A , 1928 - Iakttagelser over parning och agglàggning hos Lamia (Acanthocinus) aedilis L. Entomologisk Tidskrift, Sto- ckolm, 49°, 4. Pavan M., 1944 - Fatti notevoli di variabilità morfologica larvale in Morimus asper Sulzer. Atti Soc. It. Se. Nat. LXXXIII, pg. 170-182. — 1947 - Significato anatomico e funzionale delle varie porzioni dell’ apparato copulatore in Morimus asper Sulz. e Lamia textor L. (Col. Cerambyc.). Boll. Zool. Agraria Bachicolt., Milano, XIVT II, pg. 1-27. — 1948 b - Uovo, stadio ovulare e primo stadio larvale in Morimus asper e Lamia textor (in stampa). — 1948 c - Due casi di anomalie larvali restaurate in Morimus asper e Lamia textor (in stampa). — 1948 d - Sulla durata del ciclo biologico di Morimus asper (in stampa).. Picard F., 1929 - Coléoptères Cerambycidae. Faune de France, 20. Le- chevaliar, Paris. Rer L., 1932 - Tierische Schàdlinge an Nutzpflanzen. Handbuch der Pflanzenkrank heiten von P. Sorauer. Berlin. Schabliovsky V. Y., 1938 - Zur Biologie der Bockkàfer der Gattung Saperda (Coleoptera, Cerambycidae) aus dem Fernen Osten. Rev. Entom. U.R.S.S., 28, Leningrad. Traegardh I., 1929 - Om tallbockens skadegórclse och bekàmpande. Medd. fr. Statens Skogsfortoksanstalt 25. ISTITUTO E MUSEO DI ZOOLOGIA DELL’ UNIVERSITÀ DI TORINO DIRETTORE : PROF. A. ARCANGELI Dott. Enrico Tortonese Libero docenfe e assistente LE SPECIE BRASILIANE DEL GEN. SPHYRNA (PESCI MARTELLO) E LA DISTRIBUZIONE DI S. BIPLANA SPRING. Tutte le specie attualmente note di Galeiformi del genere Sphyrna , sommanti a una decina, sono essenzialmente abitatrici di acque calde. Considerandone i caratteri corologici, si riscontrano spiccate differenze nell’estensione dei rispettivi areali. Fino a qual punto ciò corrisponda a realtà, non sappiamo : deve infatti tenersi presente come vaste siano le attuali lacune nella cono¬ scenza sistematica e zoogeografica dei Plagiostomi e in quella della loro variabilità. Nel suo elenco dei pesci marini del Brasile (x) Eowler enu¬ merò (p. 129) tre specie di Sphyrna : S. tiburo (L.), S. tudes (Val.), S. zygaena (L.). Di queste, la prima è ben definita, mentre per le altre due si sono succedute nella letteratura non poche confu¬ sioni ed errori : esse sono quelle più largamente diffuse del genere, potendosi ritenere tropicopolite, e non credo doversi dubitare della loro presenza in Brasile. S. zygaena è citata dal predetto A. in quanto già Valenciennes (1822) e Muller ed Henle (1841) l’in¬ dicarono genericamente in Brasile e in quanto alcuni AA. suc¬ cessivi ne specificarono diverse località di reperimento in questa regione (Santos, Maria Earinha, Pernambuco, Rio de Janeiro, Maceiò). E noto come questo Sfirnide sia diffuso verso nord, lungo le coste americane orientali, sino a raggiungere Capo Cod (Stati Uniti). Ma Springer (2) rilevò che nelle acque statunitensi vive C) Arq. Zool. Est. S. Paulo, III, 6, 1941. (2) Proc. Florida Acad. Sci. Voi. 5, 1940, p. 46-52. 62 E. TORTONESE promiscua con la vera S. zygaeìia un’altra specie ben distinta anche per i caratteri craniologici, che Egli descrisse col nome S. diplano, e che suppose essere diffusa anche in altre zone dell’Atlantico e forse altresì nel Mediterraneo. Comunque, non mi consta che la presenza di S. diplana sia stata fino ad oggi accertata se non presso le coste della Florida — donde proviene il tipo — delle due Caroline, della Louisiana, Texas e Mississipi. Mi sembra indubbio che nel trattare di « Cestracion zygaena » Radcliffe p) abbia confuso con essa anche S. diplana : basta osservare il maschio da lui raffigurato (tav. XLIII, f. 1). Secondo Springer (Loc. cit. p. 49) potrebbe darsi che la prima di queste specie abbia una distribuzione più settentrionale della seconda, ma che entrambe possano trovarsi in una stessa località, insieme con S. tudes. Per quanto riguarda le acque brasiliane, ciò avviene con tutta proba¬ bilità ; io sono infatti in grado di segnalare la presenza di S. di¬ plana anche in esse. Nel rivedere gli Squali del Museo Zoologico di Torino, ha esaminato un grosso maschio adulto (N. Cat. 1694) identificato come S. zygaena e proveniente dal Brasile, con ogni verosimi¬ glianza dai pressi di Rio de Janeiro. Esso corrisponde invece perfettamente alla descrizione di ò\ diplana e va pertanto riferito a questa specie. Le sue misure, prese sulla pelle secca e montata,, sono le seguenti : Lunghezza totale . m. 3,00 Larghezza del capo .... m. 0,63 Lunghezza delle pettorali . . m. 0,31 id. degli pterigopodi . m. 0,21 Altezza della prima dorsale . m. 0,70 id. id. seconda dorsale m. 0,13 Non si conosceva ancora alcun individuo di così grande statura ; Springer ritenne che i maschi adulti raggiungessero almeno m. 2,50. L’esemplare che ho innanzi presenta il profilo del capo net¬ tamente quadrilobato, con ben marcati solchi nasali, che non continuano in corrispondenza dei due lobi marginali centrali nelle espansioni cefaliche i lati esterni sono più brevi di quelli posteriori. Essendo l’ animale preparato a bocca chiusa, non è p) Bull. U. S. Bur. Fisher. Washington. Voi. XXXIV, 1914, p. 263. LE SPECIE BRASILIANE DEL GEN. SPHYRRNA ECC. 63 possibile esaminarne i denti, che in questa specie avrebbero i margini lisci anziché minutamente seghettati come in S. zygaena. La segnalazione di questo Pesce martello presso le coste orientali dell’America meridionale arreca un importante contributo alla sua conoscenza zoogeografica e ne fa apparire estremamente probabile la presenza nel mare delle Antille : quanto sappiamo sulla corologia delle altre Sphyrna induce infatti ad escludere Sphyrna, diplana Spring. <$ adulto. Brasile. Schema del capo, visto dal dorso, e seconda pinna dorsale. l’esistenza di popolazioni separate. Inoltre, riesce ora quanto mai dubbio se tutte le citazioni di « S. zygaena » brasiliane possedute fino ad oggi, cioè quelle riunite da Fowler (Loc. cit.) , si rife¬ riscano veramente a questa specie : può trattarsi almeno in parte di S. diplana e non è improbabile che lo stesso debba dirsi nei riguardi dell’Atlantico orientale, se non altro per le zone africane. Quivi S. zygaena fu indicata da parecchi AA., enumerati dallo stesso Fowler (*). Quanto al Mediterraneo, i pochi esemplari pescati in questo mare che finora potei esaminare erano tutti attribuibili con sicurezza a S. zygaena. Quanto sopra, oltre a fornire ragguagli sulle dimensioni di S. diplana allo stato adulto, prova che essa è una tipica specie atlantica, dotata di un areale non ristretto come sino ad ora sembrava, poiché è presumibile che futuri reperti lo dimostrino assai esteso. (*) Bull. Amer. Mus. Nat. Hist. Voi. LXX, 1936, pt. I, p. 64. Leopoldo Rampi RICERCHE SUL FITOPLANCTON DEL MAR LIGURE 8) I Silicoflagellatì delle acque di Sanremo Oggetto della presente nota è l’esigua schiera di minuscoli organismi pelagici raggruppati sotto il nome di Silicoflagellati e che, a lato dei due gruppi maggiori delle Diatomee e delle Pe- ridinee, fa parte costituente del ntoplancton marino. Frequentissime nei mari terziari, di cui sovente costituirono una parte preponderante del mondo pelagico, le loro specie si sono spente per la maggior parte rapidamente, tanto che scarsi sono attualmente i rappresentanti viventi, unici relitti di un gruppo di così largo sviluppo in altra epoca geologica. Considerati di volta in volta come appartenenti alle Polyga- striche da Ehrenberg, come Diatomee da Kuetzing, come Radio- lari da Mueller e Haeckel e come spicole dei grandi Feodari da Hertwig, la loro precisa natura di flagellati non venne riconosciuta che nel 1891 da Borgert. I Silicoflagellati sono flagellati planctonici marini cosmopo¬ liti, noti in tutti i mari ed in tutte le latitudini. Il loro sviluppo quantitativo e quindi la loro importanza nel pelago marino è estremamente incerta : i soli dati quantitativi di una certa im¬ portanza sono quelli forniti da Gran che nel fiordo di Oslo ha contato ben 50400 cellule in un solo litro di acqua marina. D'al¬ tronde, secondo Brinkman, pare che questi flagellati silicei co¬ stituiscano l’alimento esclusivo di certe larve di Echinodermi. Nelle acque di Sanremo i Silicoflagellati sono generalmente assai scarsi e lo stabilire la distribuzione fenologica di questi planctonti è alquanto difficoltosa anche perchè trattandosi di or¬ ganismi minutissimi e quindi sovente non trattenuti dalle maglie dei retini nelle abituali raccolte planctoniche, non è possibile una qualsiasi illazione sulla loro frequenza stagionale. Sta di fatto però che a parità di condizioni di raccolta, nelle acque di Sanremo e per quanto si riferisce al periodo preso in esame (Luglio 1938- RICERCHE SUL FITOPLANCTON DEL MAR LIGURE 65 Agosto 1939), mentre nelle raccolte estive scarse sono le specie {generalmente Dictyocha fibula e var. messanensis ) ed estrema- mente rari gli individui, nella stagione fredda sia il numero delle specie che quello degli esemplari aumentano considerevolmente. Le specie trovate nelle acque di Sanremo sono quelle comuni a tutti i mari del globo e poche sono le osservazioni presentanti un qualche interesse. Notevole è la segnalazione che mi è possibile fare della pre¬ senza reinterata, nel periodo invernale, di Dictyocha fibula var. pentagona , nota fossile in giacimenti terziari (eocene di Mors, miocene di Val Saveno) o quaternari antichi (Frischen Haff), con¬ siderata come nuova per la fauna attuale da Hovasse nel 1939, ma che già era stata segnalata e figurata in numerosi esemplari tipici ed aberranti da Frenguelli nel 1935 in materiali recenti provenienti dal Golfo di S. Matias. Fra le varie specie le più frequenti sono, icome al solito, Dictyocha fibula e sue varietà. Assai più rare e limitate a re¬ perti esclusivamente invernali sono invece Dictyocha specularti , oclonarius e polyactis. Silicofiagellidae Deflandre 1936 Genere Dictyocha Ehr. Dictyocha fibula Ehr. (fig. 1-2). Anello basale quadrato o rombico con quattro spine radianti ni vertici, ponte apicale costituito da quattro barre unite sotto la forma di H e collegantesi con le zone mediane dei lati dell’anello basale, delimitanti cosìA grandi finestre basali. Quattro spine di sostegno. Se ne osservano generalmente due forme, Luna di dimensioni minute, più frequente, ed altra di dimensioni nettamente supe¬ riori, esclusivamente nella stagione fredda. Sono d’ avviso con Hovasse di mantenere separate le due forme distinguendo come f. minor quelle più frequenti (fig. 2) e f. major la maggiore e più rara (fig. 1). • Nelle acque di Sanremo perennante e frequente. Dictyocha fibula Ehr. var. messanensis (Haeck.) Lemm. (fig. 3). Anello basale quadrato a lati quasi rettilinei, spine radiali di lunghezza quasi eguale. Spine apicali sull’ asse di simmetria. Certamente perennante, ma generalmente scarsa. 66 L. RAMPI Dictyocha fibula Ehr. var. stapeclia (Haeck.) Lemm. fi g. 6). Anello basale rombico a lati più o meno convessi, ponte api- cale con almeno una spina nell’asse di simmetria. Certamente perennante nelle acque di Sanremo. Fig. 1 a 9. — 1) Dictyocha fibula Ehr. /. major ; 2) Dic¬ tyocha fibula Ehr. f. minor ; 3) Dictyocha fibula Ehr. var. messanensis (Haeck.) Lemm. ; 4) Dictyocha fibula Ehr. var. aculeata Lemm. ; 5) Dictyocha polyactis Ehr.; 6) Dictyocha fibula Ehr. var. stapedia (Haeck.) Lemm. ; 7) Dictyocha. fibula Ehr. var. pentagona Schulz. ; 8) Dictyocha octona- rius Ehr. ; 9) Dictyocha speculum Ehr. Ingrandimento X 600. Dictyocha fibula Ehr. var. aculeata Lemm. (fig. 4). Anello basale quadrato a lati sensibilmente sinuosi portanti oltre alle quattro spine di sostegno, una spina radiale alla metà di ogni lato. Ponte apicale con una o più spine. Frequente nella stagione fredda. RICERCHE SUL FITOPLANCTON DEL MAR LIGURE 67 Dictyocha fìbula Ekr. var. pentagona Schulz. (fig. 7). Anello basale pentagonale a lati subeguali, rettilinei o si¬ nuosi, con spine radiali, spine di sostegno ed a volte spine esterne inserite nella regione mediana dei lati basali come nella var. aculeata. Ponte apicale bipartito ad un estremo e tripartito al¬ l’altro con o senza spine sull’ asse di simmetria. Diversi esemplari nella stagione fredda. Dictyocha speculum Ebr. (fig. 9). Anello basale a forma esagonale a lati pressoché eguali con 6 spine radianti e 6 spine di sostegno. Anello apicale pure esa¬ gonale collegato con quello basale da sei bacchette silicee. Frequente, solo nella stagione invernale. Dictyocha octonarius Ebr. (fig. 8). Anello basale ottagonale con spine radiali e spine di sostegno. Anello apicale pure ottagonale collegato con quello basale con otto bacchette. Nelle acque di Sanremo piuttosto raro e solo nella stagione fredda. Dictyocha polyactis Ebr. (fig. 5). Anello basale poligonale a 9 lati pressoché eguali, con spine radiali e spine di sostegno. Anello apicale con nove lati collegati ciascuno con la zona mediana dei lati basali. Nelle acque di Sanremo raro e solo nella stagione fredda. Laboratorio privato , Sanremo - Settembre 1947. ISTITUTO DI ANATOMIA COMPARATA DELL’ UNIVERSITÀ DI PAVIA (DIRETTORE PROF. M. VIALLl) LABORATORIO MEDICO-MICROGRAFICO DELLA PROVINCIA DI PAVIA (DIRETTORE PROF. L. BIANCHI) Dott. Mario Pavan SULLA VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI ANTIBIOTICI SU TERRENI SOLIDI La valutazione dell’ attività antibiotica su terreni solidi con l’uso dell’ agar - germi viene fatta comunemente misurando il raggio o il diametro dell’ alone di inibizione batterica dovuta al- l’ azione dell* antibiotico. -Tale metodo ba un significato indiscutibile in caso di singole letture ; qualora invece si renda necessario valutare comparati¬ vamente il potere inibitorio ottenuto in serie di esperimenti, ’ accostamento delle misure dei raggi o diametri non può dare una precisa indicazione comparativa del potere di inibizione. Infatti bisogna tener presente cbe la sostanza antibiotica si dif¬ fonde ed esplica la propria attività nella massa del terreno cir¬ costante la zona di contatto; pertanto l’ influenza dell’ antibiotico si esplica in un determinato volume di terreno di coltura. Ciò rende evidente che la comparazione di due zone di inibizione ha valore se si conosce esattamente il volume di terreno inibito. Finora invece si è sempre visto nelle pubblicazioni batterio- logiche che le comparazioni dei vari esperimenti vengono fatte accostando il valore lineare del raggio o del diametro delle zone inibite. Ora è evidente che non si può dichiarare tripla una inibizione che abbia raggio 15 rispetto ad altra inibizione che abbia raggio 5. Infatti a parità di spessore di terreno, i volumi corrispondenti alle due misure lineari non stanno fra loro in rap¬ porto 8:1, bensì 9:1 (che corrisponde al quadrato del rapporto dei due raggi). Ciò è messo bene in evidenza dalla seguente tabella : SULLA VALUTAZIONE DELL’ ATTIVITÀ DI ANTIBIOTICI ECC. 69 Tabella 1 (Metodo dei cilindri) II numero in neretto esprime il rapporto fra due valori con¬ secutivi. ' Il terreno è supposto avente spessore di mm. 4. Raggio dell’alone mm. rapporti Quadrato dei raggi dell’alone mm.2 rapporti Superfìcie basale dell’ alone mm.2 rapporti Volume del terreno inibito mm.3 rapporti 75 5625 17662,5 70650 5 25 25 25 15 225 706,5 2826 3 9 9 9 5 25 78,5 314 2,5 6,25 6,25 6,25 2 4 12,56 50,24 2 4 4 4 1 1 3,14 12,56 Si vede dunque dalla tabella suriportata che, a parità di spessore del terreno, lo stesso rapporto intercorrente fra i vo¬ lumi del terreno inibito intercorre anche fra le relative superfici basali e fra i quadrati dei singoli raggi. Perciò per la notazione dei valori di inibizione si può adottare o il volume inibito, o la superficie basale inibita, oppure il quadrato del raggio di questa ultima attenendosi naturalmente sempre ad uno di tali metodi, poiché le tre diverse notazioni non sono paragonabili fra di loro. Praticamente nel corso delle mie ricerche ho risolto il problema della trascrizione dei dati nei protocolli, leggendo dalle colture il valore del raggio della superficie che risultava inibita, e leggendo il corrispondente quadrato in una delle comuni tabelle dei quadrati. Il caso cui mi sono ora riferito, vale per i dosaggi praticati col metodo del cilindretto di vetro o di metallo che si appoggia sulla superficie della piastra di agar e nel quale si versa 1’ anti¬ biotico in prova (1). * & & Procedendo invece col metodo del pozzetto praticato nello spessore del terreno di coltura (2), si deve precisare che occorre (x) Metodo dei cilindri , descritto da Florey e coll. 1941, esposto dettagliatamente da Heatley 1944, Waksman 1945, e da tutti i suc¬ cessivi trattatisti della penicillina e antibiotici in generale ; è anche denominato metodo di Oxford da Romagnoli-Bleiner 1946, ed altri AA, metodo piastra-cilindro da Pantaleoni 1945, e da altri AA. (2) Metodo dei pozzetti di Fleming, detto « agar cup » dagli autori anglosassoni, « méihode des cupules » da Bustinza-Lachiondo 1945, me¬ todo a coppa , in traduzione italiana di Jucker 1946. 70 M. PAVAN tener conto che il volume di terreno corrispondente al pozzetto stesso non va calcolato come territorio inibito. In questo caso il terreno sede di inibizione si presenta come un. cilindro cavo, cioè privato di un cilindro coassiale corrispondente al pozzetto. La valutazione del volume inibito si ottiene calcolando il volume del cilindro che ha raggio dal centro del pozzetto al margine esterno dell’ inibizione, e sottraendo da questo volume quello corrispondente al pozzetto centrale. Il volume del cilindro cavo così ottenuto esprime il volume di effettiva inibizione, e può anche essere paragonato a valori diversi ottenuti con lo stesso metodo. Per il calcolo del valore della superficie inibita vale la seguente formula : jin {n -J- 2r) dove r = raggio del pozzetto n — spessore della parete del cilindro cavo inibito (larghezza dell’alone). Allo scopo di porre in maggiore evidenza il metodo corretto di valutazione dell’ attività degli antibiotici, redigo la seguente tabella dalla quale appare chiaramente la sostanziale differenza che intercorre fra la comparazione delle larghezze degli aloni di inibizione, e la comparazione delle superfici degli aloni stessi o dei volumi di terreno ad essi corrispondenti : Tabella 2 (Metodo dei -pozzetti) II terreno è supposto avente spessore di mm. 4. Il pozzetto è supposto avente diametro mm. 7, superficie ba¬ sale mm} 38,46. I numeri in neretto esprimono il rapporto fra due valori con¬ secutivi. Larghezza dell’ alone mm. rapporti Superfìcie dell’ alone mm.2 rapporti Volume del cilindro cavo (terreno inibito) mm.3 rapporti 75 19311 77244 5 18,63 18,63 15 1036,20 4144.80 3 5,5 5,5 5 188,40 753,6 2,5 3,33 3,33 2 56,52 226,08 2 2,25 2,25 1 25,12 100,48 SULLA VALUTAZIONE DELL’ ATTIVITÀ DI ANTIBIOTICI ECC. 71 Dalla tabella risulta che i rapporti fra Le larghezze degli aloni non corrispondono ai rapporti che intercorrono fra le rela¬ tive superflui. Sarebbe quindi errato paragonare fra loro le mi¬ sure lineari delle larghezze degli aloni, mentre appare evidente che — sempre a parità di spessore del terreno e di diametro del pozzetto — i volumi di terreno inibito sono proporzionali ai va¬ lori della superficie di base (alone) del cilindro cavo : perciò si può senz’altro esprimere i valori di inibizione con l’indicazione delle aree di base dei cilindri cavi (1). Praticamente nelle ricerche batteriologiche che ho condotto col metodo del pozzetto e sulle quali riferisco in varie note in corso di stampa, ho risolto il problema della trascrizione e com¬ parazione dei dati di inibizione, misurando in mm. la larghezza dell’alone (spessore del cilindro cavo) e calcolandone la superfìcie. Per semplificare il lavoro mi sono allestito una tabella delle su¬ perfici corrispondenti alle varie misure di larghezza dell’ alone. * * * Come abbiamo visto in precedenza il valore delle inibizioni ottenute col metodo del cilindro di vetro sovrapposto alla coltura, può essere espresso col quadrato del raggio dell'alone di inibi¬ zione. Il risultato cosi espresso presenta però l’inconveniente di non poter essere direttamente paragonato coi dati di superficie inibita ottenuti col metodo dei pozzetti scavati, se non si procede alla moltiplicazione del quadrato del raggio per n. Pertanto, in considerazione della opportunità che da ricerche condotte con i due metodi si abbiano dati direttamente compara¬ bili, richiamo la necessità che i valori di inibizione vengano espressi sempre con l’indicazione in mm.-2 della superficie basale della zona di inibizione. Ciò naturalmente richiede che le varie serie di esperimenti siano condotte su terreni di identico spes¬ sore. In caso diverso non si potrà procedere ad una diretta com- (1) Non raramente, esternamente all’alone di inibizione primario si forma un alone secondario del quale bisogna tenere conto distinta- mente dal primo poiché presenta caratteri di inibizione propria. Per esprimere il valore della superficie basale' del cilindro cavo corrispon¬ dente ad un alone secondario, vale la seguente formula : np (p -[- 2 r -fi- 2 n) dove p — spessore della parete del cilindro cavo esterno, corrispon¬ dente alla larghezza dell’alone secondario. 72 M. PAVAN - SULLA VALUTAZIONE DELL* ATTIVITÀ ECC. parazione dei valori di inibizione, se non disponendo delle misure: dei volumi inibiti. A tale scopo mi pare utile suggerire che quando si tratta di riferire i risultati di ricerche di questo ge¬ nere, sia opportuno dichiarare sempre anche lo spessore del ter¬ reno di coltura, poiché disponendo di tale dato, mediante gli altri elementi (diametro del pozzetto, dimensione degli aloni) è possibile procedere al calcolo del volume di terreno inibito, per poter comparare fra di loro serie di esperimenti indipendenti. Naturalmente a tale fine concorrono numerosi altri elementi di grande valore — uniformità di composizione e allestimento delle colture, quantità di liquido nei pozzetti e suo tenore in sostanze di saggio, ecc. — che in parte sono già stabiliti su basi standardizzate- Mi pare utile avvertire che dalle considerazioni da me esposte esula ogni riferimento critico ai metodi di dosaggio in unità degli antibiotici, in particolare per la penicillina, poiché tali me¬ todi sono ormai basati su precise espressioni matematiche, come è esposto ad esempio in Babudieri 1946. Ora mi pare che si debba procedere alla adozione di un me¬ todo standard nella valutazione e trascrizione dei dati sperimen¬ tali, ed a portare un contributo a tale scopo è indirizzato il contenuto della presente nota. BIBLIOGRAFIA Abraham E. P. - Heatley N. G. - Florey H. W. e coll., 1941 - Further observation on penicillin. The Lancet, 16. Vili. 1941, pg. 177-188. Babudieri B., 1946 - Controllo di attività dei preparati di penicillina.- Annali d’igiene, LVI, 6, pg. 289-297. Bustinza-Lachiondo F., 1945 - Les antibiotiques antimicrobiens et la Penicilline. Trad. R. et A. De Montmollin, A La Baconnière Neuchatel, ppg. 286. Heatley N. G., 1944 - A method for thè assay of penicillin. The Bio- chein. J. XXXVIII, ' 1 ; pg. 61-65. Pantaleoni M., 1945 - La penicillina e gli antibiotici. Ed. Italiane, Roma, ppg. 133. Romagnoli M. - Bleiner A., 1946 - Il penicillin. Trattato teorico-pratico- Ed. Cappelli, Bologna, ppg. 186. Waksman S. A., 1945 - Microbial antagonism and antibiotic substances- The Commonwealth Fund, New York, ppg. 350. vari AA., - Penicillina; - Versione italiana di Jucker S. 1946. - Ed- De Mattia, Milano, ppg. 302. ISTITUTO DI ZOOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA Edoardo Zavattari ADATTAMENTO E AMBIENTAMENTO Una recente pubblicazione del Prof. Celso Guarescbi (1), nella quale vengono illustrati i risultati di alcune esperienze da lui condotte sudi un’alga del gruppo delle Spirogire : Zygnema \ pectìnatum , vivente nelle sorgenti salse di Poiano (Peggio Emilia), mi conduce ad esporre alcune considerazioni, che già da tempo avevo in animo di prospettare, riguardanti l’uso che viene fatto della dizione: adattamento; dizione che abitualmente è impiegata in un’accezione così estensiva e così imprecisa, da generare non poche inesattezze, in quanto sotto adattamento vengono raggrup¬ pati comportamenti che io ritengo debbano essere considerati del tutto distinti. Constatato che « le grandi cellule costituenti i filamenti della Zygnema presentano il caratteristico cloroplasto ramificato molto ridotto, sempre in confronto alla norma, e ciò giustifica comple¬ tamente l’impressione « scolorate » che il nostro occhio riceve », il Guareschi, onde « vedere se tale fatto dipendesse dall’ essersi formata in tali condizioni biologiche una razza particolare di questa Zygnema, o se la scarsezza di sostanze vitali presentata delle cellule dipendesse da cattive condizioni presentate dalle acque delle sorgenti di Poiano », ha istituito le seguenti esperienze: Tre lotti di Zygnema raccolti nelle sorgenti di Poiano, ven¬ gono posti in tre vasi di vetro, contenenti rispettivamente : l’uno acqua di Poiano, 1’ altro acqua di fonte, il terzo acqua distillata, e tenuti tutti in identiche condizioni ambientali. (J) Celso Guareschi : Studio sulle condizioni biologiche delle sor genti salse di Poiano. Atti della Società dei Naturalisti e Matern. d- Modena, voi. LXXVIII, 1947, p. 206. Le citazioni fra virgolette sono tratte dal testo del Guareschi. . 74 E. ZAVATTARI Dopo una ventina di giorni si osserva che il campione tenuto in acqua di Poiano mostra condizioni immutate, che il campione in acqua di fonte presenta accentuato il colore verde, che il cam¬ pione tenuto in acqua distillata appare ulteriormente scolorito. Ne consegue pertanto che « se l’acqua distillata costituisce per la Zygnema pedinatimi un ambiente completamente sfavo¬ revole, neanche le acque salse di Poiano rappresentano per essa un optimum degli ambienti, benché in essa vivano normalmente ». Prendendo quindi le mosse da questi risultati e rifacendosi a sue precedenti ricerche (x), il Guareschi conclude: « Come ben si comprende, io ponevo fin da allora i miei dubbi sul significato che generalmente si dà in biologia al termine « adattamento ». Con esso, infatti, si vuol significare un’abitudine che la specie ha assunto ad un determinato ambiente, tanto da essersi comple¬ tamente adattata ad esso, così che tale ambiente viene a rappre¬ sentare, dal momento che l’adattamento è compiuto, il suo optimum vitale. Nel mio concetto, invece, l' adattamento è sempre un qual¬ cosa di forzato, per cui la specie adattata ad un particolare am¬ biente riesce a trovare in esso un minimum necessario alla vita, sia pure temporaneo, minimum che mai però si può trasformare, qualunque sia il tempo trascorso, in un optimum. E le mie os¬ servazioni sulla Zygnema delle salse di Poiano, suffragano questa idea : qui abbiamo una specie che da tempi immemorabili si è « adattata » a vivere in un determinato ambiente, che presenta quindi, evidentemente, almeno un minimum delle condizioni ne¬ cessarie alla sua vita, ma, ‘ non ostante il tempo incommensura¬ bile che essa ha trascorso in tale nuovo ambiente, ad un’ espe¬ rienza ben condotta, essa denunzia subito che ben altro è il suo ambiente migliore ». Ora, è corretto chiamare adattamenti i fenomeni che il Gua¬ reschi ha riscontrato nel caso recentemente studiato dello Zy¬ gnema, sia nelle sue precedenti esperienze sugli Anfìbi e i com¬ portamenti simili a questi, illustrati da numerosi altri sperimen¬ tatori ? Ritengo non sia corretto usare il termine adattamento per designare variazioni puramente fenotipi che che compaiono negli (J) Celso Guareschi: L'adattamento degli Anfibi alle forti con¬ centrazioni saline. Atti della R. Accademia d! Italia. Memorie della Classe di Scienze Fisiche, Matem. Naturali, voi. XII, 1941, p. 783. ADATTAMENTO E AMBIENTAMENTO 75 organismi, quando vengono a modificarsi le condizioni ambientali (e in condizioni ambientali includo tutte le condizioni, da quelle alimentari a quelle puramente fisiche) e che scompaiono quando le condizioni ambientali eccezionali vengono eliminate. Un tale comportamento deve, secondo me, definirsi ambien¬ tamento, intendendo per ambientamento la capacità che F orga¬ nismo ha di modellarsi in modo da poter vivere in condizioni che non sono le sue normali, modificando più o meno sia la sua mor¬ fologia sia la sua fisiologia, in maniera da correlarsi con F am¬ biente nuovo nel quale viene a trovarsi. Capacità, la quale si estrinseca puramente con modificazioni somatiche, vale a dire si manifesta come fluttuazione. Con adattamento invece si deve intendere quel comportamento per il quale l’organismo è pienamente correlato morfologicamente e funzionalmente all’ ambiente nel quale vive, comportamento che non è però semplice espressione di una variazione indotta nel¬ l’individuo dall’ ambiente, ma un comportamento che è specifico, vale a dire fissato in maniera ereditaria e quindi non suscettibile di modificazioni quando si modifichino le condizioni ambientali. Così, ad esempio, noi dobbiamo dire che gli Ateles sono scimie perfettamente adattate alla vita arboricola, che i Typhlops sono ofidi adattati alla vita sotterranea, che le Nycteribia sono ditteri adattati alla vita parassitarla, che le Cliona sono spugne adattate a perforare i nicchi dei molluschi entro i quali si allo¬ gano; ma non potremo dire che le Silene e le Sassifraghe delle Alpi delle ben note esperienze del Bonnier, sono adattate all’am¬ biente dello Spitzberg perchè artificialmente hanno assunto un aspetto simile a quello che presentano in quelle Isole boreali, che le Numida sono gallinacei adattati alla schiavitù perchè vengono allevate nelle nostre campagne, che le Lymnaea mantenute in acqua con scarsità di sali inorganici e presentanti una conchiglia meno mineralizzata di quella propria degli individui viventi in natura, si sono adattati a tali acque ; ma diremo semplicemente che questi organismi si sono ambientati a vivere in particolari condizioni, senza però mutare il loro patrimonio genotipico, perchè non appena cessano le condizioni ambientali eccezionali, tosto ri¬ tornano al loro comportamento specifico tipico. Conseguentemente io credo che si debba stabilire una netta differenziazione fra adattamento e ambientamento : il primo è fissato in maniera indelebile e irreversibile e per¬ tanto è la rappresentazione di una condizione di piena correla- 76 E. ZAVATTARI zione fra organismo e ambiente stabilitasi e definitasi mediante particolari modificazioni strutturali e funzionali perfettamente correlate alle necessità che l’ ambiente richiede ; il secondo, all’opposto, non è fissato in maniera indelebile e irreversibile, ma è al contrario reversibile ; è la risultante di una correlazione contingente temporanea, che si stabilisce fra orga¬ nismo e ambiente e che si estrinseca con modificazioni strutturali e funzionali che si limitano al puro soma, senza che il patrimonio ereditario ne sia partecipe, per cui si tratta di pure fluttuazioni, che, se anche sono tali da simulare l’aspetto di adattamenti, in quanto di fatto si ha una rispondenza fra organismo e ambiente, rispondenza che esprime la risposta che l’essere vivente dà onde poter sopravvivere alle nuove condizioni ambientali, sono in realtà comportamenti temporanei nuovi, indotti dall’ intervento di fat¬ tori nuovi. Già il Cuenot aveva distinto queste due modalità, chiamando la prima « adaptation » e la seconda « accomodation »; ma di questa distinzione, pur così fondamentale, J3er lo più non si tiene conto alcuno, per cui si usa senza discriminazione la dizione adat¬ tamento per definire qualsiasi comportamento correlato alle con¬ tingenze ambientali. Ora a me sembra che in biologia necessiti usare una termi¬ nologia ben precisa ; una terminologia che risponda ad una ben definita categoria di fatti e non abbracci fatti apparentemente similari, ma che sono, all’opposto, profondamente differenti. Si potrebbe osservare che 1’ ambientamento possa costituire la prima tappa dell' adattamento e che pertanto la distinzione non abbia che un valore formale ; ma è questione questa oltremodo opinabile, in quanto rientra nel problema dell' ammettere o nel negare l’ereditarietà dei caratteri acquisiti; è questione che esula completamente da quanto ci si era qui proposti di documentare. E cioè, io volevo richiamare 1' attenzione dei biologi ad una maggiore precisione di terminologia, volevo far rilevare la pro¬ fonda e incolmabile differenza che intercorre fra i veri adatta¬ menti e gli pseudoadattamenti ; volevo precisare che è bene usare due dizioni distinte : adattamento, per i comportamenti morfologici e biologici correlati all’ambiente, decisamente specifici, irreversibili, cristal¬ lizzati nel patrimonio genetico della specie ; ambientamento, per i comportamenti morfologici e bio¬ logici correlati all’ambiente, puramente individuali non specifici, ADATTAMENTO E AMBIENTAMENTO 77 reversibili, non fissati nel patrimonio genetico della specie, ma transeunti, derivanti dalla plasticità del soma, che riesce a mo¬ dellarsi sulle necessità ambientali, senza però cbe tali modifica¬ zioni menomamente incidano sulla costituzione genotipica della specie. Date queste precisazioni, cbe mi sembrano ovvie e incontro¬ vertibili, viene del tutto a cadere 1’ affermazione del Guarescbi, più sopra riportata, cbe « l’adattamento è sempre qualcosa di forzato, per cui la specie adattata ad un particolare ambiente riesce a trovare in esso un minimum necessario alla vita, sia pure tem¬ poraneo, minimum cbe mai però si può trasformare, qualunque sia il tempo trascorso, in un optimum ». Questo perché gli adattamenti sono cosi pienamente correlati all’ ambiente, per cui questo rappresenta 1’ optimum e non già il minimum necessario alla vita. Cbi, infatti, oserebbe negare cbe il mare è l’ambiente optimum per i Cetacei, e sostenere cbe l’adattamento di questi Mammiferi alla vita acquatica è qualche cosa di forzato e perciò una specie di camicia di Nesso cbe si è loro addossata? Cbi si sentirebbe di sostenere cbe gli adattamenti alla vita acquatica presentati da un idrofilo, da un ditiscide, da un ger- ride, da un alobate e così via, sono comportamenti forzati e quindi più dannosi cbe utili ? Quale biologo potrebbe controbattere cbe gli adattamenti rap¬ presentano una condizione di minorazione da parte dei loro pos¬ sessori, quando risulta palese cbe essi costituiscono una condizione straordinariamente favorevole per l’ attuazione delle loro attività vitali ? Ecco il risultato dell'impreciso uso della dizione: adattamento. La conclusione alla quale perviene il Guarescbi potrà, forse benché ne dubiti molto, addirsi agli ambientamenti, non mai agli adattamenti. Se così fosse noi capovolgeremmo tutti i principi cbe reggono la vita, perchè la vita è nella sua essenza armonia e non disarmonia, è correlazione sinergica e non antagonista fra orga¬ nismo e ambiente, per cui qualora un antagonismo di tale natura ne costituisse il fattore dominante (e 1’ adattamento è il fattore dominante di tutte le correlazioni fra organismo e ambiente) la vita verrebbe ad impostarsi su di un piano diametralmente op¬ posto a quello sul quale si svolge. Ecco perchè ho Creduto fosse necessario precisare cbe oc¬ corre tenere nettamente distinti adattamento e ambientamento ; 78 E. ZAVATTARI - ADATTAMENTO E AMBIENTAMENTO il primo è connaturato con la specie e ne è la sua espressione dinamica ; il secondo è nn semplice compromesso che 1’ organismo mette in atto, perchè la necessità di sopravvivere lo dota di una plasticità somatica tale da permettergli di modellarsi temporanea¬ mente su quelle condizioni ambientali, differenti da quelle nor¬ mali, nelle quali si viene incidentalmente a trovare. Allo stato attuale delle nostre conoscenze dobbiamo ritenere che l’ambientamento è un processo che si sovrappone sull’adat¬ tamento e non lo precorre ; è il risultato di semplici somazioni e quindi non è un elemento che possa essere invocato come un fattore che possa condurre alla comparsa di reali entità sistema¬ tiche nuove. Certo non è facile in natura sceverare quanto è attribuibile all’adattamento e quanto all’ambientamento; lo è all’opposto al¬ lorché si opera sperimentalmente, ed è appunto in questi casi che è assolutamente necessario differenziare i due procedimenti, giacché altrimenti si incorre nel pericolo di attribuire e di far attribuire ad un comportamento puramente contingente e transeunte un valore che avrebbe un peso di gran lunga maggiore, si incorre nel pericolo di valorizzare quel fattore Lamarckiano, che la mag¬ gior parte dei biologi non ritiene oggi di dover riconoscere, di dover oggi accettare. Sergio Venzo RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO DELL’ ADDA DI LECCO Con Carta geologica al 30.000, due tavole di fotografie, 5 illustrazioni ed un Quadro stratigrafico in testo Premessa. — Il presente rilevamento al 25000 venne iniziato nel 1939 ed ultimato, con revisioni, nel 1948; di esso diedi notizia anche in nota preliminare (1), (2). La regione esaminata si sviluppa dal Montevecchia, nella Brianza orientale, sino oltre Pontida, nel Bergamasco sud-occidentale : interessa gli anfiteatri morenici fron¬ tali dell’ Adda, da Medolago sino a Lecco, nonché quelli laterali, profondamente insinuati; ad ovest, nella vallata di Rovagnate, ad est, nella Valle di S. Martino. La mia ' Carta geologica si trova al punto d’unione del Foglio geologico Como (1937) col Foglio geologico Bergamo , rilevato (Desio, bibl. 14-18 e Venzo, 59, 62, 63), ma non ancor pubblicato dall’ Ufficio Geologico : essa comprende i due terzi orientali della Tav. Brivio , dell’ I. G. M., la metà occidentale della Tav. Caprino Bergamasco , nonché il lembo meridionale della Tav. Palazzago. I miei rilievi interes¬ sano però un’area molto più vasta, sviluppandosi, ad est, in tutta la fascia pedemontana del Foglio Bergamo , sino al Lago d’Iseo. Ricordo, che, nella Carta Geologica d'Italia , il morenico tipico è, in genere, segnato ancora con unico colore. Soltanto il Cozzaglio, nel Foglio Peschiera (Mag. Acque 1934) e nel Foglio Brescia (Uff. Geol. 1939), fece delle distinzioni. Il rilevamento del Quaternario, sulle carte geologiche, è pure, in genere, allo stadio dello Stella (1895). La memoria s’inizia con breve cenno alla Stratigrafia delle formazio?ii pre-quaternarie (Cretaceo-Eocene) ; nel capitolo sul (*) (*) Comunicai il presente lavoro, colla Carta geologica al S0.000, già in bozze, al XIV0 Congresso Geografico Italiano, Bologna, aprile 1947 : la notizia sta ora per uscire sugli « Atti del Congresso ». (2) Consulta Vindice bibliografico al numero 63. 80 S. VENZO Quaternario , porto le seguenti distinzioni, indicate anche sulla Carta : conglomerati prealpini del Villa fran chiana ; ghiaie e sabbie valtellinesi, probabilmente del Singlaciale Gùnz //; ceppo poligenico, ad elementi alpini, dell 'Interglaciale Gunz-Mindel ; Mindelj ferrettizzato in tutta la massa, con due ampie cerehie frontali, dilavate e quasi spianate ; Riss, scarsamente alterato, verso la superficie, in argille giallo-ocra, con due potenti fronti principali e tre deboli cerehie di ritiro ; JVilrm , con tre cerehie moreniche principali, assai fresche, ed altrettante cerehie minori di fondovalle, dovute a stadi di ritiro, e sviluppate, a nord, sino a Lecco. La distinzione e la datazione dei vari cordoni morenici per¬ mettono di stabilire con sicurezza l’età dei terrazzi singlaciali : infatti quasi tutti i grandi sistemi di terrazzi diluviali sono do¬ vuti all? intenso dilavamento fluvioglaciale delle rispettive fronti (come ritenne anche il Penck). La loro formazione è connessa colla fase di aumento dell'espansione glaciale sino al « maximum », quando la temperatura estiva era in diminuzione e le precipita¬ zioni in aumento (crescente oceanicità). Questi terrazzi vennero distinti da Tongiorgi e Trevisan col nome di « anaglaciali » (51-54). Il sistema più alto e più antico è quello argilloso, comple¬ tamente ferrettizzato, e povero di ciottoli, del Singlaciale min- deliano : nell’ ambito glaciale, cioè all’ interno delle due fronti, il pianalto, a ferretto in tutta la massa, dovuto a degradazione, dilavamento e spianamento del morenico, deve essere un po’ po¬ steriore al ritiro del Mindel ; lo attribuisco perciò al Y Interglaciale Mindel-Riss antico. Non è conservato, nella regione illustrata dalla Carta , il «sistema tipico del Diluvium medio auct. » (fine Interglaciale Mindel-Riss ), spesso indicato sulle carte al posto del Singlaciale mindeliano : esso è rappresentato da ridotto terrazzo ghiaioso, giallo-ocra, di parecchi metri inferiore al pianalto a ferretto, ma sempre notevolmente sospeso sul «livello della pianura ». Il « livello ghiaioso fondamentale della pianura » è ge¬ neralmente attribuito al Diluvium recente , cioè al Singlaciale wurmiano ; ma esso si raccorda esattamente colle fronti more¬ niche principali del Riss. Deve perciò venir attribuito al Sin¬ glaciale rissiano ; e difatti si trova sospeso a ben 80 metri sul- l'Adda attuale! Questa datazione, già ammessa dal Cozzaglio sui RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 81 Fogli Peschiera e Brescia , è essenziale per la cronologia dei depositi diluviali. Invece, i terrazzi ghiaiosi del Sin glaciale wurmiano , notevolmente più bassi, si trovano molto incassati lungo l’ Adda ; oppure costituiscono piane di fondovalle, povere d’acqua (valle della Molgora). Risulta così, che, nei periodi d’espansione glaciale (« fasi anaglaciali »), all’esterno delle fronti, si verifica fase di deposito e si formano le piane diluviali. Invece negli interglaciali (« fasi cala glaciali »), risulta prevalere, di gran lunga, la fase erosiva; naturalmente con deposito di potenti conoidi nella pianura (ceppo dell’ Interglaciale Gunz-Mindel) . . I sistemi di terrazzi, tutti di costruzione, ed in numero di nove, sono connessi coll’azione erosiva dell’ Adda, che, dall’ In - -ter glaciale Mindel-Riss ad oggi, incise l’alta pianura per ben 90 metri. I numerosi bacini lacustri, ora testimoniati da argille, pos¬ sono avere due origini : i marginali sono dovuti a sbarramento di fronte glaciale, in un primo tempo (singlaciali) ; poi al corri¬ spondente cordone morenico. Le fasi lacustri interne, si forma¬ rono uel cucchiaio di sovraescavazione, dopo il corrispondente ritiro glaciale : perdurano perciò nei periodi interglaciali oppure nell’ Alluvium, che può anch’esso considerarsi un Interglaciale. Queste conclusioni, di carattere generale, risultato di un de¬ cennio di rilevamenti, potranno permettere, anche in altre re¬ gioni, una meno incerta distinzione del Quaternario : mi auguro, che nuovi rilievi, con dettagliate carte geologiche, abbiano presto ad estendere, completare e perfezionare le attuali conoscenze. Per illustrare le Conclusioni cronologiche , porto un Quadro strdtigrafico del Quaternario , comparalo col diagramma di Milankovitch. Il lavoro si chiude con un capitolo sulla Storia geomorfologica della regione) durante il Pliocene piu alto ed il Quaternario . Servirono di base ai miei rilievi le seguenti carte geolo¬ giche: Foglio Geologico Como (1937) ; Carta geologica 1 : 100.000 del De Alessandri (1899), riguardante il Cretaceo-Eocene ; Carta geologica 1 : 100.000 del Wilmer (1904), che interessa il Glaciale tra Como e Lecco ; l’angolo SO della Carta al 25000 dell’ Albenza, del Desio (1929). Ebbi inoltre a consultare le vecchie carte del Taramelli (1876 e 1903) e del Sacco (1893). 6 82 S. VENZO La Lombardia centrale fu inoltre oggetto di studi ed osser¬ vazioni sul Glaciale di: Villa, Omboni (1861), Stoppani (bibl. 47), Sacco (38), Prever (1908), Penck e Brùckner (31), Levy (22), Patrini (29), Picchieri (34), Desio (16), Pracchi (32), Pasola (20), Esposti (19), Piva (35 e 36) e Castiglioni (5). Più ad oc¬ cidente, Del Varesotto, sono da ricordare gli studi del Nange- roni (24-27) ; infine, nella zona del Mottarone, quello del Vecchia (56). Ad oriente, nel Bergamasco, i più recenti lavori sono quelli di Haupt (21), Desio (17 e 18), e Venzo (62). Sono lieto di ringraziare il prof. G. Nangeroni, dell5 Univer¬ sità Cattolica del Sacro Cuore, cbe ebbi per compagno in tre escursioni sul posto e cbe mi fu largo di amichevoli consigli. Particolare riconoscenza serbo infine per il dott. B. Parisi, So¬ vrintendente al Museo Civico di Storia Naturale e Presidente della Società di Scienze Naturali, che favori in ogni modo il mio lavoro. Milano , Museo Civico eli Storia Naturale, dicembre 194 7. CENNO ALLA STRATIGRAFIA DELLE FORMAZIONI PREQUATERNARIE Mi limito qui a semplice cenno, poiché l’ argomento sarà oggetto di apposita Memoria (vedi intanto, bibl. 63, pp. 2-4). Nella mia Carta , le formazioni in posto cretaceo-eoceniche (serie del Flysch ) sono contraddistinte con 10 segni in nero. Dalle più antiche alle più recenti, troviamo : Barremiano - Scisti marnosi neri, inferiormente ad ammoniti; Aptiano- Albiano - Calcari mar¬ nosi a Globutruncana ( « Sass de la luna » dei locali); Turo - niano-Cenomaniano - Flysch arenaceo argilloso a Globotrun- cana apenninica e GL ticinensis , in basso ; Santoniano-Conia- cianb (« livello di Sirone ») - Arenarie, inferiormente argillose, con intercalazione conglomeratica ad Acteonella , verso l’alto; Campaniano inferiore - 60 metri di calcari, siliciferi in basso ; C (impaniarlo - Arenarie marnose, talora con vermicolazioni, e straterelli calcarei ; Maeslrichti ano inferiore - Scaglia cinerea ad Orbitoidi (circa 100 metri) ; Maestricliliano superiore - Scaglia rossa (circa 70 metri); Eocene medio-inferiore (Luteziano- Spi- RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 83 lecciano) - Calcari nummulitici e marne, con breccia fossilifera di trasgressione, verso il basso. Mancano nella regione in esame le argille piacenziane e le sabbie gialle dell’ Astiano, presenti invece più ad oriente, all’en¬ trata della Val Brembana e della Val Seriana. L’ eocene è con¬ servato al nucleo della sinclinale M. Giglio-Beolco, nonché sui due versanti del M. Orobio, ultimo rilievo collinoso verso la pianura. Come risulta dalla Carta , gli assi tettonici sono orientati da ONO ad ESE. IL QUATERNARIO Ceppo del Villafranchiano (= Astiano superiore - Sin- glaciale Giinz I Mil.). — La formazione inferiore del ca~ion dell’ Adda di Paderno è costituita dal ceppo continentale, preal¬ pino, del Villafranchiano (f) : della potenza di 20 metri al mas- 0) La facies continentale villafranchiana, .viene generalmente, in¬ clusa nel Quaternario più antico, ma ciò è inesatto. Già il Taramelli (49, p. 96), esaminando la ricca flora delle sabbie gialle continentali, sovrastanti al Piacenziano marino della zona di Chiasso (Balerna, Pon- tegana, Folla d’ Induno), ne rileva i caratteri di clima caldo, tutt’ altro che glaciale. Conclude perciò affermando la precedenza del sollevamento dei lidi pliocenici, rispetto alla discesa dei ghiacciai quaternari. Poco dopo, anche il Sacco (37, p. 446) osservò che il Villafran¬ chiano, collegato a sollevamento sismico, non spetta soltanto al Qua¬ ternario antico, ma entra già nel Pliocene superiore: egli rilevò infatti, che, verso la pianura, il conglomerato calcareo ricopre 1’ Astiano ; mentre, presso le Alpi, s’ispessisce gradualmente sino a sostituirlo del tutto, appoggiandosi direttameute sul Piacenziano. Nella zona pedemontana bergamasca, sopra le argille a Nassa se- mistriata , troviamo generalmente 2-4 metri a strati sabbiosi di pas¬ saggio, con rare Ostrea in basso, e strati incrociati con latifoglie e lenti conglomeratiche in alto (Tornago, Nese). Il ceppo villafranchiano affiora, oltreché nell’incisione dell’ Adda, sino a Cassano, anche nell’incisione del Brembo, affluente di sinistra: in Val Seriana è presente a Nese, dove si trova in serie continua sul Piacenziano-Astiano. Più al largo, a Torre dei Roveri, presso lo sbocco della Valle nella pianura, è invece presente l’ Astiano più alto, con fos¬ sili di mare caldo ( F or sleali a declivis Forsk var. aegyptiaca Lame.). mentre il Villafranchiano manca (Venzo, 59). Circa 7 km. più a monte, ad Albino, venne trovato, ad una doz¬ zina di metri di profondità il Piacenziano ; questo lembo risulta, sinora, il più internato nelle valli del Bergamasco. Ad altri 8 km. circa più a monte, lungo la Val Seriana, si trovano i potenti depositi lacustri 84 S. VENZO simo, esso risulta quasi esclusivamente calcareo e notevolmente cementato. I ciottoli sono generalmente piccoli e molto rotolati ; rarissimi quelli cristallini, della più alta Val Brembana. I conglomerati, spesso mascherati dalle frane e dai detriti di falda delle sovrastanti ghiaie e del ceppo interglaciale, sono particolarmente evidenti a sud del Ponte di Paderno ; sulla destra, la Chiesa del Naviglio è basata sul ceppo calcareo in posto, a livello dell’ Adda. Sacco (88, p. 24) e Patrini (29, p. 1-3) osservarono che, sotto al ceppo, affioravano, sulla destra, lenti a marne più o meno sab¬ biose, azzurrognole o giallastre, di origine lacustre ; esse, £>resso la diga vecchia, mostravano potenza sui 5 metri. La costruzione del Naviglio di Paderno ha ora mascherato tali affioramenti. Più a sud, la formazione argillosa, con Helix , viene a giorno in di¬ versi punti, causando numerose sorgenti, sotto a Cerro, a Botta- nuco ed a Suisio (*). Ghiaie e sabbie, a ciottoli alpini (Singlaciale Giinz II Mil.). - Nell’ incisione dell’ Adda, il ceppo calcareo passa gra¬ dualmente, in alto, a ghiaie e sabbie, ricche di ciottoli valtelli- nesi e pochissimo cementate : potenti una dozzina di metri, esse appaiono stratificate, talora con strati incrociati. Il livello sfat¬ ticcio è continuo sui due ripidi versanti, verso il basso, e si svi- villafranchiani di Leife (Val Gandino) ; essi sono costituiti da 130 metri di argille, con livelli lignitici, che, verso il basso, contengono V Ele- plias meridionalis Nesti ; specie di clima caldo, caratteristica del Plio¬ cene superiore francese. La serie lacustre di Leife si chiude con circa 30 metri di ceppo del Villafranchi ano superiore (vedi poi: S. Venzo, Nuovo rinvenimento di Elephas meridionalis Nesti nei sedimenti lacu¬ stri di E effe. Val Gandino {Bergamo). , Serie simii grafica del bacino. Natura, Milano, 1949). (x) Il Sacco rilevò, che le argille sono fossilifere presso Capriate: inoltre, sulla destra del Brembo, a monte di Brembate, presso la Cap¬ pella-Grotta di S. Vittore, egli vi raccolse una bella fauna a Hyalinia, Helix cfr. punctum, Lymnaea truncatula Mule., Zua subcylindrica L.. Il De Stefani, come avverte Patrini (29, p. 168) ascrisse i fossili al Quaternario, essendo la maggior parte delle specie attualmente viventi. Tuttavia, per le ragioni suesposte, le argille basali del Villafranchiano devono essere precedenti al Giinz (vedi Quadro Stratigrafico e Storia Geomorfologica ) ; possono perciò considerarsi, più o meno, sincrone al giacimento di Torre dei Roveri. Analoga attribuzione spetta, con ogni probabilità, anche alla parte inferiore del soprastante conglomerato vil¬ lafranchiano. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 85 luppa dalla stretta M. Orobio-M. Giglio, verso il sud ; per la facile erodibilità, diede luogo a terrazzamento selettivo, ben evi¬ dente a sud del Ponte di Paderno. La comparsa di numerosi ciottoli valtellinesi, la mancanza di cementazione e l’evidente origine fluvioglaciale, oltreché la posizione stratigrafica e la scarsa potenza, m’inducono a ritenere molto probabile un’attribuzione al Sin glaciale Giinz II (vedi Quadro stratig rafico e Storia geomorfologica). Infatti il ceppo alpino, soprastante, si deve attribuire all’ Interglaciale Gunz- Mindel, come nella Brianza e nel Varesotto ; quivi, ricopre in¬ fatti il morenico giinziano. Nel Varesotto, il Giinz venne scoperto dal Nangeroni (1929 (*)) ; nella Brianza centrale, dal Riva (1941 ; 35 e 36). Esso venne pure da me osservato, oltreché nel Varesotto, nei vari affiora¬ menti dell’ incisione del Lambro, presso Carate. Come avverte il Riva ( Mor . ant ., p. 6), trattasi di morena argillosa grigio-cinerea o giallastra, profondamente alterata, caolinizzata, completamente decarbonicata, con ciottoli caoticamente disposti, che si spappo¬ lano nelle mani : diorite, gneiss, serpentinoscisti, scisti anfibolici, gabbri. Sono inoltre presenti ciottoli di quarzo e quarziti. Anche dalle foto portate dal Riva (Not. sul Glac. tav. VII, fig. 3; Mor. ant., p. 5), sotto Villa Orlanda, nonché alla Fonta¬ nella di Realdino, la morena argillosa risulta sottostare al ceppo : quest’ ultimo, potente alcune decine di metri, appare a sua volta sottoposto al ferretto. C) Il Nangeroni (24), ebbe già ad osservare, nel Varesotto, due oscillazioni del Gtinz : nel torrente Vellone, rilevò la seguente serie, dal basso in alto, che illustra con fotografìa (pag. 21) : 1) Argille marnose singlaciali = Giinz ; I oscill. -j- 2) Sabbie scure, rossastre = » oscill. — 3) Morena che passa a fluvioglaciale stratificato = » II oscill. -J- 4) Ceppo = interglaciale Analoga serie riscontrò nella Valle della Fornace, tra Monbernasca e S. Albino (pag. 22). In successivo lavoro (25, p. 46), il Nangeroni porta i seguenti ca¬ ratteri litologici del morenico giinziano, molto diffuso in potenza ed estensione : argille lievemente calcarifere, prive di fossili marini, con¬ tenenti ciottoli meravigliosamente levigati e striati, prevalentemente calcari. Hanno l' aspetto di morena fresca, perchè vennero presto co¬ perte, e sottratte così all’ azione atmosferica, dalle alluvioni del I in¬ terglaciale (Leppo). 86 S. VENZO La zona dellr Adda di Paderno, si doveva trovare all’esterno della fronte glaciale del Giinz ; per questo, sotto al ceppo com¬ patto ad elementi alpini, sono presenti depositi fluvioglaciali, mentre il morenico manca (vedi Quadro stratigrafico). Ciò fa presumere, che l'escavazione della vallata di Lecco sia conse¬ guenza, essenzialmente, dell’esarazione glaciale tardiva del Gùnz [Giinz II) (1). Il dilavamento fluvioglaciale potè formare l'allu¬ vione ghiaiosa, con elementi valtellinesi, assai rotolati ; simil¬ mente a quanto avvenne in seguito, nel Singlaciale rissiano ed in quello wurmiano. Ceppo a ciottoli alpini dell’ Interglaciale Gtmz-Mindel. — Nel caiion dell’ Adda, le ghiaie passano superiormente al ceppo poligenico, che è potente circa 40 metri. Esso è molto cementato, essenzialmente calcareo, ma ricco, specialmente verso l’alto, di ciottoli valtellinesi, anche di notevoli dimensioni (sino a 30 cm.) ; gneiss, gneiss occhiatini, serizzo ghiandone, serpentini, ciottoli di quarzo, quarziti, elementi silicei viola ecc. : gli strati, suboriz¬ zontali, od appena inclinati a sud, contengono, verso il basso, grosse lenti quasi esclusivamente calcaree (sopra la Centrale Edison, in riva destra). Evidentemente, dovevano allora prevalere le alluvioni del Brembo. Nella zona di Medolago ed in quella antistante, sulla destra dell’ Adda, il ceppo in esame è coperto dal Mindeliano, in posto. Analoga sovrapposizione si osserva nell’incisione della Molgora, tra Pianezzo e la Cascina del Nibio, in riva destra (Carta). C) Già accennai in precedente nota (bibl. 59), che il Giinz risulta sincrono al Calabriano, livello di mare freddo, con fossili nordici; e questo nella zona pedemontana, risulta quasi contemporaneo, od ap¬ pena seguente, al Villafranchiano. Ricordo che il Calabriano è presente in Lombardia a S. Colombano (Patrini, Desio, 16) e Castenedolo (Venzo, 58) ; nel Piacentino, a Castellarquato (Gignoux, 1925). A Castenedolo (Brescia), in piena pianura, il Calabriano inferiore, della potenza di soli tre metri, si trova sotto alle marne lacustri ed ai conglomerati del Villafranchiano: sovrastano i conglomerati, discordanti, del Giinz, evidentemente Gtiuz II (vedi Quadro stratigrafico , p. 136). Risulta così che nella zona pedemontana e nella pianura lombarda, sono presenti tutte e tre le facies del Quaternario più antico: il ceppo fluviale villafranchiano, marginale (Astiano sup. - Giinz I Mil.) ; le mo¬ rene gùnziane, colle ghiaie e sabbie singlaciali ( Giinz li) ; le sabbie marine del Calabriano inferiore (sincrono al Giinz 7), depositate più al largo. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 87 La posizione stratigrafica del ceppo a ciottoli centralpini, tra il Sin glaciale Gunz II ed il morenico ferrettizzato del Mindel, permette di attribuirlo all’ Interglaciale Gunz -Mindel , come in Brianza (Riva, 36) e nel Varesotto (Nangeroni). Il' ceppo dell' Adda, appena a nord della stretta M. Orobio- M. Giglio, viene a mancare : sulla Carta , per semplificazione, segnai le ghiaie e le sabbie centralpine del Singlaciale Gunz II , assieme al ceppo del successivo Interglaciale . Mindeliano. — Il primo cenno cartografico sul « Ferretto » si trova sulla Carta 1 : 450.000 del Taramelli (48), nel 1876. Lo Stella (45) si interessò invece di tutta la pianura padana (1895). Nel 1904, Wilmer (65) distinse cartograficamente la cerchia mindeliana del Comasco (Aussere Mordnenzone ), e così pure alcuni terrazzi ferrettizzati del Glaciale antico. Nel 1909, Penck e Brùckner (p. 786) distinsero, anche sulla loro cartina dimostrativa al 700.000, le morene antiche da quelle recenti: oltre l’anfiteatro mindeliano del Comasco, segnano quello di Carato, nella Brianza centrale, nonché i terrazzi ferrettizzati, già indicati dal Wilmer. Sul Foglio geologico Como (1937), che comprende tutti gli anfiteatri morenici, sviluppati dal Lago di Lugano, sino all’ Adda, per l’incertezza degli studi precedenti, non venne fatta alcuna distinzione del morenico, contrassegnato con unico colore. Tut¬ tavia, il « Morenico » di Stella comprende il Riss ed il Wurrn, mentre la fascia settentrionale dei « Depositi preiourmiani fer¬ rettizzati q1) » viene a corrispondere al Mindeliano. Sulla Carta geologico- agraria della provincia di Milano (1938), Desio distinse delle « Morene prewurmiane ferrettiz- zate », sviluppate a SO della mia Carta , da Giussano-Carate- Triuggio-Lesmo, sino a Camparada. In seguito, il Riva (35, p. 50) attribuì al Mindel tutta la cerchia di colline a puro ferretto, decorrente ad occidente del Montevecchia, per Case. Maresso, Case. Bernaga, Case. Rimoldi, Dosso di Velate e via via sino a Lesmo ; qui, la cerchia è interrotta dal Lambro, ma si continua ad ovest, nella Brianza occidentale. Per la regione dell 'Adda, mancano invece studi recenti. Deve tuttavia essere ricordato, che, nell’alta zona circostante Lecco, gli allievi del prof. Nangeroni ascrissero al Mindeliano il « mo¬ renico sparso scheletrico », superiore alle morene rissiane: così 88 S. VENZO 1’ Esposti per l’alta Valsassina, E asola per il M. Barro e Pracchi per l’alta Brianza (32, p. 217). L’apparato morenico mindeliano deH’Adda. — Il Mindeliano è fortemente argilloso ed alterato in rosso (« Ferretto » dei lo¬ cali), anche in profondità. Esso, superiormente dilavato e spia¬ nato, costituisce gli estesi pianalti ferrettizzati, che credo attri¬ buire tuttavia al seguente Interglaciale (Mindel-Riss antico), come appare anche dalla Carta. Nel Mindel sono distinguibili due ampie fronti, assai dila¬ vate e ben distanziate, che vengono a corrispondere al maximum Mindel /, rispettivamente al maximum Mindel //, del Milan- kovitch (23, p. 570; mia Carta e Quadro stratigra fico, mia nota preliminare, 63, fig. in testo). Caratteri litologici e morfologici del Mindel. — Il more¬ nico in posto è costituito da argille rosso-mattone, assai compatte, con ciottoli alteratissimi di gneiss e serizzo ghiandolare, che, talora, si sfarinano alla minima pressione ; micascisti e gneiss presentano alone rosso. I ciottoli silicei, come quarzo bianco, quarziti, serpentini del M. Disgrazia, serpentinoscisti, dioriti della Val Grosina e Passo Bernina, sono invece assai freschi; tutta via- ali’ estrazione dall’argilla, mostrano patina color ruggine, special- mente nella cerchia più esterna. Mancano sempre gli elementi calcarei e dolomitici, che an¬ darono del tutto dissolti : inoltre i ciottoli sono poco numerosi,, ed, in genere, di dimensioni ridotte. La cerchia più esterna e più antica ( Mindel I ) risulta al¬ quanto più ferrettizzata, più rossa, e con ciottoli più alterati r che non l’interna ( Mindel 11). La potenza del ferretto, che ricopre il ceppo ad elementi valtellinesi, s’aggira sui 20 metri (zona di Porto superiore-Me- dolago, ai lati del canon dell’ Adda). Il mindeliano, assai alte¬ rato, ( Mindel I ) è particolarmente evidente, salendo da Terno d’isola sul terrazzo, lungo lo stradone, che incide la scarpata, appena a monte della linea ferroviaria. Esso affiora, con numerosi ciottoli silicei, anche a sud di Paderno, nella trincea ferroviaria, che taglia il ferretto, per una dozzina di metri ( Mindel II) ; qui, 1’ alterazione è minore ed il colore meno rosso. A SSE di Paderno, la strada per Case. Assunta, che corre al limite interno RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 89 del terrazzo, incide, talora, il ferretto [Carta). Poco ad est, le due cerehie mindeliane, ancora ondulate, sono interessate dalla strada campestre, che corre lungo 1’ orlo destro del canon del- l’Adda, dal Ponte di Paderno sino a Porto superiore: il morenico in posto, molto alterato e leggermente sopraelevato ( Mindel 7), viene interessato dalla profonda incisione (6-7 metri) della strada, poco a nord del Cimitero di Porto superiore (appena a S della Carta). Il Mindet li è inoltre ben visibile alla scarpata del Bacca- nello e poco a nord ; nella zona di Beolco, ed alla Cascina del Nibio, ad est del Montevecchia. Il mindeliano non in posto, ma dilavato, fluitato e spianato, è costituito da ferretto puro, generalmente molto povero di ciottoli. Morenico sparso scheletrico. — Credo attribuire al minde¬ liano anche gli erratici sparsi, presenti sul M. Orobio, sino sulla cima (m. 371), come pure sul M. Giglio (m. 412), dove sono più piccoli e meno numerosi. Trattasi di ciottoli silicei, specialmente serizzo ghiandolare (Orobio), dioriti della Val Grosina e Passo Bernina (Giglio), risultato evidente di lunga ed intensa azione di dilavamento del morenico ; mancano sempre i calcari e le do¬ lomie. Essi testimoniano un’invasione glaciale assai più estesa e più potente di quella rissianar e precedente. Infatti le due col¬ line si trovano all’esterno della più antica cerchia rissiana ( Riss /), ed a quota superiore di parecchie decine di metri (80-100 m.); la quota è anzi tanto alta, da farmi ritenere assai probabile l’at¬ tribuzione al Mindel /, la cui fronte, ricca di dioriti, giungeva quattro chilometri più a valle (zona di Porto superiore-Medolago). I medesimi erratici sparsi, generalmente molto piccoli, sono presenti anche ad est dell’ Alzata, sino all’altezza di Regolida, nonché nella zona di Monasterolo (sino attorno ai 530 metri). Morenico sparso mindeliano è conservato, sempre all’esterno del Riss ed a quota superiore, anche nella zona di S. Antonio : a Gelana (m. 415-430), Celanella, Ombria, ed attorno alla piana, ad argille lacustri, del Singlaciale rissiano , (vedi Carta). Gli abitati evitano le argille e si trovano tutti sul morenico a piedi- colle : così Eormorone, Battocchio, Fopa, Costa, Cà Zucchetti, Bleggio e Celana vecchia. Mindel 1. — La cerchia più esterna del Mindel (Venzo, 63, fig. in testo), benché quasi del tutto degradata e spianata, inte- 90 &. YENZO ressa la collina di Verderio superiore, raccordandosi, ad ovest, col mindeliano delle pendici meridionali del Montevecchia. Nella zona a sud del monte, il Mindel 1 del ghiacciaio dell5 Adda si accosta alla cerchia mindeliana, molto più potente, della Brianza centrale (Riva, Glac. Brianza , Tav. VI, fig. 1). Il Mindel I venne dilavato tra il Montevecchia e Verderio, dove è testimoniato però da due lunghe collinette, a ferretto, con ciottoli alterati in posto : quella occidentale, situata a nord di Ronco Briantino, sin presso Brugarolo ; quella orientale, svilup¬ pata a nord di Bernareggio-Sernovella-S. Enrico, sin quasi alla Cna Bempensata {Carta). I due deboli rilievi, tagliati dalla fer¬ rovia, sono appuntiti e molto attenuati a nord, dove finiscono per immergersi sotto alla piana ghiaiosa del Singlaciale ristiano ; verso sud si alzano e si estendono a pianalto, con scarpate rosse man mano più alte (sino ad una dozzina di metri, al limite della Carta). Nella zona di Ronco, è ancora evidente, se pur attenuata, la cerchia più esterna del Mindel. Tutto l’esteso pianalto a ferretto, povero di ciottoli e fortemente argilloso in tutta la massa, sviluppato a sud, all’ esterno della fronte, deve essere attribuito al 'Singla¬ ciale mindeliano . Ricordo, che nelle precedenti Carte geologiche (. Foglio Milano: Carta della Prov. di Milano del Desio), è invece segnato il Diluvium medio ( Interglaciale. Mindel- Riss ), sabbioso- ghiaioso. Il Mindel venne dilavato intensamente, ed eroso, ad ovest, dal torrente Molgora, scaricatore glaciale della fronte rissiana di Bagnano- Merate : al centro, dallo scaricatore glaciale di Novate ; verso est, da quello di Robbiate. Perciò esso rimase conservato soltanto in sottili lingue appuntite, tra uno scaricatore e l’altro. Il Mindel è conservato, a SE di Verderio, sino poco a nord del Cimitero di Porto superiore (appena fuori della Carta , sulla destra dell’ Adda). Ad oriente l’ampia cerchia doveva interessare la zona di Medolago (X)-M. Orfano (m. 237)-0 di Terno d’ Isola- Villa Gromo, per appoggiarsi, infine al M. Canto, che la protesse dal completo dilavamento : essa è testimoniata dalle morene rosse, in posto (M. Orfano, scarpata di Terno, ecc. poco ad est della Carta). 0) 1 ciottoli valtellinesi usati a Medolago come materiale da co¬ struzione, vennero raccolti nel Brembo e nell’ Adda; soltanto pochi provengono dal Grandone. Infatti il mindeliano è in genere povero di ciottoli : analoga osservazione feci a Chiguolo. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 91 Mìndel IL — La cerchia ferrettizzata più interna decorre dalla zona di Beolco-Bagaggera-Casc. Nibio (ad est del Monte¬ vecchia), per Paderno-Torre-Baccanello-Bercio, sino al M. Canto {Carta) : molto degradata e quasi spianata, viene a trovarsi circa due chilometri e mezzo all’interno del Mìndel /, ed a poco più d’ un chilometro all’ esterno della più antica cerchia rissiana ( Riss /). Morenico ferrettizzato è conservato anche più internamente, alle pendici meridionali del M. Orobio, sino a Paderno : l’abi¬ tato si trova per l’appunto sulla dorsale della collina (quota 268- 266), che è sospesa di 10-15 metri sulla piana singlaciale ris¬ siana. Una placca mindeliana è inoltre conservata nella zona di Canodàro, a sud del M. Giglio : i due rilievi cretaceo-eocenici protessero infatti il Mindel dal dilavamento successivo {Carta). Singlaciale mindeliano. — Il dilavamento fluvioglaciale, esterno alle fronti del Mindel, dovè dar luogo al pianalto argilloso, completamente ferrettizzato e povero di ciottoli, esclusivamente silicei, presente a sud della Carta (zona di Cornate-Vimercate) : esso, a nord, finisce per raccordarsi insensibilmente col pianalto interglaciale, a ferretto in tutta la massa, seguentemente descritto. Il pianalto ferrettizzato singlaciale, esterno delle fronti min- deliane, è continuo, poco a SO della Carta , lungo i fianchi della vallata del torrente Molgora ; sul versante occidentale, è caratte¬ ristica l’alta scarpata rossa, sviluppata sino nella zona di Usuiate ed Arcore; poco a nord della stazione di Usmate-Carnate, il nuovo cavalcavia dello stradone- statale per Lecco, incide anche il ceppo interglaciale, sottostante. Ad oriente, il ferretto costituisce la col¬ lina di Bonco-Carnate, appena a sud della mia Carta , sviluppan¬ dosi sino all’ Adda; nella zona, sul Foglio geologico Milano , sono segnate invece le alluvioni sabbioso-ghiaiose del Diluvium 2°. Credo attribuire al sistema in esame i piccoli lembi, poten¬ temente ferrettizzati, esterni alle fronti del Mindel, che sono conservati allo sbocco delle valli bergamasche ; anch’essi risul¬ tano fortemente sospesi sulla piana ghiaiosa del Singlaciale Riss I-II (vedi poi) : terrazzi rossi di Almenno in Val Brembana ; terrazzi ferrettizzati di Borgo Sale-Ripa, Uembro, Valle Scapla e Cornale, m Val Seriana ; ridotto terrazzo di Quaglia e sistema di Cna Minardi, in Val Cavallina ; terrazzo sopra Ripa di Vii- 92 S. YENZO longo ecc. (1). Più ad oriente del Bergamasco, il sistema è pre¬ sente all’esterno dell’apparato morenico del Lago d'Iseo ( Foglio geologico Brescia ) : qui sono conservate, parzialmente, anche le due cerehie del Mindel ; la più esterna, il Mindel /, si ap¬ poggia ai conglomerati del M. Orfano. Argille lacustri del Singlaciale Mindel II e dell’Inter¬ glaciale Mindel-Riss antico. — Credo attribuire a questo pe¬ riodo le argille, potenti almeno una dozzina di metri, e con al¬ ternanze sabbiose, che affiorano nella cava della « Fornace La¬ terizi Sestina », di Barbabella (m. 300), presso Bagaggera (2), a nord del Montevecchia (Carta). In basso alla cava, piccoli fossi di scolo mettono in evidenza circa tre metri di argille azzurrognole, sterili, probabilmente svi¬ luppate in basso per parecchi metri ancora. In corrispondenza dell’attuale piano di cava, si trova un livello di circa 2 metri,, a sabbie argillose biancastre, ricco di tronchi, lignitizzati e schiac¬ ciati, di grandi conifere (sino ad un diametro di m. 0.30). Il dotL P. Bona (3) vi classificò, sinora: abete bianco e pino (legni e pol¬ lini); faggio (rari pollini). Nelle argille, si rinvengono inoltre grossi strobili e qualche raro scheletro di pesce ; sovrastano circa 9 metri di argille ce¬ neri, finemente stratificate, che contengono rari pesci, piccole ossa di mammiferi e gusci madreperlacei di Unio. La serie argillosa lacustre appare coperta da 5 metri di argille rosso-mattone, senza ciottoli, dilavamento del morenico miudeliano (Mindel IL). La conca, che è marginale rispetto al ghiacciaio, sembra conseguenza di sbarramento della fronte glaciale del Mindel //, in un primo tempo; del cordone morenico, poi, dopo il ritiro mindeliano (4). (v) Su quest’argomento ho in corso una nota: « S. Venzo, Il Min- deliaco della Val Cavallina ed i terrazzi diluviali allo sbocco della Val Brembana e della Val Seriana ». (2) In proposito ho in corso la seguente nota: « S. Venzo, Sull’an¬ tico bacino lacustre (Singlaciale Mindel li ed interglaciale (Mindel- Riss ) di Bagaggera, a nord del Montevecchia (Brianza orientale). Os¬ servazioni sulle argille lacustri pleistoceniche del Bergamasco'». (3) I tronchi, gli strobili, nonché l’analisi dei pollini fossili sono affidati in istudio al dott. Fausto Lona, dell’ Istituto di Botanica del¬ l’Università di Milano, che ne darà notizia in apposita nota. (4) Si potrebbe anche pensare, che le argille lacustri, sottostanti alle argille rosse, siano più antiche, e, forse del Villafranchiano.^ Ma* ad oriente, sul versante occidentale della vallata del torrente Molgora, il cordone mindeliano è direttamente basato sulla Scaglia i-ossa e ci- RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 93 Le argille sterili inferiori risulterebbero singlaciali : le ar¬ gille superiori fossilifere, si depositarono dopo il ritiro dei ghiacci mindeliani. La ricca vegetazione a conifere e l’intensa vita nel lago, indicano infatti clima più mite, se pur ancora fresco. Interglaciale Mindel-Riss. — Il potente dilavamento e spianamento del morenico mindeliano, all’interno delle fronti, dopo il ritiro glaciale, diede luogo al pianalto, sospeso di ben 90 metri sull’ Adda; esso è intensamente ferrettizzato in tutta la massa, sino a 15-20 metri di profondità. Come appare dalla Carla , il pianalto ferrettizzato è sospeso da 7 a 15 metri sulla piana ghiaiosa del Singlaciale Riss RII; in corrispondenza della scarpata di Terno d’ Isola-Chignolo, ri¬ sulta sospeso di 10-15 metri sulla piana, singlaciale rissiana, del Brembo. Il pianalto è conservato nelle aree, protette a nord da rilievi collinosi, che lo preservarono dall’ erosione successiva. Così, a sud del M. Orobio - collinetta di Ganzana, troviamo il ter¬ razzo Paderno (m. 266)-Verderio superiore (m. 255). Ad est del- l’Adda, corrisponde il terrazzo di Calusco (m. 272)-Torre(m. 266)- Baccanello (m. 263)-Solza (m. 251)-Medolago (m. 246; vediTav. II, fig, 2) ; protetto a nord dal M. Giglio, esso si sviluppa ulterior¬ mente a sud della Carta. Ad est della vallata del Grandone, incisa da 7 a 15 metri, il pianalto ferrettizzato forma la cosidetta «Isola Bergamasca»; estesa piana triangolare, con ampia base, protetta a nord dal M. Canto, e con vertice (Chignolo) a sud. Questa forma è dovuta alla confluenza del Grandone nella piana del Brembo. A nord, verso le pendici del M. Canto, il terrazzo è coperto da argille sabbiose giallo-ocra, dovute a dilavamento posteriore delle are¬ narie santoniane ; fenomeno analogo si verificò nella zona di Ca¬ lusco e poco a NE (C. Fornace), dove, superficialmente, troviamo circa tre metri di argille giallo-ocra. nerea , e le argille lacustri mancano. Le argille rosse non contengono ciottoli, a differenza del morenico mindeliano in posto, mostrando trat¬ tarsi di dilavamento dello stesso ; questo fenomeno si verificò nell’ In¬ terglaciale Mindel-Riss , epperciò esse ricoprono la formazione lacustre. L’ enorme quantità di conifere, e particolarmente l’ abete bianco, come pure il faggio, denotano clima ancor fresco e piuttosto umido, simile a quello attuale dei 1100-1200 metri; mentre i depositi lacustri villafranchiani sono di clima caldo (Elephas meridionalis Nesti, di Leffe, in Val Gandino). 94 S. VENZO A ovest della Carta , il pianalto a ferretto è protetto, in parte, dal Montevecchia : nella piana a sud di Merate, mancando la protezione a nord, esso è testimoniato dalle due sottili lingue, appuntite e dilavate, di Brugarolo e di S. Enrico. Il pianalto ferrettizzato, interno alle cerehie mindeliane ed originariamente continuo, è testimonio della più alta e più antica pianure del II Interglaciale , il Mindel-Riss ; esso venne eroso ed interrotto, ad ovest dalla Molgora e dagli scaricatori di Novate e Robbiate, al centro dall’ Adda, e, ad est dal Girandone e dal Brembo. Più a SO, nonché ad est della Carta , è inoltre sviluppato il « sistema tipico del Diluvium medio », spesso indicato dagli autori al posto del Singlaciale mindeliano. Esso, generalmente ridotto e presente lungo i corsi d’ acqua, risulta inferiore, con marcato gradino, rispetto al pianalto argilloso a ferretto; si di¬ stingue inoltre, perchè ghiaioso, ricco anche di ciottoli calcarei, debolmente argilloso, giallo-ocra, e tendente all’ arancio verso la superficie. Questo sistema, a sua volta sospeso con scarpata sul « livello fondamentale della pianura », mi sembra attribuibile alla fine dell’ Interglaciale Mindel-Riss ( Quadro a p. 136). Esso è presente : nella Brianza centrale, - Lambro di Ca- rate-Bi assono (Riva) - zona di Leniate sul Seveso - Limbiate ecc. (vedi Carta della Prov. di Milano del Desio) ; nella bassa Val Brembrana, - terrazzo sotto Almenno e piana di Almé (vedi poi Foglio geologico Bergamo ); assai sviluppato nel Varesotto (Nan- geroni). Rissiano (Cenno bibliografico). — Nella zona dell’Adda, non verme distinto da alcuno il morenico rissiano; nella Brianza la di¬ stinzione tra Riss e Wùrm è tuttora incerta, e manca ogni ten¬ tativo cartografico. Nel 1932, il Nangeroni ebbe a distinguere il Riss nel Va¬ resotto; ma, nel Foglio geologico Como (1937), il « morenico » è ancora indicato con unico colore. Anche il Desio, nel 1938 (16), non potè distinguere il Riss dal Wùrm, per il loro minimo svi¬ luppo, al limite della sua Carta. Il Riva, nella sua nota sul glaciale della Brianza (35, p. 56), avrebbe attribuito al Riss la cerchia morenica principale, interna al ferretto, che, attaccandosi alla collina cretacea di Barzanò, decorre per Viganò superiore, Torrevilla, Monticello, via via. sino ad Arosio, Cremnago, Alzata e Villalbese. Un’ altra cerchia RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 95 esterna, dovuta a più antica fronte rissiana, sarebbe quella, si¬ tuata poco a sud di Missaglia-Casatenuovo-Montesiro (*), (2). In proposito, ricordo anche la nota di Castiglioni, Escursione al¬ bi anfiteatro morenico fella Brianzci (5): io stesso partecipai a quell’escursione, come risulta dalla fotografia, che illustra la nota. Il Castiglioni (p. LXXXIII) fà osservazioni sulla terrazza attribuita dal Riva al «3" interglaciale »: essa, che s’allarga a (B In recentissima comunicazione orale sul morenico della Brianza (Seduta del l giugno 1947, della « Sezione Lombarda della Società Geologica Italiana »), il Riva cambia invece d’avviso nei riguardi del Riss. Afferma infatti di non riuscir più a distinguere il morenico ris- siano da quello wtirmiano : finisce anzi coll’ attribuire tutte le cerehie di morenico tipico (il « Morenico tipico » di Stella — vedi nota se¬ guente — (2)), ad unica grande « Glaciazione recente a massi erra¬ tici » , posteriore al ferretto. Essa dovrebbe, logicamente, risultare com¬ prensiva del Riss-Wiirm ; il Riva conclude invece con un’attribuzione al Wiirm soltanto, distruggendo il Riss ! Ascrive infatti il « livello fon¬ damentale della pianura », dovuto a dilavamento delle fronti glaciali rissiane, al Diluvium recente : non però nel senso di Stella, ma, come egli stesso ebbe a specificare, al Singlaciale wurmiano! L' ipotesi Riva riprende quella di Stella (1895) e quella di Bayer, del 1929. (bibl. 1): quest’ esimio autore, della scuola di Vienna, am¬ mette, in base a dati faunistici, due sole glaciazioni. L’ultima di esse avrebbe avuto due fasi di progresso (corrispondenti alle glaciazioni Riss e Wùrm), separate da un’oscillazione climatica non molto pro¬ fonda (vedi sua curva climatica dell’epoca glaciale, da confrontare con quella, posteriore, di Milankovitch, 1938), (2) Lo Stella (45) conclude per la seguente classificazione dei terreni diluviali, rispetto al fenomeno glaciale: Diluvium superiore o recente (espansione glaciale più recente, in doppia fase — morenico tipico — ). Diluvium medio (Interglaciale). Diluvium inferiore o antico (espansione glaciale più antica — ferretto — )> Il morenico tipico, posteriore al ferretto ed in due fasi, comprende, evidentemente, il Riss ed il Wiirm ; di conseguenza, i terrazzi del Sin¬ glaciale ivilrmiano e del Singlaciale rissiano , dovuti al dilavamento delle rispettive fronti, vengono a cadere nel Diluvium recente di Stella. Il Singlaciale wurmiano ( Diluvium recente dei moderni autori, ma non di Stella !), risulta, in genere, fortemente incassato nei fiumi (Adda), mentre il Singlaciale rissiano viene a costituire il « livello fondamentale della pianura » (piano terrazzato dello Stella). Il Diluvium antico , a ferretto, viene a corrispondere al Mindel ed al suo dilavamento fluvioglaciale. Il Diluvium medio viene evidentemente a cadere nell’ interglaciale Mindel-Riss (fase finale, vedi quadro a p. 136). 96 S. VENZO sud, costituendo la pianura milanese, è da lui considerata coeva di un’espansione glaciale (verosimilmente la wuriniana), piuttosto die interglaciale. Più a nord, il morenico rissiano viene distinto, non carto¬ graficamente, nel 1939 ; da Pracohi nell’alta Brianza, Fasola sul M. Barro ed Esposti nell’alta Valsassina (bibl.). Il Cozzaglio, nella zona degli anfiteatri morenici del Lago d’Iseo ( Foglio geologico Brescia , 1939), distinse: morene non ferrettizzate, e morene poco o profondamente ferrettizzate. Le prime rappresentano probabilmente il Wùrm, tuttavia, forse, troppo ridotto, poiché non costituisce al comjDleto le cerehie in¬ terne : le seconde, segnate con unico colore, sono verosimilmente comprensive del Riss e Mindel. Nel 1944, Desio ebbe ad osservare la presenza del Riss, in Val Brembana (17) ed in Val Seriana (18). Nel mio rilevamento della Val Cavallina, potei distinguere, anche in Carta al 25000, le fronti rissiane da quelle wùrmiane (62). L’apparato morenico rissiano del ghiacciaio dell’ Adda di Lecco. — Le colline moreniche esterne, appoggiate al M. Orobio-M. Giglio - M. Canto, nonostante l’aspetto relativamente fresco, non possono attribuirsi al Wùrm. Manca tra esse ed il Mindel ogni traccia di cerehie intermedie. Oltre a presentare, verso la superficie, alterazione in argille giallo-ocra, esse si raccordano al sud (vedi Tav. I, fìg. 1), col terrazzo ghiaioso del Ponte di Paderno-Luprita-Fabbrica da cemento di Calusco, risultato del loro dilavamento : ma questo terrazzo, che fa parte del « livello fondamentale della pianura », si trova sospeso di oltre 80 metri sull’ Adda, ed incassato di appena 7-15 rispetto al pianai to fer- rettizzato àeìV Interglaciale Mindel- Riss antico! Anche i caratteri litologici del terrazzo stanno ad indicare il Sin glaciale rissiano , piuttosto del wurmiano. Infatti la piana, se pur ghiaiosa, appare un po’ alterata in superficie, con terreno sabbioso-argilloso giallo-ocraceo, ricco di ciottoli valtellinesi : si osserva talora (Cava di ghiaia ad est di Cernusco, lungo lo stra¬ done per Paderno) debole ferrettizzazione di 0,40-1 metro. Altro ausilio morfologico è dato dal terrazzamento interno, ad anfiteatro, delle fronti rissiane di ritiro : tutti questi terrazzi ( Carta : Tav. I, fig. 2) si trovano a quote assai superiori a quella dell’interno ed ampio terrazzo, a ghiaia freschissima, dovuto al RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECO. 97 dilavamento della fronte wiirmiana ( Wurm III) ; e cosi pure sono più alti del terrazzo singlaciale Wurm I-II (Imbersago). Caratteri litologici e morfologici del Riss. — Le morene del Riss sono superiormente argillose ed alterate in giallo-ocra. Questa colorazione, tipica dei primi cordoni verso la pianura, non è soltanto superficiale, ma appare sino a circa 5 metri di profon¬ dità : essa è più intensa nelle cerehie esterne e particolarmente nella più antica, il Riss I. Piuttosto freschi appaiono i ciottoli : numerosissimi ovunque gli erratici valtellinesi di grandi dimensioni, e talora enormi (sino a tre metri) ; gneiss, dioriti, serizzo ghiandolare, sienite anfibolica, serpentini, chiari e scuri, serpentinoscisti ecc. . I ciot¬ toli calcarei, generalmente mancanti in superficie, sono scarsi anche al di sotto dei 5 metri. Particolarmente alterato in giallo-ocra e fortemente argilloso appare il Riss I : nella zona di Merate ; a SSO di Carvico, poco fuori l’abitato, sulla strada per Tezza superiore, che è incisa con scarpata di quasi cinque metri. L’ alterazione del Riss I (*), se pur debole, è evidente, nella grande cava sita a nord del M. Oro- bio, circa 300 metri ad est della Forcella : anche qui le argille gialle presentano spessore di circa cinque metri. Al di sotto, la potente morena, sezionata per una ventina di metri, è sabbiosa, di aspetto fresco, e contiene anche qualche ciottolo calcareo; ri¬ sulta perciò indistinguibile dal Wurm. La stessa alterazione superficiale appare in piccola cava, sita sulla cresta del Riss //, verso l’ alto, 300 metri circa ad ovest del M. Giglio. Il Riss IV è pure sensibilmento alterato ; per esempio in corrispondenza della scarpata sita sopra alla Cappella Morti del Rivo, sotto Volpino di Villa d’Adda (sopra la strada del terrazzo Singlaciale Riss V - Carta). Differenze del morenico rissiano dal mindeliano , rispetti¬ vamente dal wurmiano. — Tanto i caratteri litologici quanto quelli morfologici permettono un’agevole distinzione tra Riss e Mindel ; pur mancando, nella regione, sempre soggetta ad intenso dilavamento, una diretta sovrapposizione stratigrafica (presente invece nel Varesotto). Il Riss è sempre collinoso, con cerehie ben conservate e marcate, a grossi erratici valtellinesi, di aspetto (]) Le cerehie vengono numerate dall’ esterno all’interno. Vedi in seguito. 7 98 S. VENZO fresco: mai ferrettizzato, esso costituisce le prime, forti, cerehie, verso la pianura. Il Mindel, più esterno, ad argille rosse, con ciottoli esclusivamente silicei, poco numerosi e di piccole dimen¬ sioni, risulta molto degradato ed in genere addirittura spianato (1). Assai meno evidente risulta la distinzione tra Riss e Wurm. Tuttavia le cerehie esterne, rissiane, appaiono alterate per 4-5 metri in argilla gialla, e superficialmente, poverissime o addirittura mancanti di erratici calcarei ; le cerehie interne, wurmiane, sono invece molto fresche, sabbiose anche in superficie, e ricche, oltreché di erratici valtellinesi, anche di ciottoli calcarei, levigati e striati^ I caratteri di grande freschezza del Wurm I sono partico¬ larmente evidenti nel cordone morenico (morene un po’ argillose, probabilmente, di fondo), di Cisano, che è troncato, sotto la Torre, dall’ erosione del torrente Sonna : della medesima freschezza ap¬ pare il Wurm ///, nella grande frana sotto Odiago, lungo il basso Sonna; come pure a nord della piana di Villa di Basso, lungo lo stradone che scende a Brivio. I caratteri litologici non sono, sempre, decisivi. I cordoni laterali, come avviene sul ripido versante settentrionale del M. dei Frati, sotto Fàida, si addossano a gradinata [Carta) ; perciù il dilavamento giallastro dei superiori cordoni rissiani interessa anche i sottostanti wurmiani (2). Il colore rosso-vinoso, in tutta la massa, del potente troncone meridionale del cordone di Cisano, che è invece freschissimo in centrovalle, mi sembra connesso colla sottostante scaglia rosso-vino (. Flysch cenomaniano-turo- niano) ; essa affiora infatti lungo il Sonna, sulla sinistra. Nella distinzione tra Riss e Wurm, oltre i caratteri litolo¬ gici, sono sempre di grande ausilio, anzi, talora essenziali, la, morfologìa, la posizione, V allineamento delle cerehie e dei cor¬ doni laterali. I cordoni rissiani, anche il più potente ( Riss //), (x) La curva di Milankovitch ( Quadro a pag. 136) ci rende ragione della profonda alterazione del morenico mindeliano rispetto al rissianor infatti il Riss risulta di ben 190000 anni più giovane del Mindel e di so.li 60000 più vecchio del Wtirm. Le morene ferrettizzate attribuite, anche recentemente, al Riss, ven¬ gono pertanto a spettare al Mindel. Anche in Val Cavallina (Desio, 18; Venzo, 62), le morene rosse, con ciottoli silicei, esterne al potente e fresco cordone di Grone (Riss li ), devono attribuirsi al Mindel (mia nota in corso e Foglio geologico Bergamo). Consimile osservazione mi sembra debba esser fatta per la Val Soriana (Desio, 18), ed i Colli Berici (Dal Piaz, 9). (2) È inoltre a tener presente, che anche il morenico wiirmiano presenta talora in superficie (sino circa un metro) terriccio vegetale, giallognolo. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 99 presentano morfologia più dolce, in rapporto al lungo dilavamento, che non le fronti wùrmiane, più interne, più alte, ed a morfologia più giovanile : fatto particolarmente evidente nelle morene insi¬ nuate in Val S. Martino. Qui, l’attenuato Riss II , che sbarra la valle a S. Giacomo, risulta sopraelevato di soli 8-10 metri, mentre il Wiirm / di Cisano si eleva di oltre 30 metri sul piano. Le attenuate cerehie rissiane interne, testimoni di marcato ritiro della fronte (Riss III- V)j formano deboli rilievi, sopraelevati di pochi metri* L’apparato morenico rissiano, tanto nella zona frontale di Villa d’ Adda, quanto nelle valli laterali, costituisce anfiteatri morfologicamente ben distinti da quelli, più interni, del Wùrm {Carta). Sono perciò indotto a distinguere, anche cartografica¬ mente, le cerehie esterne, debolmente alterate, da quelle interne freschissime, attribuendole a due diverse glaciazioni, la rissiana e la wùrmiana : tra l’una e l’altra intercorre un lungo periodo di tempo (circa 60000 anni, secondo Milankovitch), durante il quale l’Adda incise il suo letto, nel ceppo compatto, di 40 metri almeno. Ciò è dimostrato dalla differenza di quota tra il terrazzo del Singlaciale Riss IV ( — i 10 metri del Singl. Riss. V) e la base del terrazzo Singlaciale Wiirm l-II ; ed essa non interessa il ceppo villafranchiano, evidentemente del tutto eroso ed asportato nel- V Interglaciale Riss- Wurm (meandro incassato di Medolago, Carta). Durante le invasioni glaciali, 1’ erosione è molto ridotta, preva¬ lendo fortemente la fase di deposito: lo provano i terrazzi alluvionali del Singlaciale rissiano , e quelli più bassi ed incassati, del Sin¬ glaciale icurmiano , dovuti al dilavamento fluvioglaciale delle varie fronti durante la fase di aumento ed espansione (ana glaciale). Zona frontale dell’ Adda. — Nell’apparato rissiano si distin¬ guono due marcate cerehie moreniche frontali ; di esse, la se¬ conda, meravigliosamente conservata, risulta più potente. All’in¬ terno e più in basso, si trovano altre deboli cerehie parallele, al massimo in numero di tre : le cinque fronti rissiane, due prin¬ cipali e tre di ritiro, sono numerate progressivamente dall’esterno all’interno, cioè dalle più antiche alle più recenti. Lo stesso cri¬ terio adotto per le fronti wiirmiane. Riss 1. — E la cerchia più esterna, la prima verso la pia¬ nura (Carta) : essa risulta costituita dall’ampia ed attenuata col¬ lina morenica di Pagnano (m. 300)-Merate (m. 296)-chiesa di Novate (m. 295)-collina poco a sud della Forcella (m. 314). In questa zona, il Riss I è sdoppiato in due cordoni, dei quali il 100 S. VENZO più esterno, sulla quota 287, appare più debole; tra di essi in¬ tercorrono 300 metri circa. Lo stesso fenomeno si osserva anche nella Brianza centrale, dove il ghiacciaio, proveniente dalla Val- madrera, era più potente. Il Riss I continua, ad est, colla morena appoggiata al ver¬ sante settentrionale del M. Orobio, ricco di grossi erratici. Il cordone, molto dilavato, s'inflette a sud, in corrispondenza della depressione dell' Adda, dove è interrotto : qui, la fronte glaciale del Riss I doveva giungere sino alla C.na del Tac, estremo li¬ mite meridionale, risultando parallela al più interno cordone ris- siano, il Riss II. Il cordone morenico più esterno, ad oriente dell’ Adda, co¬ stituisce la collinetta arcuata di Yanzone m. 292-295 (Tav. I, fig. 1), che si appoggia a NO del M. Giglio, girandovi attorno ; la cerchia continua a NE, colle collinette di Carvico sulla quota 322ì-Cornalìda, sino ad appoggiarsi alle arenarie santooiane del M. Canto, presso l'Alzata. Qui, il cordone esterno s’unisce al secondo (Riss 77), per riapparire distinto, appena a nord, nell' al¬ largamento di Valle; s’insinua infatti sino a nord dell’abitato, che è situato appunto sul cordone morenico (Cartai. Poco a ONO, il Riss I si appoggia sui 390 metri, alle arenarie e conglomerati santoniani del M. dei Frati, riaccostandosi ancora al Riss II. La cerchia esaminata sembra corrispondere a quella di Mis- saglia-Casatenovo-Montesiro, osservata dal Riva ad ovest del Mon¬ tevecchia, nella Brianza centrale. \ Riss II. — E questa la cerchia principale, che si trova da 500 a 1000 metri all’ interno della precedente. Si tratta di cor¬ done morenico molto potente e continuo, che corrisponde a quello distinto dal Riva, nella Brianza centrale : Yiganò sup.-Monticello- Besana-Zoccorino-Arosio-Alzata, sino a Yillalbese. Il Riss //, ben evidente anche sulla Carta , decorre da ovest verso est : a Roncaglia (m. 305)-Sabbioncello- Villa Biffi-Villa Su¬ baglio (m. 352)-Montalbano-Barbiano (m. 316)-ovest della Forcella (sui m. 330)-est della Forcella (sui m. 337-322). In corrispon¬ denza della Forcella, m. 306, esso è scavalcato dallo stradone per Imbersago-Brivio, che qui raggiunge la massima quota. Presso C.na Duraga, il cordone devia bruscamente verso sud, mantenen¬ dosi sui 322 metri : forma cosi un’angusta cerchia secondaria, interrotta dall’ Adda. Sulla sinistra del fiume, in allineamento, è ancora presente un attenuato rilievo morenico, a m. 276 ( Carta 1, testimonio del cordone, completamente dilavato. All' interno di RILEVAMENTO GEOMORFOLOG1CO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 101 esso, su ambedue le sponde, è tuttora ben conservato il cucchiaio di sovraescavazione dell’estrema lingua glaciale del Riss II. Verso la fine del Riss, nel Singlaciale Riss IV , il cucchiaio, inciso nel ceppo, venne parzialmente alluvionato; si formò così un terrazzo, che presenta ancora, all’estremo sud, la caratteristica contropen¬ denza (Tav. II, fìg. 1). Ad oriente dell’ Adda, il Riss II costituisce il potente arco morenico, che, girando a nord del M. Giglio (Tav. I, fig. 1), con¬ tinua a Grumeslàno (m. 347)-Vignone (m. 347j-M. Cucco (m. 347)- Cadernòldo (m. 343)-Alzata (m. 357)-C. Cantoniera-C. Messo (m. 380)-Costa, sino ad appoggiarsi al M. dei Frati, sopra Rossèra (m. 390) ; esso appare ben evidente anche a Tav. I, fig. 2). Terrazzo singlaciale Riss /-//(« livello fondamentale della ■ pianura »). — Il dilavamento delle due fronti glaciali (nella « fase anaglaciale »), dovuto in special modo agli scaricatori Molgora, Adda e Grandone, diede luogo, rispettivamente: alla piana ghiaiosa di Cernusco (m. 267)-Robbiate (m. 270); a quella dei Ponte di Paderno-Luprìta (m. 270)-Fabbrica da cemento di Calusco (Tav. I, fig. 1) ; finfine al fondovalle pianeggiante dei Predazzi-Grandone esterno alla fronte rissiana di Carvìco. Contemporaneo risulta anche 1’ alto terrazzo di Valle (m. 350), alle pendici meridionali del M. dei Frati, che si trova pure all’esterno del Riss II. L’esteso terrazzo, raccordato a mezzo di debole « cono di transizione », colle due cerehie rissiane principali, si sviluppa su ambedue le sponde dell’ Adda: dal Ponte di Paderno, ni. 262 (Fig. 1, in testo), ad ovest di Solza, sino a sud del meandro in¬ cassato di Medolago (Tav. II, fig. 2). Esso finisce per raccordarsi, evidentemente col « livello fondamentale della pianura » (Cas- sano-Treviglio-Milano ecc.). L’esteso terrazzo singlaciale rissiano, sospeso di ben 80 metri sull’ Adda, nel Foglio geologico Como , appare invece contrasse¬ gnato col verde a 1 ed attribuito a WAlluvium antico ! Nei Fogli Milano e Treviglio (1931), esso viene indicato dal Sacco: « Al¬ luvioni sabbiose- ghiàioso-ciottolose terrazzate ( Terrazziamo ) », dell’Olocene antico. La piana del Grandone, ora poverissimo d’acque, appare no¬ tevolmente arrossata per il dilavamento del Mindel, che risulta inciso per 7-15 metri : essa, contenente ciottoli delle fronti ris¬ siane, si raccorda, nella zona di Chignolo colla piana del Brembo. Quest’ ultima, ampiamente sviluppata allo sbocco della Val Brem- 102 S. VENZO Fig. 1. — La profonda incisione dell’ Adda, colla Centrale Elettrica Edison, visti dal Ponte di Paderno. Il fiume scorre incassato tra il ceppo, sulla quota 181, mentre il soprastante terrazzo del Singlaciale Riss I-Il ( «livello fondamentale della pianura »), è sulla quota 262. Il « canon », profondo ben 80 metri, cominciò ad essere inciso dopo il Riss II Mi- lankovitch : perciò è dovuto all’erosione degli ultimi 180000 anni. Sulla sinistra, in secondo piano, il M. Orobio, a calcari cretaceo- eocenici e « morenico sparso scheletrico » (Mindel I), sulla cima; la tipica morfologia arrotondata è dovuta all’esarazione del ghiacciaio mindeliano, che lo sorpassava, verso sud, per ben 4 chilometri. Appena a destra dell’ Orobio, la fronte morenica del Riss //, che, interrotta dal- P Adda, riappare sulla destra della foto, verso il M. Giglio (vedi Tav. I, fig. 1). In corrispondenza della stretta tra l’ Orobio ed il Giglio, l’Adda incide, sotto il ceppo, le formazioni cretaceo-eoceniche, ad anticliuale (Fig. 2, in testo); la centrale sfrutta la rapida. Altre rapide sono pre¬ senti a sud del ponte, mostrando che tuttora l’Adda è in fase erosiva. (1) Diluvium recente , Singlaciale wilrmiano. ; Interglaciale Riss- Wiirm, Riva, Glac. Brianza, vedi anche Castiglioni, 5, p. LXXXIII-IY; Singlaciale rissiano, Cozzaglio, Foglio Peschiera e Note illustrative « dz » ; ed Alluvium antico , Foglio Como. bana, da Paladina-Treviolo-Bonate-Terno d? Isola-Mapello- Ambi¬ vere, si raccorda, a sua volta, col Riss II di S. Giacomo (Pontida; limite orientale della Carta). Più ad oriente, essa continua nella pianura di Bergamo. Ne consegue, che il « livello fondamentale della pianura », attribuito dagli autori a diverse età (*) viene a spettare al Singlaciale rissiano ; invece, il Singlaciale tour- Villa Monte M. Orobio Riss 1J Resegone d’Adda dei Frati Riss II RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 103 I • l: - rrz. e C..U' t w ® > o © 1- c Q K ?H 1 0) 1 ci o -^1 4— 1— « ' OQ ci S ci © V — , ci N fsi ^4 o oT ci N ,Sm (M (M. •*s» © ■ © © r J <1 4-^ O co "® rfi n © 1m e ? 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Zenone (m. 316)-sopra Piazza (nu 323), sino a Rossera (m. 350). L’abitato stesso, come risulta anche dalla Tav. I, fig. 2, è situato sul cordoncino morenico, se pur molto attenuato. La successiva fronte — Riss IV — , di altri 500 metri più interna, si trova sulla quota 291, risultando di 25 metri inferiore: alquanto più marcata della precedente, si sviluppa, con un gra¬ dino d’una ventina di metri sul terrazzo sottostante, nella zona di Piazza d’Adda: qui, la grande chiesa e l’abitato risultano allineati sul cordone, sopraelevato di una diecina di metri e sub- parallelo alle cerehie più esterne (Tav. I, fig. 2). Esso si svi¬ luppa a sud, calando gradatamente di quota e costituendo la scarpata del terrazzo singlaciale Riss IV , sino all’ Adda: qui, ad ovest del M. Giglio, è ancora conservatala collinetta morenica, a quota 254, testimone della fronte. Questo piccolo rilievo, nella mia nota preliminare (63), era raccordato col cordoncino di Ca- destòre — Riss V — , che all’altimetro risulta di pochi metri su¬ periore. Di conseguenza il corrispondente terrazzo di dilavamento fluvio-glaciale venne allora attribuito al Singlaciale Riss V : in¬ vece, quest’ ultimo sistema, il più basso e recente del Riss, rimane più interno, nel cucchiaio di sovraescavazione ; esso, verso la fronte, sulla sinistra dell’Adda, risulta più basso di una dozzina di metri [Carta). Ad ovest dell’Adda, il Riss IV risulta addossato al Riss III , a costituire un unico e più forte cordone a semicerchio, svilup¬ pato da C.na Monsereno a Villa Modigliani, sulla quota 310 : esso si ritrova più ad ovest, sempre 500 metri all’ interno del Riss II, nella zona Montalbano-S. Rocco (m. 310). RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 105 L’unione dei due cordoni morenici, ad ovest dell’ Adda, sta a dimostrare, che, quivi, il ritiro della fronte glaciale rissiana fu più lento che non ad est. Terrazzi, singlaciali Riss III e IV. — Nella zona di Villa d’ Adda, il ritiro glaciale del Riss //, unito al dilavamento flu¬ vioglaciale della fronte del Riss III , diedero luogo al terrazzo di Volpino, m. 312-S. Zenone, m. 316-Rossèra, m. 350 ; esso de¬ grada regolarmente da nord a sud, ed appare evidente anche dalia Tav. I, fig. 2 (n. 3'. Può venir attribuito al medesimo si¬ stema il terrazzo di C.na Lugarini (m. 241), ad ovest di Solza ; esso risulta infatti inciso, con scarpata di 5-10 metri (Carta), rispetto alla grande piana del Siri glaciale Riss IL Nell’ anfiteatro di Villa d’Adda, il sottostante terrazzo (n. 4), conseguenza del ritiro successivo e del dilavamento fluvioglaciale della fronte Riss IV, è sviluppato nella zona di Borgo-Piazza d’Adda, sulla quota 310-290. Sulla mia Carta, i due terrazzi, con dislivello di circa 20 metri, sono indicati, per semplicità, col medesimo colore ; è però segnata la scarpata, che li separa. Il terrazzo inferiore, esterno al Riss IV, si sviluppa al sud, sino al M. Orobio, sulla sinistra dell’ Adda (m. 260-250) ; esso, sospeso dai 70 ai 60 metri, appare evidente anche a Tav. I, fig. 2. Sul versante orientale del M. Orobio, sulla destra dell’ Adda, risulta corrispondente il piccolo terrazzo col pilone della condut¬ tura elettrica ad alta tensione (m. 250) : in questa zona, su ambedue i versanti dell’ Adda, è tuttora conservato il cucchiaio di sovraescavazione della lingua glaciale estrema del Riss II (Tav. I, fig. 1 ; Tav. II, fig. 1). Ad ovest dell’ Adda, essendo il Riss I V addossato al Riss III, a costituire un unico cordone, il corrispondente terrazzo esterno, di dilavamento è unico (sulla quota 305). Il terrazzo del Singlaciale Riss IV, sulla sinistra dell’ Adda, risulta di circa 18 metri in¬ feriore a quello del Singlaciale Riss /-II, come appare anche dalla Tav. II, fig. 1 (terrazzo n. 2) : tale quota sta a testimoniare l’abbassamento dell’ Adda, dal Riss II al Riss IV, all’inizio della « fase cataglaciale » (vedi Storia geomorfologica). Il medesimo sistema terrazzato riappare quattro chilometri più a valle, sulla sinistra dell’ Adda, nell’ antico meandro incas¬ sato di Medolago. Il ripiano, illustrato sulla Carta ed a Tav. II, fig. 2, è sviluppato da 200 a 210 metri, risultando pure di 18 106 S. VENZO metri inferiore alla piana terrazzata del Singlaciale Riss III i zona di case. Lugarini, m. 241-225) e di circa 50 metri sospeso sul letto dell' Adda (m. 153). Riss V. — Sotto il Riss 1 V di Piazza d’ Adda, è presente un altro marcato gradino morenico parallelo, con debole cordone sopraelevato: esso forma la lunga ed attenuata collinetta, sui 255 metri, in corrispondenza della quale sono allineate le cascine Cadestòre-Stallo-Caderico, e, poco a nord, 1’ abitato di S. Giovanni. Ad ovest dell’ Adda, risulta corrispondente Y attenuato dosso, si¬ tuato a SE di Garavesa ; subparallelo al più esterno e grande cordone C.na Monsereno-Villa Modigliani, esso risulta, a sua volta, di alcuni metri superiore al terrazzo ghiaioso di Imbersago [Sin¬ glaciale Wurm I-Il). La debole cerchia esaminata, talora con argille giallo-ocra, parallela al Riss IV , fa parte- del medesimo anfiteatro ; è attri¬ buibile perciò a stasi transitoria, della fronte glaciale rissiana in ritiro. La contraddistinguo, anche sulla Carta ed a Tav. I, fig. 2, come Riss V : essa trova perfetta rispondenza nelle morene late¬ rali, insinuate, di Val S. Martino e di Rovagnate (vedi in se¬ guito) (*). Terrazzo singlaciale Riss V. — Il dilavamento fluviogla¬ ciale della fronte più interna e più bassa del Riss, formò il lungo terrazzo, sviluppato da S. Giovanni sino al M. Giglio : esso è di 20-12 metri inferiore al singlaciale Riss IV. Credo attribuire al medesimo sistema terrazzato il ripiano a sud di Garavesa ( Carta ), pure all* esterno del Riss F; esso si trova infatti a quota 260-255, cioè a circa 60 metri sull' attuale letto dell’ Adda (m. 189-186). Morene laterali insinuate in Val di S. Martino (Pontìda) nella zona di S. Antonio. — Il massimo cordone rissiano ( Riss //), dalla zona di Villa d’Adda, si sviluppa a nord, a Gavardo, sul 0) Non può perciò sussistere alcun dubbio sull'origine del cordon¬ cino inferiore di Villa d’Adda, il Riss V ; esso è testimonio di cerchia morenica, se pur attenuata, e non di collinetta secondaria, dovuta a suc¬ cessiva erosione di ampi meandri dell’ Adda. Non è improbabile, tut¬ tavia, che 1’ Adda, nel Singlaciale wiirmiano , divagando per la piana interna al M. Giglio, sia andata a lambire il cordoncino inferiore del Riss (vedi Storia geomorfologica). RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL5 APPARATO MORENICO ECC. 107 versante occidentale del M. dei Frati, pur essendo in parte dila¬ vato. Esso continua a nord del monte, dove è invece molto ben conservato, sui 500 metri, e sbarra la depressione terrazzata di Fàida, m. 451. Le ridotte morene sparse sul versante settentrio¬ nale del monte, all’esterno del Riss II , possono rappresentare il Riss /, molto dilavato {Carta). Scendendo, ad est, in Valle S. Martino, potenti morene late¬ rali rissiane, abbastanza alterate, sono presenti sopra Cà dei Grotti e sopra S. Giuseppe, sino a 350 metri. Ad est, il morenico scende sempre più di quota, sino a raccordarsi coll’ attenuata fronte principale {Riss 77), che sbarra la valle, a S. Giacomo (Pontida), ed è superata dalla ferrovia per mezzo di galleria : la chiesa, col convento, a quota 313, si trovano proprio sul culmine. Qualche centinaio di metri all’esterno, sul versante sud della valle, è pre¬ sente qualche ciottolo, che testimonia, probabilmente il Riss /, asportato dal potente dilavamento fluvioglaciale del Riss IL Non osservai, più all’esterno e più in alto, traccio di Mindel, com¬ pletamente dilavato per la strettezza della valle. All’interno della fronte di S. Giacomo, si osservano i testi¬ moni dei soliti tre stadi di ritiro rissiano : il cordone attenuato di Pontida {Riss 7Y7), a circa 500 metri ; quello Cà dei Crotti- est di Fontana Fredda (sui 300 310 m.), di altri 700 metri più in¬ terno {Riss IV)] infine, il debole cordone Drizzago-Fontana Fredda (sui 310-290 m.), di 600 metri ancor più interno {Riss V). Questo ultimo è ben evidente, se pur attenuato, sui due versanti, ed in¬ terrotto soltanto sul fondovalle. Il Riss IV ed il Riss V si riu¬ niscono, ad ovest, sotto Faida, a costituire un unico cordone la¬ terale, addossato alla base del Riss II , sui 400 metri di quota ; esso è evidente sopra il ripiano di Cambirago, dove forma un gradino {Carta). Il ridotto Riss V , sul fondovalle, si trova a soli 400-600 metri, all’esterno del potente e fresco cordone morenico di Cisano ( JVurm I). A nord della vallata, morene rissiane laterali, con grossi erratici, costeggiano, in basso, il ripido versante sud-occidentale del Col Scarlàsc ; zona di Pontida-Fontana Fredda-Bema, sino ad Ombria e Celanella. Queste ultime morene formano un cordone, a quota 425, che sbarra l’antica piana argillosa lacustre del Sin- glaciale Riss I. Infatti tale cordone, non molto potente, è attri¬ buibile al Riss /, dato che viene a trovarsi all’esterno e più in 108 S. VENZO alto del cordone principale Caprino-S. Antonio ( Riss II). Le mo¬ rene dilavate e sparse, che si trovano ad Ombria e Celanella- Celana, all’ esterno del Riss I ed a quota superiore, possono rap¬ presentare, forse, il Mindeliano (quota 410-425): il chè sembra convalidato dall'assenza di ciottoli calcarei e dolomitici. Il cordone morenico principale — Riss li — costituisce il sistema collinoso, a dolce morfologia, sviluppata a N di Caprino (sui 380 m.), sino a S. Antonio (m. 410) e Casale (m. 425 1 ; qui si addossa al Flysch. Singìaciciìe Riss /-//. — Il ‘dilavamento della fronte prin¬ cipale del ghiacciaio — Riss li — , diede luogo: all'alto terrazzo di Fàida (m. 451) ; al fondovalle, con ciottoli valtellinesi ed ar¬ gille giallastre, ad est di S. Giacomo (m. 300). Questo sistema viene perciò a corrispondere, cronologicamente, a quello esterno alle fronti rissiane dell’ Adda (« livello fonda mentale della pia¬ nura' »). Nella zona di S. Antonio, spetta al medesimo sistema la piana argillosa, sui 410-400 m. sviluppata da Prada-Perlupario- Bleggio, sino a Celana vecchia : il ghiacciaio prima ed il cordone morenico del Riss //, poi, sbarrarono l’ampia conca, causando la formazione di un lago marginale : questo si venne man mano colmando di argille azzurre, con qualche ciottolo morenico. L' al- ternanza di straterelli argillosi ed argilloso-sabbiosi, forse con¬ nessa a deposito stagionale, rispettivamente invernale ed estivo, ricorda le varve glaciali dei bacini lacustri scandinavi (De Geer i, 11). L'alto torrente Sommaschio, tra Celana e Prada, incide le argille per circa 40 metri, e, sul fondo, appaiono grossi erratici valtellinesi (specialmente di serizzo gliiandone ). Nel 1928, Desio (bibl. 14, 15), ebbe a studiare questo depo¬ sito lacustre, che delimitò sulla Carta dell' Albenza, attribuen¬ dolo all’inizio del Wùrm (Q : non distinse invece le argille la¬ custri di Celanella-Ombria (m. 405), dove appare segnato il mo¬ renico wurmiano. Quest’ultimo bacino, con piano argilloso assai meno esteso di quello di S. Antonio, essendo sbarrato dal Riss /, deve attribuirsi al corrispondente singlaciale ( Carta e Storia geomorfologica). Naturalmente, il deposito delle argille di S. An¬ tonio potè perdurare sino al ritiro del Piss e forse anche dopo. (M Nel 1928, non venivano ancora distinte, in Lombardia, le mo¬ rene rissiane dalle wtirmiane ; tutto il morenico tipico si soleva attri¬ buire, in genere, all’ ultima glaciazione, la wurmiana. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 109 Contemporaneo a quello di S. Antonio, risulta il bacino ar¬ gilloso lacustre, di Carenno fin. 620), che è pure marginale: esso, situato circa sei chilometri più a NO (estremo occidentale del Foglio Bergamo , Tav. Palazzago), è infatti sbarrato dal cor¬ done morenico principale del Riss. Singlacìale Riss Ill-V. — Similmente a quanto si vide per per la zona dell’Adda, il ritiro glaciale del Riss file IV, nonché il successivo dilavamento esterno alla fronte, determinarono la formazione del sistema terrazzato Drizzago (m. 340)-Pontìda (m. 300) ; esso risulta sospeso di parecchi metri sul sistema del Sin- glaciale Wurm I (piana argillosa lacustre di Bondì, m. 270) : similmente si formò anche il terrazzo di Caprino (m. 312). Questo ultimo, con forte scarpata a sud, risulta sospeso di una ventina di metri sulla sottostante piana del >S 'in glaciale Wurm I (m. 270- 280) ; e quest’ ultima è, a sua volta, di una dozzina di metri su¬ periore alla piana di Cisano, del Singlacìale Wurm III ( Carla ). L’apparato rissiano insinuato, ad ovest, nella valle di S. Maria di Rovagnate, tra il Montevecchia ed il M. S. Genesio. — Il mar¬ cato cordone morenico del Riss fi forma lo sbarramento bifronte della zona di S. Giorgio; Crescenzaga-Roccolo- Ospedale di S. Ma¬ ria, allo spartiacque tra la Bevera, ad ovest, e la Molgora, ad est. Qui, il ghiacciaio dell’Adda di Lecco s’incontrava con quello, più potente, che proveniva dalla Valmadrera ; ciò è dimostrato dal marcato semicerchio morenico, sviluppato da S. Maria Hoè ad Hoè superiore, e con concavità verso Rovagnate. Su ambedue i versanti, le distinte lingue glaciali abbando¬ narono una forte morena mediana : quella di S. Giorgio-Rova- gnate, ad ovest, e quella Belgiglio-Albareda, ad est. Il ramo, poco potente e sottile, di Lecco, nel ritiro, depositò le solite tre serie di deboli collinette moreniche trasversali, sui 335-340 metri : 500 metri all’interno del Riss II, lo sbarramento Sara-Albareda ( Riss III) ; ancor 700 metri più ad est, la morena di Castellago- Montalbano (Riss IV): infine di altri 500 metri più interna è la collina di Monticello (Riss V). Ad oriente, circa 800 metri, tutta la vallata è potentemente sbarrata dal colle morenico tra¬ sversale Pilata-Buonmartino (m. 366), testimonio del Wurm l-II {Carta). Singlacìale Riss III-V. — L’esteso terrazzo di Sara-Castel- lago, sospeso di 25-30 metri sulla piana argillosa di fondovalle 110 S. VENZO ( Singlaciale Wurm /-//), nonché la piana Bosco-Monticello, sona connessi col ritiro della fronte glaciale del Riss li e col dilava¬ mento esterno delle successive fronti di ritiro. Interglaciale Riss-Wiirm. — I depositi fluviali di questo periodo sono pochissimo rappresentati, perchè doveva prevalere, di gran lunga, la fase erosiva. Potrebbero spettare a questo pe¬ riodo le ghiaie, un po’ cementate, essenzialmente calcaree, ma contenenti anche ciottoli centralpini, che affiorano, sotto il mo¬ renico wurmiano ( Wurm /-//), alla Cava della Pilata: sono sub¬ stratificate, potenti circa una diecina di metri, e basate sul Cre¬ tacico superiore. Dopo il ritiro rissiano ( Postglaciale Riss V ), è verosimile che l’Adda abbia formato un lungo lago, nella zona sovraesca- vata ; similmente a quanto avvenne, più tardi, dopo il ritiro del Wurm : il bacino lacustre poteva essere molto sviluppato, a nordr forse sino a tutto l’attuale Lago di Como. Non sono visibili nell’incisione dell’ Adda le argille lacustri, probabilmente asportate dalla successiva erosione. Infatti l’Adda, assai ricca d’acque, entra, -Ari seguito, in fase di erosione, inci¬ dendo, più a sud, anche il ceppo villafranchiano; fenomeno dovuto forse a sollevamento interno, connesso, probabilmente, a contem¬ poraneo abbassamento della sinclinale padana, per sovraccarico di alluvioni. Unay prova della potente erosione interglaciale dell’ Adda connessa anche colla « fase cata glaciale » è data dal ter¬ razzamento del meandro incassato di Medolago-Porto inferiore (Tav. II, fig. 2), al limite SE della Carta. Quivi, il terrazzo del Singlaciale Riss IV , si trova sui 200 metri; quello del Singlaciale Wurm /-// scende sino a 180 metri e quello del Singlaciale Wurm II /, scende a 170 : ma la base della scarpata di quest’ ultimo terrazzo è costituita da ghiaie centralpine poco cementate, che nulla hanno a che vedere col ceppo calcareo com¬ patto del Villafranchiano. Ciò è ancor più evidente sulla riva occidentale, circa 500 metri a sud della Centrale elettrica di Porto inferiore : quivi, la cava, che interessa la base della scarpata del terrazzo singlaciale Wurm I- If mostra ghiaie fresche, ad ele¬ menti calcarei e centralpini, appena cementati. Ciò sta a dimo¬ strare, che l’erosione interglaciale dell’ Adda giunse, per lo meno, al livello attuale, incidendo il suo canon , nel ceppo compatto,, di altri 40 metri e più. RILEVAMENTO GEOMOR FOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 11 1 L’ apparato morenico wiirmiano. — Aiiche dalla Carta risaltano evidenti tre fronti principali, seguite da una quarta, più interna e molto più debole, già di marcato ritiro : due deboli cerehie moreniche di fondovalle, ancor più interne, sono presenti a nord di Brivio, sino a Lecco. Tra le fronti principali appaiono intercalati cordoni minori. Wilrm /. — La più esterna e nel contempo la più potente morena frontale wùrmiana, costituisce 1’ alta collina di Lomeda, m. 352, e quella di Mombello, m. 340-328. Questa cerchia, in¬ completa, parzialmente erosa, e quasi addossata al basso ed alte¬ rato cordone del Riss III-IV , deve coprire il Riss V , presente infatti poco ad est (Fig. 2, in testo). Nella zona Imbersago- Villa di Basso, le morene frontali del Wilrm /, già dilavate dallo scaricatore glaciale, vennero poi asportate dall’ Adda, mentre più a NE si addossano al Monte dei Frati : sul versante settentrionale, è ben evidente il cordone mo¬ renico laterale, che sostiene il ripiano di C.na Cambirago, m. 388. Ad oriente, esso si abbassa in Val di S. Martino, dove, interrotto dal torrente Sonila, riappare appena a nord di Cisano : qui, costi¬ tuisce la potente e freschissima morena frontale, colla caratteri¬ stica Torre, m. 320 (Foto a fig. 3 in testo). Poco a nord, presso Tronchèra, m. 340, il Wilrm I si appoggia al colle di calcari albiani : ne consegue, che tutto il morenico presente a NE, al- l’ esterno ed a quota superiore, deve spettare al Riss. Wilrm IL — La seconda cerchia, di poco interna alla pre¬ cedente, e più continua, appare bilobata frontalmente, per la presenza delle formazioni cretacico-eoceniche, sulle quali si ap¬ poggia ( Carta e spaccato a Fig. 2 in testo). Esso comincia ad ovest della Carta , colla potente collina della Pilata (m. 366)- Bonmartino, che sbarra la vallata di Rovagnate : la collina è così marcata, perchè dovuta ai depositi morenici, riuniti, del Wùrm I e //, che costituirono un unico grande cordone. Esso è molto fresco, come risulta nella cava della Pilata e nella frana, a bosco, sita sotto C.na Bonmartino (versante di Olgiate). E rac¬ cordabile il morenico, presente poco a nord, sulla medesima quota, sopra la cava di calcari da cemento : dilavato ed eroso nella de¬ pressione ad est di Monticello, esso poteva attestarsi, verosimil¬ mente, alla collina santoniana di S. Donnino. 112 S. VENZO Il cordone della Pilata, eroso a sud dalla Molgora ed af¬ fluenti, mi sembra raccordabile coll’ alta collina morenica, alli¬ neata da Cicognola-Sartirana (m. 366)-Vescogna (m. 378)-Calco superiore (m. 384-361) : essa devia quindi a SE, sviluppandosi a Lacchiacluro Vaicava Tronchèra : M. Tesoro , Uccelliera Fig. 3. — Il terrazzo, del Singlaciale Wiirm III , di Cisano (visto dal sud, di primo mattino): esso è sospeso con ripida scarpata cepposa sul fondovalle del Sonna, coi mulini. A nord di Cisano, il potente cordone morenico, assai fresco, del Wiirm /, colla caratteristica Torre, sviluppato a NO sino a Tronchèra. Ad est della Torre, l’incisione del Sonna; al di là, il terrazzo, singlaciale Riss III-IV, di Caprino. Sopra, il cordone morenico principale del Riss (Riss II), coll’ Uccelliera, notevolmente più esterno e più alto del Wiirm I. 11 cordone di Cisano, sbarrò il bacino lacustre, ora argilloso, di Bondì-Pontida, ad est della foto, attribuito perciò al Singlaciale Wiirm I. C.na Roncacelo (m. 361) -C.ua Grugano (m. 340)-C.na S. Martino (m. 327), sino a Bellavista, sopra Madonna del Bosco. Qui, il po¬ tente cordone morenico, basato sul Campaniano-Santoniano, si appoggia al costone di calcari del Maestrichtiano (Scaglia ci¬ nerea e Scaglia rossa) e dell'Eocene (Spaccato a Fig. 2 in testo). Più ad est, il Wiirm II, asportato dall’ Adda, finisce colPad- dossarsi al Wiirm /, sul ripido versante occidentale del Monte RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DALL’APPARATO MORENICO ECC. 113 dei Frati, che è ricco di grossi erratici. Nella Val di S. Martino, può corrispondere il cordone morenico di Lacchiaduro im. 325), poco ad ovest di Cisano, che si trova a soli 300 metri all’ interno del Wurm I [Carta). Altri 200 metri più all’interno, troviamo un cordone più basso (m. 290-320) e subparallelo : quello ad est di Villasola, che è interessato dalla trincea ferroviaria della linea per Lecco. Esso potrebbe corrispondere al cordone secondario del lobo occidentale del ghiacciaio : Olcellera-Grancia-Caleo inferiore, intermedio tra il Wurm II ed il III (vedi in seguito). Singìaciale Wilrm I-II. — Il dilavamento fluvioglaciale delle due più esterne ed antiche fronti del ghiacciaio wurmiano, in espansione, diede luogo all’alto sistema terrazzato : piana supe¬ riore di Sartirana inf.-Sabbioni, sui 325-315 metri ; terrazzo, assai ampio, di Imbersago, sui 240-232 metri. Quest’ultimo risulta inferiore di una dozzina di metri rispetto al terrazzo del Singla- ciale Riss V, e sospeso di almeno una quarantina di metri sull’ Adda (m. 189); trova scarsa corrispondenza ad oriente dell' Adda, dove fu quasi completamente dilavato ed asportato ; riappare però in Val S. Martino (vedi in seguito). Il sistema è sviluppato 4 chilometri più a valle d' Imbersago, nel meandro incassato di Medolago-Porto inferiore : come appare dalla Carta e dalla Tav. II, fìg. 2, vi spetta il grande terrazzo sui 200-180 metri, di Cascina S. Giuliano, nonché la piana di Porto inf,, pure sospesa di 40 metri sull’ Adda. Il terrazzo si svi¬ luppa a sud di Porto, in Val di Bagno (appena a sud della mia Carta), dove è inciso per 30-40 metri dai meandri incassati del- l’ Adda. Nella Valle di S. Martino, spetta al Singìaciale Wilrm 1 l’alto ripiano di Cascina Cambirago (m. 388-360), nonché il ter¬ razzo ad est di Cisano (m. 281), dilavamento evidente del Wilrm I. Quest’ultimo terrazzo risulta di una ventina di metri inferiore al terrazzo del Singìaciale Riss III-IV di Caprino. Al medesimo sistema deve attribuirsi l’alto terrazzo, svilup¬ pato sopra alle argille lacustri, sino a Pontìda 'Carta). Credo attribuire a fase di ritiro della fronte glaciale del Wilrm II , ed a conseguente dilavamento, i depositi ghiaiosi, po¬ chissimo cementati e con lenti sabbiose, che sono interessati dalla 8 114 S. VENZO grande cava a NNO di Ariate. Essa si trova a circa un chilo¬ metro dal paese, lungo la stada per Pomeo (quota 243 della Carta. : ): la potente formazione, sezionata per una ventina di metri ( sino a m. 265 circa, di quota) presenta strati suborizzontali, talora incrociati. Non si osserva una sovrapposizione del soprastante cordone morenico del Wurm //; sembra perciò più probabile, che il fresco deposito fluvioglaciale sia appoggiato all’interno dell'alto cordone, similmente a quanto avvenne nella zona di S. Zeno, al ritiro del Wurm III. La formazione in esame si trova ad oltre 20 metri al di sopra della piana di dilavamento del Singlaciale Wurm III. risultando perciò precedente. Le argille lacustri del Singlaciale Wurm I di Bondì-Pon- tida. — Nella valle di S. Martino, la fronte glaciale del Wurm 1. e poi il corrispondente cordone morenico, sbarrarono il fondovalle, a Gisano; ad est, si formò così un bacino lacustre marginale, sviluppato sino a Pontida. Qui, esso era sbarrato dalle morene frontali rissiane, e particolarmente dal Riss II di S. Giacomo, che costituisce lo spartiacque tra il bacino del Sonna, ad ovest, e quello del Lordo, ad est. Il livello della piana argillosa lacustre è sui 280-270 metri ; sono ancora conservati dei lembi del terrazzo superiore. Un'in¬ teressante sezione geologica si osserva nella grande cava delle « Fornaci Magnetti », a Bondì, dove affiorano circa 20 metri di argille azzurrognole, a sottile stratificazione orizzontale, con interstrati leggermente più sabbiosi. La formazione è sterile ; solo verso l’alto, appare qualche frammento, assai raro, di ramo¬ scelli leggermente lignitizzati. Il deposito ricorda le varve sve¬ desi, recentemente illustrate dal Le Geer, che se ne valse per stabilire una dettagliata geocronologia del Quaternario ( Geochro - nologia Suecica , 1940) (Q. 0) Essa è basata sulla regolare alternanza di straterelli argillosi e sabbiosi, scuri e chiari, nelle varve lacustri, glaciali: come gli anelli degli alberi rappresentano cicli annuali, così le varve si formarono nelle regioni con accentuato scioglimento stagionale della fronte glaciale, in laghi od in bacini salmastri. Gli strati argillosi, più sottili e più scuri, si depositarono in autunno-inverno, mentre quelli sabbiosi, più grossi e più chiari, si formarono nella stagione estiva, quando il ghiaccio si scioglieva. La serie stratigrafica delle varve permise al Le Geer di datare ad 8000 anni fa 1’ ultimo ritiro glaciale della Svezia, e di risa- RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 115 Sopra le argille, si trova copertura di qualche metro, a sabbie argillose gialle e ciottoli morenici, dilavati dalle circostanti mo¬ rene rissiane. Desio (bibl. 14, 15), pensò, che tutta la piana di Gisano-Cà Volpi fosse dovuta a deposito lacustre del Singlaciale wurmiano , lago sbarrato ad ovest dal cordone morenico Odiago-Mura (mio Wurm III). Però, come in seguito spiegato, il terrazzo di Cisano, sui 260-253 metri, non può essere conseguenza del medesimo col- mamento lacustre, anche perchè, al di sotto, invece delle argille è presente una potente formazione cepposa : le argille lacustri si trovano soltanto all’ esterno del Wurrn I: ed a quota di almeno una decina di metri superiore. L’Esposti (19, p. 178), opinò invece, che le argille in esame . per la copertura di morenico recente, potessero attribuirsi all’Inter¬ glaciale. Vedemmo tuttavia, che si tratta di morenico dilavato, non dal Wurmiano, ma dal soprastante Riss V, di Fontana fredda; mancano inoltre, nelle argille, la caratteristica malacofauna, nonché le latifoglie, interglaciali. Inoltre, quale avrebbe potuto essere lo sbarramento del bacino, nell’ Interglaciale Riss-Wùrm, quando i cordoni wùrmiani non si erano ancor depositati? La mancanza di ciottoli morenici, nelle argille di Bondì, è probabilmente dovuta alla notevole distanza dallo sbarramento del Wurrn I ( Carta ) : del resto anche a S. Antonio e nelle varve scandinave, mancano generalmente i ciottoli. Argille lacustri del Singlaciale Wurrn I-II della piana sotto Albareda-Casternago (= Castellago). — Nell’angolo nord- occidentale della Carta , la piana di fondovalle, coltivata a prati, è costituita da argille azzurre, che affiorano per poco nei fossi. Quest’ antica depressione lacustre, è, verosimilmente, connessa col potente sbarramento, prima glaciale e poi morenico, della Pilata ( Wurm l-II). Le argille risultano perciò, all’ incirca, contempo¬ ranee a quelle di Bondì. La fase lacustre potè perdurare dopo il ritiro della fronte glaciale, sino alla fine del Wiirm; e, per la posizione assai bassa, forse anche dopo, nell’ Alluvium antico. lire nella geocronologia a 15000 anni fa. La presenza di diatomee e pollini fossili nelle varve, danno importanti dati climatici; e così pure la presenza dell ' Ancylus fiuviatilis , indice di clima dolce. Le varve sono studiate dal De Geer anche sul versante settentrionale delle Alpi. 116 S. VENZO Cordoni morenici secondari intercalati tra il Wurm II eo. 1 il Wurm III. — Nel lobo occidentale, si trovano cordoni secon- ' * dari, di ritiro, all’interno del Wurm II: infatti il marcato cor¬ done a semicerchio dell’ Olcellera, che giunge ad appena 326 metri, testimonia una fronte un po’ più interna e più bassa del Wurm l-II , della Pilata ; già di ritiro, al limite superiore del più in¬ terno cucchiaio di sovraescavazione {Carta). Al di sotto, un pic¬ colo anfiteatro morenico, con altra cerchietta secondaria lungo la ferrovia, degrada sino al Wurm III di S. Zeno (chiesa, m. 264). Il cordone dell’ Olcellera, sembra trovare corrisjjondenza, più a SE, con quello di Grancia (m. 320)-S. Vigilio, colla grande chiesa (m. 290)- Calco inf. (m. 300-320) ; cordone a forma di S, che si trova pure al limite superiore del cucchiaio di sovraesca¬ vazione, all’esterno e sopra il Wurm III ; esso costituisce lo spartiacque tra 1’ alta valle della Molgora, a sud, e la depressione di Beverate, a nord. Poco all' esterno del cordone morenico esaminato, ma sempre all’ interno della potente cerchia del Wurm II , sono allineate le deboli collinette moreniche, indicate sulla Carta : ad ovest dei- fi Olcellera, lungo lo stradone per S. Biagio, i due piccoli rilievi isolati ; a SO del cordone Grancia-S. Vigilio, i resti di due distinte cerchiette subparallele. Il cordoncino di Olgiate, ad ONO della stazione, e quello sito circa 1 km. a SO di Pomeo, testimoniano la più esterna ; le tre collinette Cornello-Campo, sopraelevate di una decina di metri, costituiscono la più interna. La piana, in¬ dicata sulla Carta come Sin glaciale Wurm III , essendo dovuta al dilavamento fluvioglaciale delle tre fronti, più esterne e più alte del Wurm III , risulta un po’ più antica. Il dilavamento della fronte di Olgiate, la più esterna, diede luogo al terrazzo dell'a¬ bitato, sopra la stazione, che è sospeso di 7-8 metri, (E di Ca¬ nova della Carta). Queste deboli cerehie, trovano rispondenza, più ad oriente, nella cerchietta secondaria, conservata a nord di Ariate {Carta)] anch’ essa infatti risulta esterna al Wurm III , bilobato. W urm III. — Il terzo cordone frontale del Wurm è bilo¬ bato, per la presenza, a metà valle ed a nord di Brivio, dello sprone a calcari albiani di Foìno-C.na Botto-Bastiglia. Il lobo occidentale è costituito dal marcato arco morenico, sviluppato a metà valle ; da Foìno, m. 236-colle di Vaccarezza, RILEVAMENTO G EOMORFO LOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 117 m. 288-Foppaluèra, m. 268, sino alla C.na Boffalòra, m. 263: qui, il cordone è sormontato, con erto tornante, dallo stradone statale di Lecco, che sale dalla zona interna sovraescavata. Più ad ovest, il cordone, appoggiato al versante settentrionale del colle, a cal¬ cari campaniani, di Grancia-Olgiate, si sviluppa sino alla chiesa di S. Zeno, m. 264 : sul suo versante interno, sono appoggiati potenti depositi di sabbie gialle, stratificate, con piccole interca¬ lazioni di ciottoletti alpini. Essi vengono interessati dalla cava di sabbia, dietro l’abitato del Molinetto, rispettivamente, da quella presso la chiesetta di S. Carlo. Tali depositi, sviluppati per al¬ meno una ventina di metri, possono attribuirsi a deposito lacustre litorale, in bacino a vita breve, sbarrato a nord dalla fronte gla¬ ciale wùrmiana, in ritiro. Infatti, la debole cerchia morenica di Beverate, presente poco a nord, è molto più bassa; benché ora ri¬ sulti dilavata, essa non può, perciò, aver sbarrato il bacino lacu¬ stre, evidentemente singlaciale. Lobo orientale : a S di Brivio, il cordone morenico costi¬ tuisce l’alta scarpata occidentale dell’ Adda, lungo la strada per Ariate, sviluppandosi nella zona di C. Ronco-Toffb, sino al Mu¬ lino di Ariate. Interrotto in corrispondenza dell’ Adda, esso, molto dilavato, riappare nella bassa zona collinosa, di morenico fresco, posta al limite settentrionale del terrazzo di Villa di Basso {Carta). Qui, (quota 235 della Carta), è ancora conservato il piccolo e dilavato anfiteatro morenico, degradante nel cucchiaio interno, so¬ vralluvionato, della bassa piana ghiaiosa di Brivio. Ad ENE, il cordone, assai marcato e continuo, costituisce 1’ ultima propaggine collinosa del M. dei Frati ; esso è ben evidente, lungo lo stra¬ done Villa di Basso-Cisano, sulla sinistra, sino oltre l’abitato di Odiago, m. 262. Eroso dal torrente Sonna, esso riappare a nord, a C.na Zuccallo-Mura, m. 261, dove è scavalcato dallo stradone Brivio- Cisano ; poco a nord, si appoggia ai calcari albiani del Ceregallo (Fig. 4, in testo). Deve attribuirsi alla medesima fronte il marcato cordone, sulla quota 265, che sbarra la valletta ad est del Ceregallo, a poco più di un chilometro a nord dell’abitato di Villasola: esso è tagliato dalla trincea della ferrovia Cisano-Lecco. > — • ~\ Singlaciale Wurm III. — Il dilavamento fluvioglaciale della fronte Wurm III , in espansione, diede luogo all’estesa piana ghiaiosa della zona di Ariate, m. 233- Villa di Basso, mT237-S. Mar¬ tirio, m. 233 -S. Andrea, m. 236; più a sud, essa si sviluppa, su 118 S. VENZO ambedue i versanti, sino alla stretta M. Orobio-M. Giglio l’aria), mantenendosi sui 212 metri ; risulta di circa 20 metri inferiore al terrazzo, del Singlaciale Wurm /-//, di Imbersago, e sospesa di 25-30 metri sull’ Adda. Fig. 4. — Il terrazzo ghiaioso di Villasola-Cisano, con scarpata cepposa, di circa 20 metri, sul fondovalle del Sonna, coi mulini ; al di qua, in primo piano, il corrispondente terrazzo di Odiago. Il terrazzo di Cisano è sbarrato ad ovest, dal cordone morenico di C.na Zuccallo - Mura ( Wurm III)] deve attribuirsi perciò al corrispondente Singlaciale. Ad est, sopra l’abitato di Villasola, il cordone morenico del Wurm /, esterno di circa un chilometro ; di poco più interno, il cordone di Lac- chiaduro, appena ad est della foto. Ad ovest del cordone di Mura, la zona sovraescavata e terrazzata, che scende all’Adda di Brivio. In basso il fondovalle alluvionale del Sonna, connesso anche col dilavamento fluvio¬ glaciale del W urm IV. Al medesimo sistema spetta il terrazzo, sui 170 metri, incas¬ sato nel meandro di Medolago (Molino di Sopra; Carla e Tav. II, fig. 2); esso risulta infatti di una decina di metri inferiore al terrazzo di Case. S. Giuliano-Porto Inferiore ( Singlaciale Wurm i-iru e sospeso di circa 20 metri sull’ Adda. Nella vallata di S. Martino, il dilavamento esterno della RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 119 fronte glaciale Odiago-Mura (Wurm III ) causò un potente de¬ posito ghiaioso, forse all’inizio lacustre, con grossi ciottoli mo¬ renici; si formò così l’esteso ripiano singlaciale di Cisano, sui 260-253 metri ( Carta e fig. 4 in testo). Infatti la ripida scarpata sul Sonna è costituita, sino al basso, da deposito cepposo gros¬ solano, potente 15-20 metri. Il terrazzo risulta di circa 10 metri inferiore alla piana lacustre del Sin glaciale Wurm I di Bondì e sospeso di circa 20 metri sul fondovalle del Sonna. Perfettamente corrispondente, a sud dell’incisione del Sonna, è il terrazzo allungato di Odiago, sui 260 metri. L’alto terrazzo Cisano-Odiago, sospeso di 55-60 metri sull’ Adda, finisce per rac¬ cordarsi, al sud, colla piana di Villa di Basso (m. 237). Wurm IV. — Questo cordone morenico, di óltre un chilo¬ metro più interno al Wurm III , è molto attenuato, assai più basso, ma sempre regolarmente bilobato. Esso testimonia, ormai, un forte regresso della fronte ed uno stadio di breve durata, ben diverso dalle lunghe fasi di arresto, precedenti : i tre potenti cordoni frontali più esterni sono conseguenza di lungo periodo di di stasi della fronte glaciale wùrmiana, in ciascuno dei tre mas¬ simi di freddo (le tre punte di minima insolazione estiva della curva di Milankovitch : vedi Quadro stratigrafico e Storia geo¬ morfologica ). * L’ arco occidentale , molto debole e dilavato, è costituito : dalle collinette addossate ad ovest del colle di Brivio, sino al¬ l’abitato di Vaccarezza inferiore (m. 240-230) ; dal leggero rilievo di Beverate, e, più ad ovest, dal Dosso, che finisce coll’ addossarsi al Cretacico in posto. Questa debole cerchia, erosa in due punti (Carta), è elevata di una dozzina di metri, con scarpata, rispetto alla grande piana sabbioso-argillosa, situata più a nord. Più marcato ed evidente risulta Varco orientale1 quello dell’ 4dda, che si addossa ad est del colle morenico, mediano, di Brivio, sino all’abitato. Oltre l’Adda, esso s’ sviluppa da S. Am¬ brogio, m. 215, sino ai calcari albiani del Ceregallo, m. 240 ; riappare poi a NNE, sulla quota 240, sbarrando con marcato gra¬ dino la valletta tra il Ceregallo e la ferrovia. Singlaciale Wurm IV. — Il ritiro del Wurm III ed il di¬ lavamento esterno della fronte glaciale Wurm IV, formarono : verso ovest, la piana sabbiosa e leggermente degradante, situata a sud di Beverate (m. 230-222) ; verso est, il terrazzo di Binda 120 S. VENZO (in. 220-205). Quest' ultimq, risultato del dilavamento fluvioglaciale della fronte di S. Ambrogio, è sospeso di circa 10 metri sull' Adda ; esso è dovuto inoltre alle alluvioni, all’ incirca contemporane, del Sonna, ormai esterno al ghiacciaio [Carta). Credo attribuire a questo periodo anche le ghiaie e le sabbie,, stratificate, che si trovano lungo l’Adda, in basso, sino alla stretta del M. Orobio-M. Giglio [Carta) : quest’ alluvione dovè infatti colmare la precedente incisione dell' Adda. Presso Brivio, a NE di Sosta, in allineamento colla morena di S. Ambrogio, si trova una minuscola collinetta, costituita da ceppo grossolano, con elementi valtellinesi, che ricorda quello della bassa valle del Sonna (Cisano): per la posizione e la quota, superiore di una decina di metri alla piana dell ' Alluvium antico , e di circa 15 sull’ Adda, essa potrebbe esser connessa col ritiro della fronte glaciale del Wurm IV [Carta). All' interno della fronte di S. Ambrogio, dopo il ritiro del ghiacciaio, si formò nel cucchiaio di sovraescavazione, un lago, esteso a nord, sin presso Olginate ed oltre : ne sono testimonio le argille azzurre, talora debolmente sabbiose, stratificate, potenti più di una trentina di metri, e sfruttate dalla Fornace di Late¬ rizi Sesana , appena a nord di Brivio. Anche all'interno della bassa cerchia di Beverate, la piana (m. 202-203), a pochi metri sull’ Adda3 (m. 196), risulta costituita da fini depositi sabbioso-argillosi. Essi stanno a testimoniare una transitoria fase lacustre, conseguenza di maggiore estensione del Lago di Brivio [Carta). Quattro chilometri più a nord, la de¬ pressione, tuttora paludosa, venne ristretta e colmata dall’ampio delta, dell’ A Uuvium antico, di Villa-Oapiate. Le argille lacustri di Brivio, dovute a deposito posteriore al ritiro della fronte glaciale del Wurm IV , possono ormai attribuirsi all 'Alluvium antico \ tanto più se si pensa che il deposito dovè durare per lungo pe¬ riodo di tempo [Carta). Wurm V. — Come già osservò il Sacco (38, pp. 49-50), si trovano testimoni di un posteriore, marcato, stadio di ritiro, circa 8 chilometri a nord di Brivio ; nella zona tra Garlate e Prade- rigo, e, ad oriente, nei frammenti d'arco di La Casa-Eoppenico, sopra Calolzio-Corte. Al ritiro di questa fronte, nella zona interna sovraescavata, si formò il lungo lago di Olginate-Garlate, che, dapprima era RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 121 unico. NAV Alluvium antico , esso venne strozzato e diviso in due dai potenti delta dei torrenti Aspide, ad ovest, e Galavesa, ad est. Wùrm VI. — Testimonio dell’ultimo, visibile, stadio di ritiro del ghiacciaio wurmiano, in fondovalle, è l’arco morenico, all’altezza di Lecco. Esso è molto marcato ed evidente alle estreme pendici settentrionali del M. Barro, poco sopra il Lago, dal Ponte di Lecco sino al grande cimitero di Lecco. Di qui, si sviluppa sino a Malgrate, dove si appoggia, a nord dell’abitato, al piccolo colle di Dolomia principale. Questa fronte sbarrava la Valmadrera, all’estremo nord, dove, sul Foglio geologico Como appare segnato invece, V Alluvium antico. Un piccolo cordone, più basso e più interno, è addossato al precedente; lungo il Lago, esso forma il gradino morenico, at¬ traversato obliquamente dallo stradone provinciale, che sale in Valmadrera. Nella zona di Lecco, al fianco orientale della cerchia, medialmente del tutto dilavata, sono presenti le formazioni mo¬ reniche e lacustro-glaciali di S. Giovanni-Acquate e Germanedo. Il ghiacciaio, abbandonata ormai la Valmadrera, che rimase sospesa, occupava col suo lobo frontale la conca di Lecco. Al ri¬ tiro definitivo dei ghiacci, la lunga vallata sovraescavata, a nord di Lecco, venne invasa dalle acque. Alluvium antico. — Vi attribuisco, oltre alle argille lacu¬ stri di Brivio : 1’ estesa piana, sviluppata da Beverate sino ad Airuno ; il basso terrazzo, a soli 6-7 metri sull’ Adda, che si trova in corrispondenza dell’ ampio conoide del Sonna ; il fondovalle terrazzato del torrente Sonna di Cisano ; il terrazzo sotto Colom¬ baia, a NE di Brivio, livello superiore dell’antico lago di Brivio. Spettano inoltre all ’ Alluvium antico tutti gli estesi conoidi presenti a nord della mia Carta , sino a Lecco ; essi sono ben segnati sul Foglio geologico Como. La piana di Lecco è dovuta ai tre delta, riuniti, dei torrenti Gerenzone, Caldone e Bione, che strozzarono P unico bacino lacustre, separando il Lago di Garlate da quello di Lecco. Alluvium recente. — Spettano a questo periodo le ghiaie del conoide del Sonna, come pure le frane e detriti di falda, sotto le pareti calcaree dell’Uccelliera, lungo la ferrovia Cisano-Lecco : anche lo stradone statale Cisano-Lecco, passa, qui, su tali depositi. Essi sono indicati sulla mia Carta con triangoli e punti rossi. 122 S. VENZO CONCLUSIONI CRONOLOGICHE Per meglio illustrare la serie del Quaternario, porto il se¬ guente Quadro stratigrafico (p. 136) : in esso la cronologia geolo¬ gica, relativa, è comparata con quella, assoluta, del diagramma del¬ l’andamento secolare dell’insolazione estiva della calotta terrestre boreale, di Milankovitch, limitata dal parallelo di 45°. Infatti il centro della mia Carta si trova a circa 45° e 40' di latitudine. Nel quadro, oriento il diagramma verticalmente, in modo che la parte più antica si trovi in basso, e corrisponda così alla serie geologica: lungo l’altezza è computata, in millenni, la cronologia : alla base, sono indicate le unità di radiazione, per le quali si può stabilire una corrispondenza approssimativa di 150 unità con un grado di temperatura. I valori positivi, a sinistra della figura, indicano radiazioni in più rispetto all’attuale (linea, più grossa, dello zero); i negativi (a destra) radiazioni in meno, epperciò le punte di freddo ed i massimi glaciali (’). I geologi tedeschi ebbero già a sincronizzare in tal modo le formazioni quaternarie della regione germanica, con grande van¬ taggio anche per la stratigrafia. Io riscontro pure una straordi¬ naria corrispondenza tra il numero delle massime punte di freddo della curva di Milankovitch e le cerehie principali dell’apparato morenico dell’ Adda di Lecco. Ai due massimi di freddo del Gùnz non corrispondono mo¬ rene, nella zona dell’ Adda di Paderno, poiché ci troviamo fuori dell’ambito glaciale : ma, durante il Gùnz /, si depositò proba¬ bilmente il ceppo villafranchiano, ad elementi prealpini. Durante il Gùnz II (dai 555 ai 545000 anni fà), per l’apertura del varco dell’ Adda di Lecco, si poterono depositare le ghiaie e le sabbie, ad elementi valtellinesi, di dilavamento fluvioglaciale. Le due punte di minima insolazione estiva, cioè di massimo freddo, del Mindel (dai 480 ai 430000 anni fà), nel diagramma (0 L’argomento è oggetto di mia appòsita nota, già comunicata (b ibi. 64) : in essa, osservai, che il calcolo del Milankovitch, basato sull’insolazione minima estiva, è riferito alla superficie dell’atmosfera, Perciò non si potè tener conto, in esso, del variare delle precipitazioni, del potere di assorbimento dell’atmosfera, nonché del rilievo: infatti il Sistema alpino deve aver notevolmente influenzato il fenomeno. Le con¬ seguenti variazioni delle punte di freddo, sarebbero tuttavia secondarie, rispetto al variare della temperatura per le cause astronomiche. RILEVAMENTO G EOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 123 del Milankovitch, risultano minori di quelle rissiane. E questo è in accordo con quanto riscontrato sul versante nord-occidentale delle Alpi : qui, infatti, la glaciazione rissiana [Die gròssle Ver- gletschencng di Heim) ha assunto, in genere, un enorme sviluppo, sorpassando le fronti del Mindel (vedi anche Dal Piaz G., Be¬ vici , p. 346). Invece, nella zona dell’ Adda, nonché in tutto il versante me¬ ridionale del Sistema alpino (Piemonte (39), Varesotto, Comasco, Bergamasco, Lago d’ Iseo, Lago di Garda, Passano, Piave di Cornuda-Montello, Tagliamento), le fronti del Mindel sono assai più estese ed esterne a quelle rissiane. Le due cerehie mindeliane dell’ Adda, vengono a corrispon¬ dere alle due punte di freddo del diagramma : la prima, più forte della seconda, spiega la maggior estensione della cerchia esterna (mio Mindel /). La lunga durata dell’ Interglaciale Mindel-Riss è testimo¬ niata dall’ intensa alterazione in ferretto del morenico mindeliano : mentre le morene rissiane, di oltre 200 millenni posteriori, sono relativamente fresche. Un lungo periodo di degradazione, d’erosione e dilavamento fu necessario per trasformare le due cerehie mindeliane, all’inizio verosimilmente molto potenti, in uniforme pianalto a ferretto. Verso la fine dell 'Interglaciale (probabilmente, durante le fasi anaglaciali connesse colle tre ridotte punte di freddo - dai 328 a 280000 anni fà), dovè avvenire il deposito della piana sab- bioso-ghiaiosa del « Diluvium medio » auct.. Essa (non conservata nella regione illustrata dalla Carta), è testimoniata, lungo le basse valli o nell’ alta pianura, dal ridotto terrazzo ghiaioso, con ciottoli calcarei ed argille gialle, intercalato tra il « sistema a ferretto » ed il « livello fondamentale della pianura» (Singlaciale rissiano). Le due fronti principali rissiane della regione, sembrano cor¬ rispondenti ai due massimi di freddo del Riss / e li di Milan- kovitch (dai 240 ai 187000 anni fà). Anche in questo caso la punta inferiore, e più antica, del diagramma è la più forte; fatto che appare comune e si ripete in tutte e quattro le glaciazioni (x). 0) Dalla curva risulta inoltre, che, tra una punta e l’altra di ogni glaciazione, intercorrerebbero circa 40-50000 anni; e l’insolazione, dopo ciascuna punta di freddo, aumenta talmente da superare la media at¬ tuale (linea dello O). Pur tenendo presente il forte ritardo dell’abla- S. YENZO 124 La maggiore antichità delle cerehie esterne è provata sul terreno dalla loro ottima conservazione e continuità; esse non vennero più sorpassate dai ghiacci, che, altrimenti, le avrebbero abrase, smantellate, e probabilmente asportate. La cerchia più esterna del Ri ss ( Riss /), nella regione del- l’Adda, testimonia perciò la massima estensione del ghiacciaio. La seconda cerchia morenica (Riss li), potentissima ed arretrata di mezzo chilometro, testimonia la posteriore e più lunga stasi della fronte glaciale. Perciò, la punta del Riss //, nella curva, dovrebbe risultare (per la Lombardia), più tozza, con base più svi¬ luppata (tempo maggiore). I tre deboli, ma evidenti, cordoni più interni dell’ apparato morenico dell’ Adda ( Riss II1-V ) testimoniano un forte ritiro della fronte glaciale, e vengono pertanto a cadere nella fase decrescente del Riss //, Mil. (« fase cataglaciale » dai 187 ai 182000 anni fa). Nella curva, il corrispondente tratto della fase di aumento dell’insolazione, dovrebbe presentare almeno tre gradini : morene di successivi stadi di arresto, certamente verificatisi alla fine del Riss non sono conservate. L’ Interglaciale Riss-Wurm sarebbe di soli 60000 anni (cioè meno di un terzo dell’Interglaciale precedente, durato ben 190000 anni!), spiegando la scarsa alterazione del morenico rissiano, ri¬ spetto al wùrmiano. In questo periodo,' l’Adda incide il suo letto, nel ceppo compatto, di 40 metri almeno. II Wùrm, durato dai 120 ai 20000 anni fà, è costituito da morene assai fresche. Le forti cerehie frontali dell’ Adda possono venir sincronizzate colle tre punte di freddo della curva : la più forte è l’inferiore, cioè la prima, mentre la seconda ed ancor più la terza risultano minori. 11 cordone più esterno del Wùrm (mio zione glaciale rispetto al crescere dell’ insolazione, avrebbe dovuto ve¬ rificarsi un enorme ritiro, sino attorno al limite attuale : solo nel successivo massimo di freddo, il ghiacciaio avrebbe potuto avanzare di nuovo, sin quasi alla fronte precedente. Benché il cordone frontale più esterno del Riss sia più alterato dell’in¬ terno, non trovo conferma, sul terreno, di tale deduzione astronomica del Milankovitch. La posizione ravvicinata dei cordoni frontali, general¬ mente paralleli e costituenti un apparato morenico unico (Zona Carvico -Villa d’Adda), m’indurrebbe a pensare, piuttosto, a ridotte oscillazioni della fronte. Probativa mi sembra, in proposito, anche la posizione sub- parallela delle tre cerchiette di Olgiate-Calco, intercalate tra i grossi cordoni morenici del Wiirm II e del Wilrm III (Carta) : infatti esse sembrano testimoniare un ritiro graduale. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 125 Wùrm /), che è il più antico ed il più potente, testimonia la maggiore estensione del ghiacciaio ; i due più interni ( Wùrm II e ///), probabilmente sincronizzabili colla seconda, rispettiva¬ mente colla terza punta di minima insolazione estiva, risultano più recenti. La punta di freddo del Wùrm I, nel diagramma, risulta meno forte di quella del Riss /; e difatti la mia cerchia esterna del Wùrm (Lomeda-Mombello) è arretrata di oltre un chilometro {Carta). Invece il Wùrm I della curva, risulta appena più freddo del Riss II. Ciò trova corrispondenza, solo parziale, nella posi¬ zione della cerchia frontale wùrmiana più esterna, dell’ Adda : essa viene infatti ad addossarsi, quasi, a quella Villa Biffi-Mon- talbano-Forcella {Riss II), coprendo la morena più interna, di ri¬ tiro, del Riss {Riss V). I deboli cordoni più interni {Wùrm IV- VI ), connessi col ritiro della fronte wùrmiana, cadono nella fase decrescente {«fase cata- glaeiale ») del Wùrm III della curva; sono perciò posteriori ai 20000 anni fa. Similmente a quanto si vide per il Riss, il segmento corri¬ spondente della curva dovrebbe presentare parecchi gradini : i tre primi rappresenterebbero le tre fasi di ritiro del Wùrm IV, V e VI, che sono sempre di fondovalle ; gli ultimi quattro gradini, con deboli punte, di aumento, potrebbero rappresentare graficamente le fasi finali, stadiarie, assai recenti, di Bùhl , di Gschnitz , dello Sciliàr e di Daun. Come è noto, esse diedero luogo a morene molto alte e già arretrate verso i ghiacciai attuali. Numerose altre corrispondenze risultano dal Quadro e dalla Storia geomorfologica , nel seguente capitolo. Il calcolo astrono¬ mico del Milankovitch, trova cosi una luminosa conferma geo¬ morfologica, se pur con qualche variazione, dovuta probabilmente a cause locali (Sistema alpino), anche sul versante meridionale delle Alpi : nuovi studi sul Glaciale potranno mettere maggior¬ mente in evidenza la generalità del fenomeno. STORIA GEOMORFOLOGICA DELLA REGIONE DURANTE IL PLIOCENE PIÙ ALTO ED IL QUATERNARIO (fi) Villafranchiano. — Dal Pliocene più alto (sui 700000 anni fà, secondo Wittmann, bibl. 66, p. 453) sino all’inizio del Qua¬ ternario (sui 600000 anni fà, secondo Milankovitch), i movimenti di sollevamento dovuti al « diastrofismo insubrico tardivo del (1) Tenere sempre presente il Quadro , a p. 136. 126 S. VENZO Villa franchi ano » determinano la definitiva emersione dal mare della regione pedemontana lombarda : essi precedono nella zona prealpina, mentre risultano più tardi, man mano che ci spostiamo più al largo, verso la pianura (1). Il sollevamento prealpino (connesso, forse, con abbassamento della regione padana), causa un marcato ringiovanimento idro¬ grafico (inizio del « Ciclo erosivo Villafrancliiano-Preriss ») : nella zona in esame, esso s’aggira sugli 80 metri. All’ intensifi¬ carsi dell’erosione villafranchiana può aver inoltre contribuito l’aumento delle precipitazioni, all’inizio del Glaciale. Il fenomeno è provato dalla presenza dei conglomerati pre¬ alpini: evidentemente, presso le spiagge del mare in regressione, si dovevano depositare grandi conoidi, a ghiaie calcaree. Ciò av¬ veniva ai margini di tutta la pianura padana; il sollevamento era infatti generale ed influenzava anche la regione prealpina interna. Qui s’ interrompeva il « Ciclo erosivo preglaciale » e s’ iniziava il « Ciclo del Quaternario antico » (Venzo, Lavarone , p. 226, Tav. IV). Nella zona Adda-Brembo, si dovè, dapprima formare un lago, a vita breve : le lenti argillose ad Helix , sottostanti al ceppo dell’ Adda, accennano infatti a fugace condizione limnica. Il conglomerato inferiore del canon dell’ Adda non contiene elementi valtellinesi ; quindi non accenna ancora all’ espansione glaciale gùnziana. Se esisteva un’ Adda villafranchiana, non pas¬ sava certamente per Lecco. Durante il Giinz /, continuarono a depositarsi, nella zona, le ghiaie calcaree del Villafranchiano su¬ periore ; mentre nella Brianza e nel Varesotto, si depositavano morene argillose, con erratici valtellinesi. Infatti nel Glinziano (dai 600 ai 545000 anni fà, secondo Milankovitch), l’area briantea era invasa dai ghiacci, per lo meno sino a Carate (morenico sotto il ceppo). Ma soltanto l’esa¬ razione finale del ghiacciaio gunziano {Giinz II) potè aprire al- (*) (*) I sollevamenti connessi a diastrofismo tettonico precedono, ge¬ neralmente, nelle zone interne del sistema alpino. Già ebbi a dimostrare il fenomeno, durante il « diastrofismo insubrico tardivo del Politico » : mentre nell’area pedemontana del Veneto, i conglomerati, con lenti a fossili continentali, sono tutti del Miocene superiore o Pontico, nella Valsugaua, notevolmente internata nella zona prealpina, la stessa facies precede; si trova infatti intercalata, già nel Tortoniano medio (Venzo,. Lavarone , pag. 216 e Tav. IV). RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL7 APPARATO MORENICO ECC. 127 l’Adda il varco di Lecco: lo dimostrano i 12 metri di ghiaie e sabbie valtellinesi, intercalati tra i due ceppi ; quello sottostante calcareo, del Villafranchiano, e quello superiore, poligenico, del- l’ Interglaciale. Nell7 Interglaciale Gunz-Mindel (dai 545 ai 480000 anni fa), prevalgono ancora all’esterno della zona pedemontana, i depositi . ghiaiosi; essi sono conseguenza d’intensa erosione nella parte alta dei corsi d’acqua. La presenza del ceppo interglaciale con ele¬ menti valtellinesi, rotolatissimi, a sud dell’attuale Lago di Lecco è prova evidente, che allora il Lago non esisteva : la Valtellina doveva essere incisa, abbassata e continua, sino alla quota basale del ceppo (salvo deboli sollevamenti posteriori). Nel Mindeliano (da 480 a 430000 anni fa), il ghiacciaio ab- duano invadeva nuovamente la regione, giungendo su ampia fronte ( Mindel /), sino a sud del Montevecchia, a Ronco briantino- Verderio superiore-appena a nord di Porto superiore-Medolago- M. Orfano-ovest di Terno d’isola (vedi, mia nota preliminare, 63, fig. in testo) : potenti morene coprirono così il ceppo interglaciale. Nella seconda punta del Mindel ( Mindel 7/), la fronte gla¬ ciale era meno estesa, rimanendo arretrata di due chilometri e mezzo : essa, dalle propaggini orientali del Montevecchia, si svi¬ luppava a Paderno-Torre-Baccanello-Bercio, dove finiva per appog¬ giarsi al M. Canto. Ciò è testimoniato dai relitti ferrettizzati della cerchia, molto dilavata e quasi spianata, che si trova ad oltre un chilometro all’ esterno del Ri ss /. Nella zona a NE del Monte¬ vecchia, il Mindel II sbarrò il bacino lacustre, marginale, di Bagaggera-Eornace. Come dimostra il « morenico scheletrico sparso », i ghiacci del Mindel 7, nella regione frontale, coprivano del tutto ed ar¬ rotondavano, il M. Orobio ed il M. Giglio ; si sviluppavano, la¬ teralmente, sulle pendici orientali del Montevecchia, nonché sui versanti del M. S. Genesio e del M. Canto, all’esterno e di circa 100 metri più in alto del cordone morenico Ri ss I. Il dilavamento fluvioglaciale delle fronti mindeliane diede luogo all’ alto sistema ferrettizzato della pianura (, Singlaciale mindeliano ), molto esteso a sud della Carla. Nell’Interglaciale Mindel-Riss, durato ben 190000 anni, (dai 430 ai 240000 anni fà), si verificò, dapprima, un intenso dila¬ vamento del morenico mindeliano, che diede luogo all’ esteso pia- nalto ferrettizzato, interno alle fronti mindeliane, ora sospeso di 90 128 S. VENZO metri sull- Adda! Il « Ciclo erosivo Villa francliiano- Preri ss» era giunto a stadio di relativa maturità, e 1’ Adda doveva straripare e divagare a meandri per l'alta piana. Se si verificò nella regione un sollevamento del Premindel , esso fu indubbiamente molto atte¬ nuato, poiché E Adda non aveva ancora cominciato ad incidere il suo 'canon. Invece, poco prima del Riss, similmente a quanto avviene nel Varesotto, è evidente un marcato ringiovanimento del- l’Adda, che entra in fase di erosione, finendo coll’ incidere per 15 metri e più la piana ferrettizzata (inizio del « Ciclo Preriss- Interglaciale Riss-Wurm »). Se, nella zona, era presente il « sistema del Diluvium medio », (inferiore al pianalto a ferretto), esso venne completamente dilavato ed asportato. Nella Brianza centrale, nel Varesotto, in Val Brembana ecc., il ringiovanimento idrografico del Preriss , determina infatti l'incisione del sistema del tardo Interglaciale (di circa 25 metri, sotto Almenno, in Val Brembana; di una decina, nell’alta pianura, dove tutti i sistemi si attenuano). Nel Rissiano (dai 240-182000 anni fà), la fronte glaciale, ad ampio arco e molto potente, giungeva a Pagnano-Merate-versante nord del M. Orobio e del M. Giglio, sino ad appoggiarsi al pendio sud-occidentale del M. Canto. Il massimo sviluppo ed estensione del ghiacciaio è testimoniato dalla cerchia morenica più esterna, quella del Riss I (attorno ai 230000 anni fà) (*); ma la più lunga stasi della fronte ^glaciale è quella del Riss II (attorno ai 187000 anni fà), quando essa giungeva a Roncaglia- Sabbioncello-nord di Morate, sino a S. Giacomo (Pontìda) ed a S. Antonio [Carta). La fronte glaciale del Riss /, nella depressione dell’ Adda, poteva svilupparsi, a sud, sino alla C.na del Tac : il corrispon¬ dente -cucchiaio di sovraescavazione, abraso nel ceppo doveva essere sviluppato in tutta la depressione M. Orobio - M. Giglio, all’ interno del cordone morenico di Vanzone, ma rimase poi so¬ vralluvionato dalle ghiaie fluvioglaciali del Riss II , di circa 500 metri più interno. La fronte glaciale del Riss II raggiungeva il punto più me¬ ridionale coll’ estrema ed angusta lingua, insinuata profondamente nel piccolo cucchiaio di sovraescavazione, all’interno del debole rilievo morenico a quota 276 (linee nere ori zzontali del Sin glaciale Riss 1 V. sulla Carta). (3) E tuttavia a tener presente, che i massimi glaciali potevano essere in ritardo rispetto ai massimi di freddo del Diagramma Milankovitch ; grande influenza dovevano avere anche le precipitazioni. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 129 Una potente lingua laterale del ghiacciaio s’insinuava pro¬ fondamente, ad est, nella Valle di S. Martino, sino a S. Giacomo: ad ovest un’altra lingua, alquanto ridotta e sottile, s’insinuava nella vallata di Rovagnate, incontrandosi presso S. Giorgio, colla fronte, molto più potente, che proveniva dalla Valmadrera. Il dilavamento, nella fase di aumento ed espansione (« fase anaglaciale >) delle due fronti principali del ghiacciaio rissiano, dovuto, essenzialmente, agli antichi corsi della Molgora, del- l'Adda e del Grandone, colmò la precedente incisione, formando l’estesa piana del Singlaciale Riss I-TI. Essa risulta' di 7-15 metri inferiore al terrazzo ferrettizzato e sospesa di 80 metri. JL’Adda, sino attorno ai 187000 anni fà, doveva divagare ancora per la piana: quest’ ampia pianura ghiaiosa, ora incisa profondamente dal ccuTion , continua al sud, costituendo il « livello fondamentale della pianura », sviluppato sino al Po. In seguito, per l’aumento dell’insolazione, la fronte glaciale cominciò a ritirarsi gradualmente all’ interno della massima cer¬ chia del Riss ( Riss II) « fase cataglaciale » : potè cosi formare l’ampio anfiteatro morenico di Villa d’Adda, che degrada con tre terrazzi verso la zona interna sovraescavata (Tav. I, fìg. 2). Tre sono infatti le stasi, all’inizio del ritiro rissiano; testimoniate dai deboli cordoni morenici, interni alla cerchia principale. Il ghiac¬ ciaio del Riss IV giungeva colla sua fronte, nella vallata del- l’ Adda, sino al rilievo morenico di quota 254: esso era ormai arretrato di 1300 metri rispetto alla fronte del Riss I e di circa 800 rispetto a quella del Riss II. Il dilavamento fluvioglaciale del Riss IV sovralluvionò, in parte, il cucchiaio di sovraescavazione, interno al cordone more¬ nico principale (Carta), formando un lungo terrazzo (Tav. I, fig. 1 ; Tav. II, fig. 2 ) : esso, sospeso di 70-60 metri sull’ Adda attuale, risulta incassato di 18-20 metri, rispetto alla piana sin¬ glaciale Riss l-II 'Tav. II, fìg. lp Ciò sta a dimostrare, che in questo primo periodo della « fase codaglaciale » (da 187 a circa 185000 anni fà), 1’ Adda aveva cominciato ad abbassare di altret¬ tanto il suo letto, iniziando l’incisione del camion. Il ringiovanimento idrografico del Preriss si poteva aggirare sui 70 metri almeno ; risulterebbe tuttavia inferiore a quello riscon¬ trato dal Xangeroni, nel Varesotto (m. 200, comprensivi, però anche del ringiovanimento del Prewilrm). Il corrispondente sol- 9 130 S. VENZO levamento prealpino (x) doveva essere minore, per la contempo¬ ranea depressione dell’area padana, sovraccarica di materiali al¬ luvionali : infatti, quest’ ultima potè abbassare il livello di base dell’ erosione, contribuendo a ringiovanire ulteriormente i corsi d’ acqua. Tuttavia, è a tener presente, cbe, nei periodi cataglaciali, l’ero¬ sione può verificarsi anche senza ringiovanimento dell’ idrografia. Nella zona Celanella-Ombria, la fronte glaciale del jRiss /, ed il corrispondente cordone morenico, poi, causarono la forma¬ zione di un piccolo bacino lacustre marginale (attorno ai 230000 anni fà) : questo si colmò in gran parte di argille glaciali, prima di venir svuotato dal suo emissario, che incise la soglia morenica. Più tardi, si formò, in modo consimile, il bacino lacustre di S. An¬ tonio d’Adda, sbarrato dal Riss li (attorno ai 187000 anni fà) ; aneli’ esso si colmò di argille, potenti almeno una quarantina di metri, prima di venire svuotato dal torrente Sommaschio. Con¬ temporaneamente al lago di S. Antonio, ebbe vita il lago mar¬ ginale di Carenno, pure sbarrato, prima dai ghiacci e poi dal cordone morenico principale del Piss. (:) Questi movimenti sono connessi, con molta probabilità, a feno¬ meno orogenetico. L’ « orogenesi tardo-insubrica », con fasi di acme nel Pontico, nell’ Astiano inferiore e nel Villafranchiano (Venzo, Lavorone, pp. 220-227, tav. IV), perdura infatti nel Pleistocene : lo testimoniano anche i ringiovanimenti periodici del Premindel (attenuatissimo nella regione ed invece più evidente nelle zone interne) del Preriss e del Prewurm. Il Sistema alpino non è, nemmeno ora, del tutto assestato, come dimostrano gli attuali terremoti tettonici della Svizzera, della Val Sesia ecc.. Per la regione dell’alto Reno tedesco, al margine settentrionale del Sistema alpino, Wittmann, nel 1941, ammette la presenza di quattro fasi orogenetiche diluviali (bibl. 66, pp. 337-362): la Wallachische Phase (dai 700 ai 600000 anni fà), di poco precedente al Giinz, che viene a corrispondere al nostro Villafranchiano ; la ridotta Jung wallachische Phase , del Premindel (sui 5000O0 anni fà); la Bakinische Phase, del Preriss (circa 300000 anni fà), che risulterebbe, come pure da noi, la più intensa fase orogenica del Pleistocene ; infine la Baltische Phase, del Prewurm , con due punte di massimo (sui 140000 anni fà la più antica e la più marcata, sui 100000 la più attenuata, che entra già nel Wtirm). Come avverte Wittmann, il fenomeno è regionale ed interessa tutta la media Europa. In Lombardia, come pure nelle Venezie, noi abbiamo prove molte¬ plici di movimenti pleistocenici; di questo argomento tratto in nota a parte « Le fasi dell1 orogenesi insubrica nella regione prealpina lom¬ bo /-da : i movimenti pleistocenici ed i conseguenti ringiovanimenti del- V idrografia » . RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’APPARATO MORENICO ECC. 181 All’ inizio dell’ Interglaciale Riss-Wurm, attorno ai 180000 anni fà, è molto probabile che l’Adda abbia formato, nella zona sovraescavata all* interno del Riss V, un lungo lago: fenomeno analogo a quello verificatosi, in seguito, dopo i ritiri del Wurrn. Il lago poteva forse svilupparsi, a nord, sino a tutto l’attuale lago di Como: in questo caso, la profondità del bacino sarebbe stata molto minore, mancando la sovraescavazione glaciale wurmiana. Il lago sembra avere avuto vita, relativamente, breve; mentre si colmava di argille e sabbie, con lenti di ghiaie, 1’ Adda, in fase di erosione, doveva incidere facilmente la soglia morenica, causandone il graduale svuotamento. Più a sud, il fiume incideva profondamente il ceppo, abbassandosi di 40 metri almeno. Verso la fine dell’Interglaciale (attorno ai 130000 anni fa), l’Adda doveva cominciare a risentire gli effetti del ringiovani¬ mento prewurmiano (inizio del « Ciclo Prewùrm-Alluvìum an¬ tico »). Difatti, durante il Wurrn, essa abbassa il suo letto di altri 40 metri; ciò è dimostrato dalla differenza di quota tra i terrazzi del Singlaciale Wurm III e quelli dell ’ Alluvium antico. All’inizio del Wurmiano (attorno ai 120000 anni fà), una nuova marea di ghiacci invade la regione, sino all’ altezza delle morene rissiane più interne, che, alla fronte di Lomeda-Mombello, rimasero coperte. Tre sono le cerehie moreniche principali; e tre le secondarie, di ritiro, scaglionate sul fondovalle sino a Lecco, per quasi 15 chilometri. Il Wilrm /, testimonia la massima estensione frontale del ghiacciaio ; esso viene a sincronizzarsi, più o meno, col maximum Wurrn I di Milankovitch (sui 115000 anni fà). Il ghiacciaio som¬ mergeva allora tutte le colline cretaceo-eoceniche, situate medial- mente, poco a nord, che, in seguito, determinarono la bilobatura della fronte ; e questa diventa più marcata, man mano che i ghiacci si ritirano. Infatti il Wurm II si biforca nella zona di Calco superiore, formando due profondi lobi; l’occidentale arrivava sino a Cicognola ed alla Pilata; l’orientale, incassato nella larga valle dell’ Adda, giungeva sino all’altezza di Madonna del Bosco. Questa seconda fronte, molto potente, si può sincronizzare col maximum Wu rm II di Milankovitch (sui 72-70000 anni fà). L’ intenso dilavamento dello scaricatore glaciale, la grande Adda di allora, colmò di ghiaie la precedente incisione intergla- ciale, sovralluvionando la conca, all’interno del Riss V. E testimonio di questa fase anaglaciale l’esteso terrazzo ghiaioso d’Imbersago, so- 132 S. VENZO speso di oltre 40 metri; l’Adda, divagando a meandri, potè forse giungere a lambire il preesistente cordoncino morenico del Riss V, a SE di Garavesa. Le potenti ghiaie fluvioglaciali, più a sud, finirono per colmare in gran parte anche il canon , come dimo¬ stra il terrazzamento di Case. S. Giuliano-Porto inferiore, ad ovest di Medolago. Esso risulta pure sospeso dai 40 ai 30 metri; qui, l’Adda doveva formare due ampi meandri incastrati, quello di Medolago, a nord, e quello di Porto, a sud. La fronte laterale del Wurm I s’ insinuava notevolmente, nella Val di S. Martino, sino a Cisano (Eig. 3, in testo), dove sbarrava la valle : ad oriente si potè così formare un bacino lacustre marginale, sviluppato, sui 280 metri, da Bondì a Pontida. Per lo scioglimento dei ghiacci, specialmente nella stagione estiva, ed il conseguente dilavamento delle morene di fondo, si venne formando una varva, ad argille sterili e finemente stratificate. Ad ovest del ghiacciaio, la fronte si stabilizzò alla Pilata. Poco prima del Wurm III , il lobo occidentale, ormai fortemente arretrato, trasfluiva appena per l’insellatura di Grancia-Calco in¬ feriore, giungendo colla fronte sino alla piccola cerchia di Cor- nello-Campo ( Carta ) : il dilavamento del suo scaricatore, la grande Molgora di allora, dava luogo all’estesa piana di fondovalle. In seguito la fronte si ritirò di circa 600 metri,' sino all’ insellatura, depositando il cordone morenico Grancia - S. Vigilio ; donde la Molgora, divagando a meandri, doveva completare la colmata di alluvioni singlaciali. All’estremo ovest, il lobo glaciale giungeva sino all’insel¬ latura dell’ Olcellera, dove depositava il forte cordone morenico; anche qui il dilavamento fluvioglaciale dovè alluvionare il fon¬ dovalle, confluendo a sud nella piana della Molgora. Il cordone morenico del Wurm III (sui 25000-22000 anni fà), appare molto marcato ed ottimamente conservato, essendo inter¬ rotto soltanto dall’ Adda. Esso si biforca, medialmente alla vallata, in corrispondenza dello sperone roccioso a nord di Brivio, for¬ mando una potente morena mediana d* ostacolo : il lobo occiden¬ tale del ghiacciaio si sviluppava sino a S. Zeno ; 1’ orientale, . giungeva sino a nord di Ariate, donde usciva il grande scarica¬ tore glaciale. Risultato del dilavamento fluvioglaciale nella fase di espansione sino al « maximum », è l’esteso terrazzamento del Sin glaciale Wurm III {Carta). A nord del M. Giglio, il terrazzo si sviluppa sino al gradino inferiore dell’ anfiteatro rissiano di / RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’a PPARATO MORENICO ECO. 133 Villa d’ Adda : non è improbabile perciò, che meandri dell’ Adda potessero, allora, lambire la base del cordone più interno del Riss, il Riss V (Tav. I, fig. 2). Nella vallata di S. Martino, il ghiacciaio giungeva soltanto sino ad Odiago Mura ; il dilavamento della fronte formò l’alta piana alluvionale di Cisano, forse, all'inizio, lacustre (Fig. 4 in testo). Secondo Milankovitch, la fine del Wurm III sarebbe di poco posteriore ai 20000 anni fa. Nella zona dell’ Adda, il ghiacciaio doveva essere in forte ritiro, come dimostra lo scaglionamento sino a Lecco delle tre morene frontali più interne: dapprima, la fronte del giaccialo in ritiro si stabilizzò, per poco, all' altezza di Be- verate-Brivio-S. Ambrogio-Ceregallo ( Wurm I F); il suo dilava¬ mento fluvioglaciale formò la piana ghiaiosa, ora sospesa di 10 metri circa ( Singlaciale Wurm IV). Al suo ritiro nella zona sovraescavata a nord di Brivio, si formò un lungo lago, svilup¬ pato almeno sino ad Olginate. Il successivo stadio di arresto della fronte avvenne, nella zona di Garlate-Praderigo-Calolzio, sei chi¬ lometri a monte di Brivio ( Wurm V). Al successivo ritiro della fronte glaciale, nell’ ampia e pro¬ fonda valle sovraescavata, si formò l'attuale lungo Lago di 01- ginate-Garlate, dapprima unico. Ormai il regresso dei ghiacci sul fondovalle doveva diventare sempre più veloce : un ultimo stadio d’ arresto della fronte ebbe luogo nella zona di Lecco (Wurm VI), quando il ramo della Valmadrera si era, a sua volta, ritirato, riunendosi col lobo dell’ Adda. Poi, il ghiacciaio si ritira defini¬ tivamente dalla vallata di Lecco, sempre più sovraescavata all’in¬ terno : cosi, attorno ai 18000 anni fà, il fondovalle venne invaso dalle acque, che formarono l’attuale Lago. Nell’ Alluvium antico (dopo i 18000 anni fà), si depositò l’ ampio conoide del torrente Sonna, a sud di Brivio, che spinse l’ Adda ad ovest, a ridosso del cordone morenico mediano del Wurm III (Brivio-Toffo-Mulino di Ariate): più a nord, i torrenti delle vailette laterali, rimaste sospese, fluitarono, sul fondovalle, sovraescavato, gran copia di ghiaie. ' Si formarono cosi gli estesi conoidi del Greghentino (Villa-Capiate) e del Serta, che restrin¬ sero, a sud, il Lago di Olginate; quelli dell’Aspide e del Gala- vesa, che strozzarono l’antico, unico, bacino, formando il Lago di Olginate a sud, e quello, molto più ampio, di Garlate, a nord; infine, i tre delta riuniti dei torrenti Gerenzone, Caldone e Bione, 134 S. VENZO che costituiscono la piana alluvionale di Lecco. Nell’ Alluvium, come dimostra il terrazzamento, 1’ Adda incise il suo letto di altri 10 metri : essa è tuttora in fase di forte erosione, specialmente nel ceppo a sud del Ponte di Paderno, come dimostrano le rapide di Paderno e di Vaprio. L’Adda di Paderno-Medolago, incisa ormai tutta la serie del ceppo, interessa le argille lacustri del Villafranchiano inferiore, sulla quota 180; cioè ad 80 metri sotto il « livello fondamentale della pianura » ed a ben 90 sotto il pianalto ferrettizzato del- V Interglaciale Mindel-Riss antico. RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL’ APPARATO MORENICO ECC. 135 INDICE BIBLIOGRAFICO DELLE OPERE CITATE 1. Bayer J. - Der Mensch im Eiszeitalter. Vienna, 1929. 2. Beck P. - Zur Revision dei ' Quart ardir enologie der Alpen. Ver- handl. Ili Intern. Qnartàr-Konferenz pp. 110-123. Wien, 1938. 3. Blanc A. C. - Variazioni climàtidie ed oscillazioni della linea di riva nel Mediterraneo centrale durante V Era glaciale. 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Sh s-s 3-1 • >— 1 ® 0 ce Sh P -33 ce Sh 0 0 ce 69 'o X 0 Sh Sh c 0 d Sh 0 > I C 0 d ce . ce o o 0 > © ce 0 ?-H bl ce > d ce > ® > o d ce T3 d <1 53 o o Fo O io ©1 1 6 t> cu ce H-3 c P ce b£ ce bJD ce PP s Sh O Sh 15 b p .5- LI O & 0 0 a Sh 0 0 0 ce o 0 U-3 ri 0 .0 O -u ce f-H ì— . ce o 0 rT3 Sh O ce o -U ce T3 Sh C 0 ìH o Sh 0 ce o d Sh 0 ■+3 d o -1-3 -33 0 H--> 95 ^5 ce W Sh 0 -+3 n ® ce -+3 ce 69 69 "-+3 H-3 0 Sh Sh SH ce 'Jp 0 Sh 0 95 o ts o 0 0 ce '0 ce WD Sh 0 0 0 ce -4-3 n o . 0 ' n o ri n ce d o -+3 -33 O n ® * ~ ce g ì> ri o Sh 0 0 ri .ce ce ri d ® ce 69 F— ce Cp £ 'a d £ r* < f ' r— I ce 13 Sh nj rp o - ce o 0 ce n Sh O 0 ri ® 0 -33 le > 0 Ol b 0 0 ìz; 13 ® ce *d p> ce ® -33 CU O 32 s O Sollevamento insubrico postumo del Villafranchiano 188 S. VENZO 17. Desio A. - Appunti ed osservazioni sul glaciale della valle Brem- bana (Bergamo). Riv. Geogr. It. Annata LI, 1944. 18. Desio A. - Appunti sul glaciale della valle Sericina e della valle Cavallina. Ibid. 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CO © © i o rH db © X © O -02 X X S3 rt w X 02 ro X X o o o w ££ (X> co X -oT o o co ce gx co H» * o -4— m o O © Cc SJ ^H X -4-^ 02 rH -4-D co * <£ X 'C 02 02 rus o 'Tj , X X CC 02 02 o w rH r-~ > • rH -4-J u X m X * X X 02 o X G -4-D o X3 02 © © ed © ad <1 e a co O tH o S X '’d O c .2 * Oi ) h ^ a X e . . r~o O 33 r^a ® ^ rS £ ^ °r O X ?H o -4-51 X © (H r ■ 4 © co © 'W O rt co co © © © co © -33 co © © -33 © X © r-3> © OD OD © r--3 ©D 3 o § 00 © ad Od JS X ^~~i CO © © ^ ae g 1* o ” y -4-a x 60 © _ © o •- •a o © ^ Sh ._ O £ © S s © £ g bC .«$ =e g © DD bC a © . — HO — © .3 •** o 33 X -33 © a cg. © CO © -33 co ce © r> | ^ co g © ,© © * ci © X '"© ad o$ © ad X © _Sh © • rH x o co co co * co ft? © i © * c3 © © r-3i ©D .O He 3 ? -4-5 ^ .2 © © ad cf jv .£ le ’© -33 a ®e © — 71 a CO Sh © © a o co © a, co © CO © © © N Sh ©1 -4J ce .a © © ■ _ © © © s © «a 3 & ■4— 1 a © CO © Sh a< ce a 2 N © ce a ca ; o ©i i 00 ce ce o ©3 ce co co ce © a © ro © ©3 a © £ X > X © PO o — s ^ ce ©3 © © © rg, © ©3 a © a ce ©3 © — ©H ® a, as © a ce a o a ce a § © ce Sh ce co CO ce ce a*i ce co CO ce © a a © H3 Sh © o « o , so co © a iO ^ © ^ S sH ©^ »• ce bJD \D biD ^ © © ab '2 ab ^3 ce co © •-h ce M 3 © a © .2 le a © od O. © Si ce O • «VO *-o O co O • r*i ce © co © ce o CO © co ’cò ”© © ©3 .«e S4h iO o CO ce © © ©3 a © bJD © CO © ©3 <2 ^r— *'S> © So S3 Sh © ® a - ce o % .2 a ce r© © ©3 ce © © a © © rH © Sh © © S+H CO a bC a ce co •- © ©J •H «— ' r© . 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Cfi SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. s- nn © £ o iP et © o 02 ® P 72 o 03 « a "3 <1 © '-C a a 40 02 a a 02 ►*N CO co • GÌ Di 13 40 e "ed 12 e 40 Gl 8 • CQ © o N N a a ti ® o 44 a ® Vd & £ ® o b£ a ® a "3 a 3d a rH b£ ® a .2 3 a > a © 02 ® a a > o ai 3 O a ® O o £ 13 40 a * Gì © a ® Gl ..' * Gì ~~ 5Q < ® T3 ® |H O 35 a o ® ® 4- >H ® 40 o co o « a 44 et ® a 44 ® O (M i CO se 40 9 02 o N N se a a ® cT ^ N N ® £ 03 03 " .05 a ® •’■' 35 O O 44 et ■fi a ® o ai ai O a b£> _ _ o3 8 o a ce Od 44 Cd 02 a • rH 35 ® 02 a 02 ® 02 ® 44 a ® 02 ® ,® ® _a V ft G 5» 8 ed ■e* G "ed G 40 40 13 "G 13 NO G HO (O e» 13 G *G ed e- o o lO lO Cb PI ® a o tS3 a Cd > o +J Cd 40 3 Cd O o 03 03 " ed Di ® 35 cS 2 a ® a o £ ® et Cd O CO et ® a •- a bJD b£ 13 O ^ P P a ai ® o si N ® 4d 03 ® o • !—* et 3 ® o a ® ce a ® re ® ce 02 ® P ai o 72 >—d G- 1 u eo> G "ed 13 G Ki Gì § "ed CQ G ai ai ce M 33 3 > CO s CD p -IH) d HH hH ce b£ fl ce • 0 Ih D+h 00 0 •i-H ce ce c3 - CO co • G«3 • rH (■H 3d ce Di a © r Co t-l -IH) a P-P .CO co r-H a CO © © © ’p o ai ai O b£ a 13 eo G * Gè © ri *GÌ ® I .® a ® £ o .2 40 a a ® a s a ® T3 a o o OD* * rH a a o o a 35 35 <3 3 33 O 40 a ® £ a 63 SI a a a ® 40 ® 40 r- © a o Pd £ • rH 3 ® 03 a ® 35 © O 40 H ® a a a — ' o 3 a ce ce 3 ^ 3 © O 02 © ai 3 3 O co co * Gì Di 1 eo 13 GS 4» <4 * ed 13 40 ed ® 33 433 43 ® a a ,® Ito o 40 a a o N 63 a a a © 40 43 o ai 33 a a 4-3 © © aa © bp 0 13 * e eo G * Gì» © G HO Gl a o .5 ai O © ai «S si a n O * 1 © a a o EH 1 a SI 5Q N N eg ce rr T ce ce £ 0 0 - - (■H rH • rH 'W © s pH > CO • rH Sh HH) a ?H © -IH) H 0 , ce c d d 3 co # H ’a a O ce -4H) %-i • rH 0 0 0 bi O dn 0 ■ ce 0 , © -IH) 3b 40 a co co t-H a H H rH © © 3 ri ce © ?H 0 • H rH ce © co ce ce • rH O £ ai ai a © a • rH © oò 3 a a CO co ce © r— ÉH • a ■w ò 0 02 ’© r~* C+H ri rH • rH ce *H O , O rH HH © £ 3 40 © a O a a c§ di già © G 403 Gl -w . 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II. c n 2 > VENZO - Bileramento geomorfologico dell’ Apparato morenico dell? Adda di Lecco. Atti Soc. II. Se. Nat., Voi. LXXXVII, Tav. III. Argille lacustri dell 'Alluvium antico( Brivio). Alluvium antico terrazzato. Terrazzi del singlaciale Wiirm IV. Terrazzo del singlaciale Wiirm III e suoi conglomerati di base (torrente Sonna). Terrazzi del singlaciale Wiirm II e I (Imberaago ecc.). SERGIO VENZO CARTA GEOMORFOLOGICA 1:30000 DELL'APPARATO MORENICO DEL L' AD DA DI LECCO RILIEVO 1939-46 fr^iArgille lacustri del singlaciale Wiirm I( Bondì-Albareda) "j h: ^ Morene del WUrm (4 cordoni morenici frontali princi- Ì pali). W lì J Terrazzo del singlaciale Riss V. 3 Terrazzi del singlaciale Riss IV-III e loro 1 scarpate. nrmp |Eocene medio-inferiore : calcari S nummulitici. I Maestrichtiano sup. .‘Scaglia II rossa. OlMaestrichtiano inf.sScaglia IH cinerea. |Campanìano:calcari ad inocerami ^ ed arenarie marnose. 1 Calcari del Campaniano inferiore. HSantoniano-Coniaciano( livello di a Sirone) : arenarie e conglomerati. Turoni ano -Ceno mani ano : "Fly sch" arenaceo-argi lioso, Barremi ano: scisti marnosi neri. ■J SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (Data di fondazione : 15 Gennaio 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci possono essere in numero illimitato : annuali , vitalizi , benemeriti. I Soci annuali pagano L. 500 all’ anno, in una sola volta , nel primo bimestre dell' anno, e sono vincolati per un triennio. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti in Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ri¬ cevono gratuitamente gli Atti e le Memorie della Società e la Rivista Natura. Chi versa Lire 5000 una volta tanto viene dichiarato Socio vitalizio. Sia i soci annuali che vitalizi pagano una quota d’ammis¬ sione di L. 100. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale o reso segnalati servizi. La proposta per V ammissione d’ un nuovo Socio annuale o vitalizio deve essere fatta e firmata da due soci mediante let¬ tera diretta al Consiglio Direttivo. Le rinuncie dei Soci annuali debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, purché li domandino a qualcuno dei membri del Consi¬ glio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e con le cautele d’ uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina stampata , dei lavori pub¬ blicati negli Atti e nelle Memorie , e di quelli stampati nella Rivista Natura. Per la tiratura degli estratti , oltre le dette 50 copie gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per 1’ ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno. INDICE DEL FASCICOLO III G. P. Moretti, Insetticidi clorurati e loro tossicità per alcuni artropodi e vertebrati acquatici ...... pag. 5 R. Selli, La struttura del gen. Angulogerina Cuskman 1927 » 40 G. Fagnani, Ricerca sul terreno di minerali radioattivi per mezzo dei raggi ultravioletti . . . . . » 49 M. Pavan, Sulla deposizione delle uova in Morimus asper Sulz. e Lamia textor L. (Col. Cerambycidae) . . . » 53 E. Tortonese, Le specie brasiliane del gen. Spìiyrna. (Pesci martello) e la distribuzione di S. diplana Spring. . » 61 L. Rampi, Ricerche sul fitoplancton del mar ligure. 8) I Silico- flagellati delle acque di Sanremo . . . . » 64 M. Pavan, Sulla valutazione dell’attività di antibiotici su . terreni solidi . » 68 E. Zavattari, Adattamento e ambientamento . . . . » 73 S. Venzo, Rilevamento geomorfologico dell’apparato morenico dell’ Adda di Lecco (Tav. I-II) . . . . . . » 79 Nel licenziare le bozze i Signori Autori sono pregati di notifi¬ care alla Tipografia il numero degli estratti che deside¬ rano, oltre le 50 copie concesse gratuitamente dalla Società. Il listino dei prezzi per gli estratti degli Atti da pubblicarsi nel 194 7 è il seguente : ( IO P I E 25 Pag. 4 yi 8 » 12 n 16 Ti. 250. a 400. o 600. r 750. 50 75 IOO L. 400. L. 500.— I,. 600.— » 600.— 750. — » 900. - I 1 d 0 00 v 1000. n 1250.— » 1000. ri 1250.- - 1500.- NB. - La coperta stampata viene considerata come un 1 4 di foglio. Per deliberazione del Consiglio Direttivo, le pagine concesse gratis a ciascun Socio sono 8 per ogni volume degli Atti o di Natura. * Nel caso che il lavoro da stampare richiedesse un maggior numero di pagine, queste saranno a carico dell' Autore. La spesa delle illustrazioni è pure a carico degli Autori. 1 vaglia in pagamento delle quote sociali devono essere diretti esclusivamente al Dott. Edgardo Moltoni, Museo Civico di Storia Naturale. Corso Vene sia, 55, Milano. 1 * • ' /V - » . <1- ' . - • ■«> ? .r^>-S'^f:u4^7‘2:tW3 W&ésPm ■ H >■ _T ^. *-* 7*.^ l©iS5 8» H ìg'ij. iti* <-'»>■*□ $%&$« ' ì jk* *X '.r*.--- " '-: .nr*x*r*s :-~:XXX li'' ■ gSv 'Uv';-rryrsr;''!~irr’:TT!; -h -22ɧw& ^ssp3?^3<^ x'ù-pàg Ir y^-ùvsìCfsggt^f^ $éésL ,rfl' £&m*m '-".V-w-ir. - > . - v* 'HnJSalSL . . .-Ir -: & ’ ' x . .v. «'jtePo . - __ BB_ ..... JSItB. JB I BB _ ?'ir— X X . ir„:I-.-I-_.%ri-^*Iri 1 tu ■ t ~ Wiil •z 'Z*>!“Z-z*z.-'>z-‘-z- z* z^,%rz*v? Ir ìf Zr^tlltf^K; -*.*.^v**.;.* - ~* . Zr'Zsl. 'Z"Z"Z »' -X -XrX-.-X-X-IrX- ; X : -I , JXXXtó.?:: :-:-xx *z ■ * : *”■* $»£§ W-’! X:r-SK-&‘ • V '■‘c * ■** » - -X-X-XX- sr-x ■> • ■ - ixx-ixxx ^mm •jut-j, •t*-..ri:- "i? 4 «.n - •** *■•